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Ogni azione porta a una conseguenza e non c'è nulla che non si possa ricostruire. Che sia un efferato omicidio o una brutale aggressione, la scena di un crimine ha sempre molto da raccontare per chi sa leggere le tracce.

Tracce Il Messaggero

    • True Crime

Ogni azione porta a una conseguenza e non c'è nulla che non si possa ricostruire. Che sia un efferato omicidio o una brutale aggressione, la scena di un crimine ha sempre molto da raccontare per chi sa leggere le tracce.

    Samanta Fava, la donna murata nella nicchia di una cantina

    Samanta Fava, la donna murata nella nicchia di una cantina

    Può una donna scomparire nel nulla? Samanta Fava ha 35 anni, vive a Sora in provincia di Frosinone e da qui scomparirà nel nulla. E' una donna come altre, ma diversamente dalle altre combatte da tempo un demone soltanto suo, quello della dipendenza da stupefacenti. La droga che compare nella sua vita a seguito della separazione dal marito. Così sparisce pur avendo un figlio di 11 anni a cui era molto legata. Qualche giorno dopo la scomparsa, l'ex marito e i genitori della donna presentano denuncia di scomparsa. Le indagini in un primo momento si indirizzano verso l'ambiente dello spaccio considerato appunto il pregresso della donna e il suo ritorno al consumo di stupefacenti ma sarà un'altra la verità – terribile – che si nasconde dietro a questo caso, che ripercorreremo con il commissario capo tecnico Giacomo Rogliero, funzionario alla sezione indagini elettroniche della polizia Scientifica. Samanta Fava verrà trovata un anno più tardi murata nel muro di una cantina. Picchiata fino alla morte, come accerterà l'autopsia, la donna era stata nascosta in una nicchia poi murata. Il suo corpo avvolto in dei sacchi dell'immondizia e in alcuni lenzuoli. Ma chi l'aveva uccisa e perché?

    • 25 min
    Omicidio sul Tevere, il caso di Emanuel Stoica

    Omicidio sul Tevere, il caso di Emanuel Stoica

    Massacrato a suon di calci e pugni e azzannato da un cane. Fu trovato così, il 7 maggio 2020, Emauel Stoica, cittadino romeno all'epoca 38enne, sulla banchine del fiume Tevere a Roma, non lontano da Ponte Sisto. Era il tardo pomeriggio e quel pestaggio poi sfociato in omicidio fu ripreso, nelle sue parti finali da alcuni passanti che dai muraglioni sul lungotevere registrarono con i cellulari parte della scena. Quelle immagini tornarono utili alla polizia per contestare poi l'aggressione e l'omicidio a Massimo Galioto, già rimbalzato agli onori delle cronache per la morte di un giovane studente statunitense. Ma oltre a quelle immagini che tuttavia non misero a fuoco il volto dell'uomo, dirimente per risolvere il caso furono le verifiche della polizia scientifica. La vittima, Stoica, aveva una profonda ferita al cranio e la forma del livido poi formatosi era simile alla suola di una scarpa. Con Martina Torta, vice questore aggiunto Direttore della II sezione della I divisione - analisi investigativa scena del crimine della Scientifica di Roma e con il commissario capo tecnico Chiara Germani, funzionaria biologa addetta alla sezione di genetica forense del servizio polizia scientifica, scopriremo come si riuscì a collegare quell'impronta alla suola delle scarpe indossate quel pomeriggio da Massimo Galioto. L'uomo è stato condannato in primo grado all'ergastolo ma non ha mai confessato il delitto.

    • 24 min
    Torino, il killer del trapano

    Torino, il killer del trapano

    Otto settembre 2003: c'è una porta socchiusa al secondo piano di via Cadorna 28, quartiere Santa Rita di Torino. Qualche condomino di quel palazzo, salendo le scale vede la porta leggermente aperta. Si ferma sull'uscio e pronuncia il nome della proprietaria di quell'appartamento ma non risponde nessuno. Allora decide di entrare e si trova davanti il corpo di Clotilde Zambrini, 73 anni, strangolata con una calza di nylon e seviziata con la punta numero 13 di un trapano.
    All'inizio sembrava l'epilogo di una rapina finita male: un'anziana che viene derubata, barbaramente ferita e poi uccisa. Ma la storia è un'altra e riporterà a un vecchio caso, avvenuto nel 1997 sempre a Torino e non risolto. Un'altra donna uccisa, sempre strangolata. E sempre seviziata. Si chiamava Maria Carolina Canavese ma non c'era nulla che apparentemente la legasse alla Zambrini se non le somiglianze dei due delitti.
    Con Marinella La porta, Direttore tecnico superiore del Gabinetto di Polizia Scientifica, responsabile del laboratorio di genetica forense per il Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e con il dottor Andrea Giuliano, responsabile del laboratorio di dattiloscopia giudiziaria al gabinetto interregionale di polizia scientifica per il Piemonte e la Valle d'Aosta di Torino ripercorreremo questi due omicidi, solo apparentemente lontani ma che furono compiuti da una sola persona la cui identità è stata svelata nel 2010: a sette anni anni dall'omicidio Zambrini e a 13 da quello della Canavese.

    • 20 min
    L'omicidio del piccolo Loris, ucciso e gettato in un canale

    L'omicidio del piccolo Loris, ucciso e gettato in un canale

    Loris aveva solo otto anni quando fu ritrovato senza vita in un canale nella periferia di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa. Del bambino si erano perse le tracce e la madre, Veronica Panarello, il 29 novembre 2014 sporse denuncia di scomparsa dicendo di aver accompagnato, quella mattina, il figlioletto a scuola. Ma a scuola, confermarono le maestre, Loris non era mai entrato. Le ricerche vennero immediatamente avviate e proseguirono fino alle 16 del giorno stesso, quando un cacciatore ritrovò il cadavere del bambino gettato in un canalone. Loris fu strangolato e poi gettato, verosimilmente da un ponticello, in quel canale. All'inizio si pensò che il bambino fosse stato abusato poiché il suo corpicino fu trovato con i pantaloni leggermente scoscesi ma la verità era un'altra. Con Antonio Grande, dirigente superiore medico della polizia di stato e con Giovanni Tessitore a capo della sezione indagini elettroniche della IV divisione della polizia scientifica, ripercorriamo oggi questo caso. Ad uccidere il bambino, ricostruiranno le indagini, fu la madre, Veronica Panarello, condannata in via definitiva a 30 anni di reclusione. Ma perché lo aveva ucciso e soprattutto come fu possibile per la polizia contestare alla donna il delitto? La Scientifica per mesi lavorò a questo caso, acquisendo tutte le immagini provenienti dai sistemi di videosorveglianza pubblici e privati presenti non solo intorno alla scena del crimine ma anche nelle vicinanze della casa di Loris e lungo poi tutto il percorso che la madre del bambino compì per abbandonare il corpo. Decine di ore di video a partire dai quali, attraverso l’applicazione di una nuova tecnica investigativa, denominata “annotazione multimediale”, è stato possibile ricostruire, su una mappa geolocalizzata, una simulazione degli spostamenti effettuati dall’autovettura della Panarello il giorno della scomparsa, dimostrando che la stessa non era passata per la strada che portava alla scuola.

    • 29 min
    Perugia, quell'unico colpo che uccise Alessandro Polizzi nel cuore della notte

    Perugia, quell'unico colpo che uccise Alessandro Polizzi nel cuore della notte

    Alessandro Polizzi aveva 24 anni quando nella notte fra il 25 e il 26 marzo 2013 fu ucciso da un colpo di pistola mentre dormiva a casa della sua fidanzata, Julia Tosti, di quattro anni più giovane. Un uomo si introdusse nel cuore della notte nell'appartamento di via Ettore Ricci, a Perugia. Aveva il volto travisato e guanti di lattice alle mani. Sfondò la porta e si diresse subito nella camera da letto dove i due giovani dormivano. I ragazzi si svegliarono di soprassalto ma quell'uomo estrasse una pistola ed esplose un colpo che raggiunse Polizzi e ferì la sua ragazza. Poi l'aggressore si dileguò ma perché aveva firmato quell'agguato? Nella fuga l'uomo abbandonava la pistola sul posto, probabilmente scivolata via in seguito alla reazione del 24enne che, prima di cadere in terra, provò a difendersi. Sul posto quella notte si precipitò la polizia. La Scientifica rinvenne l'arma e diverse tracce ematiche non solo delle vittime. Dall'analisi di quei "dettagli" fu estrapolato un profilo genetico riconducibile a Riccardo Menenti e anche sul calcio della pistola furono trovate tracce biologiche riconducibili alla vittima e all'aggressore. Ma chi era Riccardo Menenti e perché aveva firmato quell'agguato che lo ha portato ad essere condannato all'ergastolo, in tutti e tre i gradi di giudizio? A rispondere a questa domanda e a ricostruire il macchinoso lavoro di analisi, verifica e confronti è la dottoressa Alessandra La Rosa, primo dirigente della Scientifica.

    • 32 min
    Delitto Molinari, il mistero della donna uccisa e privata delle mani

    Delitto Molinari, il mistero della donna uccisa e privata delle mani

    Carla Molinari aveva 82 anni quando fu trovata uccisa, nella sua camera da letto, a Cocquio Trevisago, un piccolo Comune in provincia di Varese. Fin da subito la polizia dovette lavorare duramente per spiegare non solo il delitto ma un preciso mistero: la donna era stata mutilata delle mani, che non furono mai più ritrovate. Si pensava fosse rimasta vittima di una rapina finita male ma quest’ipotesi fu esclusa quasi subito. Nella villetta che la donna viveva da sola, non essendosi mai sposata, non mancava nulla. Era il 5 novembre 2009: quel pomeriggio la signora Molinari, come ogni settimana, sarebbe dovuta andare a giocare a carte con delle amiche che, non vedendola arrivare, si insospettirono. Prima ancora del suono delle sirene di polizia e ambulanza, a rompere la tranquillità di un piccolo Comune di provincia furono le urla di chi, cercando la donna si imbatte nel suo cadavere. Nel corso del sopralluogo la polizia repertò alcuni mozziconi di sigaretta, tutti di marche diverse. Condizione questa che risultò fin da subito strana, poiché nell’abitazione non era stato trovato alcun posacenere. E questo perché, come emerse poi da alcune testimonianze, la vittima non fumava e non consentiva a nessuno di fumare all’interno della propria abitazione. Di chi erano allora quei mozziconi? E perché furono trovati in diverse stanze? Ma soprattutto perché alla donna furono tagliate le mani? Dopo mesi di indagini serrate fu arrestato un uomo, poi condannato in via definitiva all’ergastolo. Si chiamava Giuseppe Piccolomo. Con il dottor Roberto Giuffrida, della polizia Scientifica di Milano, ripercorriamo questo mistero d’Italia, poi risolto grazie anche all’analisi di tracce e dettagli trovati sulla scena del crimine.

    • 26 min

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