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Scopri la Vigevano di fine Ottocento attraverso i palchettisti del Teatro Cagnoni. 
In ogni episodio esploreremo la città e conosceremo la sua storia attraverso la voce dei palchettisti storici del suo principale teatro. 
Un podcast dallo stile narrativo adatto sia per chi vuole sapere di più su questa città, sia per gli appassionati della Belle Époque.

Racconti dell’Ottocento: i palchettisti del Teatro Cagnoni di Vigevano eArs

    • Sociedade e cultura

Scopri la Vigevano di fine Ottocento attraverso i palchettisti del Teatro Cagnoni. 
In ogni episodio esploreremo la città e conosceremo la sua storia attraverso la voce dei palchettisti storici del suo principale teatro. 
Un podcast dallo stile narrativo adatto sia per chi vuole sapere di più su questa città, sia per gli appassionati della Belle Époque.

    1. Luigi Costa

    1. Luigi Costa

    Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.

    Narratore: In questo episodio incontreremo Luigi Costa, uno degli uomini più noti della Vigevano di fine ‘800. Benefattore, politico e mecenate, si accorse un giorno che alla sua città mancava qualcosa… 

    Luigi Costa: Accadde una delle molte volte in cui facevo ritorno da Roma, dove spesso mi recavo come deputato dopo che l’Italia si riunì sotto un unico regno. La carrozza andava piano e vidi, come se fosse già lì, la bellissima facciata di un teatro, nascosta tra le luci della sera. Ma prima di dirvi oltre, lasciate che mi presenti. Mi chiamo Luigi Costa. Sono nato a Vigevano una mattina di novembre del 1826, e qui ho trascorso tutti e 48 gli anni della mia vita… Forse vi sembreranno pochi e vi starete già rammaricando per la mia prematura dipartita, ma sappiate una cosa: il tempo che mi è stato concesso su questo mondo è stato sufficiente per dare vita a un sogno, il mio. Si tratta di una scuola di musica e di un teatro! E non uno angusto e lurido, come quello che sorgeva in città prima che mi occupassi io della faccenda, ma uno splendido e regale, degno del prestigio di Vigevano. 

    N: Siamo negli anni successivi alle guerre d’indipendenza italiane, in pieno Risorgimento, e Vigevano entra a far parte del nascente Regno D’Italia.

    L: Agli inizi della nuova Italia unita, anni prima che l’idea del teatro mi balzasse in testa, fui tra i primi deputati di questo nuovo Regno, e venni eletto dal collegio della mia città. Fui fatto deputato per ben tre legislature di fila, dal 1865 fino al 1874 anno della mia dipartita. 
    Nell’ultima elezione, in particolare, la Gazzetta del Popolo D’Italia fece il tifo per me, perché ero finito al ballottaggio contro un certo Carlo Negroni…avvocato molto vicino al partito clericale! Quando vinsi, lui - forse per la sconfitta, o per affar suo - preferì subito trasferirsi a Novara e lì, almeno, divenne sindaco. 

    N: Per l’esattezza, ecco cosa riportò il giornale dopo l’esito del voto: Facciamo plauso agli elettori di [...] Vigevano! il cav. Luigi Costa è conosciuto per persona proba di carattere indipendente e di principii liberali: e non dovendo per sua favorevole posizione sociale occuparsi del proprio benessere, avrà maggior tempo e volontà di prendersi a cuore il bene altrui. 

    L: E così, fu. Riguardo, poi, alla mia favorevole posizione sappiate che di denari non ne avevo sempre avuti così tanti. Ereditai tutte le fortune di mio padre, il Costa Giuseppe, da Andrea Costa mio zio, e perfino da un prozio, Camillo, che siano in gloria a Dio. Mi lasciarono un intero patrimonio e un titolo nobiliare, e… anche due righe di referenze.

    N: Due righe di referenze che suonano più o meno così: Signore dell’intero patrimonio di 1.000.000 nel pieno della gioventù in cui tutto è lecito, di bell’aspetto e sano, sicuro di sé può rendere felice una donzella gentile.

    L: Divenni perciò di colpo ricco e cavaliere. Ma cosa farne dei miei denari? Mi misi perciò a pensare, finché, come vi dissi già, non mi venne l’idea della Scuola d’Istrumenti d’Arco… e del nostro teatro. Lo immaginate un conte cavaliere a dirigere i lavori? Eppure, permettetemi di dirvi una cosa: non c’è mai stato teatro più bello a Vigevano. Diventai capo della commissione che studiò la creazione di un nuovo progetto di Teatro Comunale. Ebbi un ruolo fondamentale, anzi, più di uno. Lasciate che ve ne dica un paio: cassiere della commissione esecutiva...

    • 9 min
    2. Giovanni Battista Mollo

    2. Giovanni Battista Mollo

    Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.

    Narratore: In questo episodio incontreremo Giovanni Battista Mollo, testimone della trasformazione di Vigevano di fine ‘800…


    Giovanni Battista Mollo: Ho vissuto in un tempo strano, sono cresciuto in un mondo antico e l’ho lasciato già moderno. No, la mia vita non è durata 5 secoli, se è ciò che vi state domandando, ma solo 70 anni. A cavallo però di un tempo straordinario, ricco di innovazioni. Sono nato a Vigevano naturalmente, nel 1824. In pochi anni ho visto l'Italia cambiare sotto il dominio austriaco e poi unificarsi nel 1861. Ma la vera rivoluzione, per me, era a casa: mio padre mi avviò al mestiere di chincagliere, e con impegno e dedizione, ho costruito la mia fortuna. Da umile venditore di ninnoli e cianfrusaglie, conquistai a poco a poco una certa posizione - se capite cosa intendo - e feci parte di quella nuova borghesia tanto in vista nella città. Non nobile di nascita quindi, ma con il lavoro duro e qualche buon affare ho conquistato il mio posto di rilievo qui a Vigevano. La borghesia stava emergendo, e io facevo parte di quel cambiamento.

    N: E non è l’unico cambiamento in atto. Anche il tessuto urbano di Vigevano cambia. In città arrivano grandi innovazioni, tra cui, la ferrovia… 

    G: Fui tra i primi a credere che la locomotiva a vapore potesse portare a Vigevano il lustro e gli affari che, infatti, poi portò. A proposito di ferrovie c’è una cosa che vorrei dire di me, vi prego di non prenderlo come un vanto. Infatti, fui tra i membri del Consiglio di Direzione dell’Assemblea Azionisti per la Strada Ferrata, vale a dire la ferrovia, che avrebbe collegato Vigevano alla vicina Mortara. Bei tempi, belli davvero. Chi l’avrebbe mai detto che Giovanni Mollo, mastro chincagliere, un giorno avrebbe inaugurato una ferrovia era il 1854. Come un treno che corre veloce alla stazione,  la mia ambizione mi portò dritto fin dove desideravo andare, finanche su un ponte! Il Ponte sul Ticino, che abbiamo realizzato per poter ampliare la tratta ferroviaria e che ci permise di collegare finalmente Vigevano a Milano!
    Su uno di questi treni… vediamo se ricordo bene…mi pare fosse ottobre 1858… viaggiarono il signor e la signora Duse, ignari che la loro bimba sarebbe venuta alla luce poche ore dopo proprio a Vigevano. Erano i genitori di una diva nota, ne sono certo, anche ai tempi vostri, la Divina, Eleonora Giulia Amalia Duse! La più grande attrice di teatro di tutti i tempi…


    N: Della tratta ferroviaria Vigevano-Milano, ne troviamo oggi una testimonianza anche al teatro Cagnoni. Potremmo invitarvi a una caccia al tesoro, e lasciare a voi il compito di scovarne la raffigurazione. Vi diamo solo un indizio…non cercate un affresco. Date piuttosto un’occhiata ai sipari…

    G: Ai miei tempi li avremmo chiamati velari. 

    N: A voler essere proprio precisi, velari è una parola ancora più antica, arriva addirittura dall’impero romano. In antichità indicava il tendaggio che veniva steso sui teatri e gli anfiteatri per riparare dal sole gli spettatori. Ma basta così, non una parola di più, altrimenti rischiamo di spifferare un altro indizio. 

    G: Dove eravamo rimasti? Ah già, alla ferrovia. La crescita industriale di Vigevano andava ben oltre. Cominciarono a sorgere i primi grandi calzaturifici, industrie manifatturiere d’eccellenza che resero Vigevano famosa in tutto il mondo. Non chiedetemi come ho fatto, ma sono riuscito a sapere...

    • 9 min
    3. Carlo Scotti

    3. Carlo Scotti

    Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano. 

    In questo episodio incontreremo il Cavaliere Nobile Carlo Scotti che, oltre ad essere uno dei nostri palchettisti, ha lasciato la sua traccia in molti luoghi qui a Vigevano. Eccolo, sta uscendo di casa… Magari, saprà indicarceli direttamente lui.

    Carlo Scotti: Sono qui, sono qui! Ben arrivati! Che dite? Ci facciamo due passi fino al Teatro Cagnoni? Stasera niente spettacoli per me: a casa mia si terrà una festa - come da consuetudine - ma fatemi prendere qualche minuto d’aria prima di cominciare… mi accompagnate?
    Vorrei portarvi a vedere un posto qui vicino, in Piazza San Francesco. Perdonatemi la fretta, non abbiamo molto tempo prima della festa e non posso certo mancare. 
    N: Quelle di casa Scotti sono state feste sontuose, degne del migliore racconto della belle epoque, in cui i vigevanesi più…

    C: Ehm ehm, dicevamo, alle feste torneremo dopo… ma intanto, sapete cos’è questa? Be’, certo, è una chiesa, ma sapreste dirmi qualcosa di più, diciamo, interessante? Oh, va bene, allora comincio io! È la chiesa intitolata al santo dei poverelli e dei miracoli: Francesco d’Assisi. A dire il vero questa magnifica chiesa ha richiesto più di qualche semplice sforzo, e se non fosse che non aver timore di Dio sia un grave peccato, vi direi che il miracolo l’abbiamo fatto anche noi. Noi chi? Quelli del “Comitato per la chiesa di S. Francesco”. È un edificio, pensate, risalente alla fine del 1300 e restaurato, da noi, nel 1903, per mano dell’Architetto Gaetano Moretti. Fu sua l’idea di ripristinare l’antico aspetto della facciata in stile gotico-lombardo. Feci appena in tempo a vederla finita che me ne andai da questo mondo a distanza di pochi mesi, ma sazio del nostro buon lavoro.
     
    N: La chiesa di S. Francesco, costruita in principio come cappella del convento dei Frati Minori di Vigevano, subì profonde trasformazioni lunghe sei secoli, che la portarono al suo aspetto attuale a seguito del restauro della facciata citato da Carlo Scotti.

    S: E non fu l’unica opera finanziata coi fondi della mia famiglia… ma andiamo avanti.Noi Scotti, fummo imparentati con le più importanti famiglie di Vigevano, come i Morselli e i Merula. Proseguiamo di qui, proprio per via del Teatro, oggi, appunto, via Merula: c’è una cosa al numero 40 che vorrei farvi vedere…
    Voi oggi lo conoscete come l’archivio storico, ma sapevate che al mio tempo era l’orfanotrofio? Una volta non era così raro che anche dei bimbi un po’ cresciutelli fossero affidati a questi istituti. Ogni città ne aveva uno, e quello di Vigevano, del quale noi Scotti fummo i patroni, ebbe qui sede fino al secondo dopoguerra.

    N: Non è difficile immaginare ancora oggi i piccoli correre avanti e indietro sotto al portico quadrangolare del chiostro. Faceva parte di un complesso più grande: il Monastero seicentesco di Santa Maria Assunta, soppresso poi nel 1805 e venduto, chiesa compresa, per undicimila lire. Buona parte degli edifici vennero distrutti, ma nell'ex chiesa, nel 1810, sorse il teatro Galimberti - vi ricordate? È quel teatro che fece concorrenza al nostro teatro Cagnoni fin dal giorno dell’inaugurazione di quest’ultimo! Ai locali del chiostro, invece, toccò ospitare prima l’orfanotrofio, poi l’attuale sede dell'archivio storico vigevanese.

    S: Il chiostro è davvero un luogo di pace e contemplazione. Come del resto, potrebbe esserlo la sala di una pinacoteca. Vi ho mai detto che qui a Vigevano ve n’è una? È cominciato tutto così:...

    • 8 min
    4. Giuseppe Crespi

    4. Giuseppe Crespi

    Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.

    In questo episodio incontreremo il Cavalier Giuseppe Crespi, palchettista del Teatro Cagnoni e spettatore di uno dei passaggi più significativi della storia dei diritti dei lavoratori…

    Narratore: Con contratti stipulati in Torino il 12 settembre venne accordata alla Ditta Crespi la facoltà di poter impiantare numero 2 linee telefoniche a uso privato, di cui una dalla propria Abitazione in Vigevano fino alla filatura di Cotone della Sezione di Predolato e l’altra dalla suddetta abitazione alla fabbrica di Cassolnuovo. 

    Giuseppe Crespi: Sono le parole deI Bullettino Telegrafico del Regno d’Italia, era il 1883, lo ricordo bene. Fu l’anno in cui persi mio padre ma ereditai le sue fabbriche nelle quali, appunto, installai una linea telefonica collegata direttamente con casa mia. Producevamo ottimi filati di cotone. Se non erro, dovreste aver sentito già qualche voce sul cotonificio Crespi, appartenuto prima ai Corsiglia, una nipote dei quali sposò Giovanni Battista Mollo, di cui so che avete fatto la conoscenza. È possibile che abbiate sentito circolare però anche altre voci su di me e sulle mie fabbriche, che magari possono sembrare poco edificanti, a proposito di una certa pratica… lavorativa. 
    Vedete, ai miei tempi accadevano delle cose, come dire, spiacevoli senz’altro, che però in quel periodo apparivano più che normali. 

    N: La rivoluzione industriale portò in Europa innovazione e cambiamenti. Come ricchezza e riorganizzazione degli agglomerati urbani. Molti di quelli che avevano abitato a lungo nei luoghi di campagna preferirono trasferirsi nelle città per cogliere l’occasione di cambiare vita, abbandonare il duro lavoro nei campi e assicurarsi un posto tra gli ingranaggi delle fabbriche.
    Un momento di crescita economica e sociale non privo certo di lati foschi.

    C: Nell’Impero Britannico di sua Maestà la Regina Vittoria, battezzarono queste città con il nome bizzarro di Mushrooms Town, nient'altro che città-fungo tradotto nella nostra lingua. Città e villaggi che spuntavano in fretta, come funghi, costruiti tutt’intorno a un centro d’interesse non più sociale come una piazza o una chiesa, ma economico, come una fabbrica.
    Ora, non è che Vigevano fosse proprio spuntata dal nulla come un fungo, ma di sicuro crebbe parecchio con l’industrializzazione. Se ai tempi di Napoleone eravamo appena 12.000 abitanti, quando ereditai il cotonificio eravamo praticamente raddoppiati e nei primi del Novecento diventammo quasi il triplo. Un aumento di 20.000 abitanti in appena un secolo!
    Erano appunto i contadini che raggiungevano le fabbriche della città, come i miei cotonifici. Perché ne avevo più d’uno.

    N: L’industria, in particolare quella dei cotonifici, era una vocazione di famiglia per i Crespi. Oltre al padre, anche il fratello di Giuseppe, Cristoforo Benigno Crespi, fondò nel 1878 lo stabilimento di Crespi d'Adda, famoso ancora oggi per il villaggio operaio costruito intorno ad esso, divenuto patrimonio dell’UNESCO.
    Giuseppe Crespi partecipò alla fondazione di diversi stabilimenti, sempre adibiti a cotonificio, nel circondario di Vigevano. Tra questi uno a Cassolnovo, già citato nel Bullettino, ed uno in zona Mora Bassa. 

    C: In quest’ultimo pensai anche alla costruzione delle case per le famiglie degli operai. Infatti al lavoro in fabbrica partecipavano spesso tutti i membri della famiglia. E con tutti, be’, intendo proprio tutti. Ed ecco le dolenti note cui...

    • 9 min
    5. Cesare Bonacossa

    5. Cesare Bonacossa

    Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.

    Narratore: In questo episodio incontreremo Cesare Bonacossa, commendatore e Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, nominato Conte da Sua Maestà il Re, e industriale di Vigevano. 

    Cesare Bonacossa: Chissà quante volte, passandovi uno scampolo di seta tra le mani, vi è capitato di pensare al tempo che c’è voluto per realizzarlo. Qualcuno tra di voi dirà 10 ore, 20, 50. Io vi dico, che per realizzare la seta migliore, ci vogliono anni. Forse centinaia. E non perché un baco impiega così a lungo per fare il proprio dovere, e la colpa non è neppure delle mie macchine da filanda… Per realizzare la seta migliore serve conoscenza, esperienza, e per quello ci vogliono anni. Perciò, ogni volta che vi passate un pezzo di seta liscia tra le mani, pensateci. Pensate alla sapienza tramandata della lavorazione della seta, e al viaggio lungo che ha compiuto, dall’Oriente fino a noi, per arrivare anche qui a Vigevano. 

    N: Quella della seta vigevanese è una storia antica, che si intreccia ai ricordi di un'epoca lontana fino al tempo di Ludovico Sforza, tra tutti forse il vigevanese più noto. Allora, quando le spedizioni tornavano cariche di novità e meraviglia, cominciò a fare la prima comparsa un tessuto di una consistenza fina e incantevole. Ludovico ne rimase così affascinato da ordinare che venissero piantati alberi di Gelso nelle sue terre, di cui i bachi da seta sono ghiotti. Il “murôn”, gelso in lombardo, divenne un tratto distintivo di Ludovico che tutti conosciamo come il Moro forse proprio per questo motivo.

    C: In alcune delle nostre filande scorrevano fili di seta dei bachi cresciuti mangiando le foglie dei gelsi discendenti di quelli del Moro.

    N: Il Duca inaugurò una tradizione che sarebbe durata secoli, e che, in un certo senso avrebbe fatto la fortuna della famiglia Bonacossa. Della filatura della seta loro ne fecero una vera industria, aprendo diverse filande da centinaia di lavoratori, di cui una a Vigevano. Della storia degli imprenditori vigevanesi, si possono vedere le tracce in un museo speciale, quello dell’imprenditoria, in cui potrete ammirare anche una bella pianta di quella che era la Cascami seta, una fabbrica fondata anch’essa da Cesare Bonacossa a Vigevano. Il museo è accolto all’interno dell’ex orfanotrofio Merula, nell’attuale via Merula al numero 40.


    CB: Ma torniamo alla mia filanda. Tutto andò bene fino al 7 gennaio del 1877. Avevamo fatto costruire la fabbrica più grande di Vigevano, al cui interno correvano giorno e notte le avanguardistiche macchine a vapore da filatura. Non immaginavamo che sarebbero bastate tre ore per mandare in fumo l’attività di una vita per noi e per i nostri operai.

    N: Fu un incendio come non se n’erano mai visti a Vigevano. Lo stabilimento sorgeva lungo via Rocca Vecchia, all’angolo con Corso Carlo Alberto, l’attuale via Buozzi. “Suonavano le due della notte passata e dal campanile della chiesa del Carmine gli allarmanti rintocchi che segnalavano il fuoco facevano trepidare tutti i vigevanesi non immersi in sonni profondi". La filanda sorgeva a 50 metri dal vescovado, “perfino monsignor Gaudenzi uscì con un domestico per osservare l'incendio". Tutti corsero in strada per vedere cosa fosse quella nube arancione che aveva illuminato la notte ovunque in città. Insieme ai pompieri arrivarono i soldati del presidio che si diedero subito da fare "troncando la comunicazione del gas e lasciando libero il...

    • 9 min
    6. Adele Fleissner

    6. Adele Fleissner

    Di un teatro si può parlare descrivendone la bellezza: drappi di velluto, statue d’ottone, stucchi preziosi o perfino parlando dei concertisti e ballerini che hanno eseguito la loro migliore esibizione. Oppure, invitandovi a mettervi comodi in un luogo speciale: tra i palchetti d’onore, dove incontreremo le voci delle donne e degli uomini illustri che hanno dato vita alla storia del Teatro Cagnoni di Vigevano.

    In questa puntata non saremo in compagnia dei soliti notabili conti, industriali e cavalieri vigevanesi, ma incontreremo uno dei volti più noti della beneficenza di Vigevano e palchettista del Teatro Cagnoni... Adele Fleissner.
     
    Adele Fleissner: Cosa credevano loro, nobili signori? Che una volta rimasta vedova avrei rinunciato per sempre al mio posto a teatro? Che senza un marito di fianco non sarei stata più capace di badare a me stessa? Mio padre, che fu un buon pittore - si chiamava Andrea Fleissner - ritrasse decine di uomini e donne della media e alta borghesia. Nei loro occhi, anche dipinti, potevi già leggere tutta la durezza delle regole del loro mondo. “Adele, orsù cara, stai a casa, non dire sciocchezze, le donne non votano, non viaggiano da sole, non dirigono le fabbriche. Non dirci ancora frottole…”Così. Noi donne tutto il giorno a sentir parlare in codesta maniera gli uomini di rango e anche le loro mogli… ma ci pensate? 

    Narratore: Adele Fleissner era la moglie di Vincenzo Rigone, un fabbricante di seta vigevanese scomparso prematuramente. Per lui, al tempo, vennero pronunciate parole care. Di lui fu detto che era stato un uomo buono, cortese con gli operai che lavoravano per lui. Tanto che le cronache dell’epoca dicevano della fabbrica che somigliava “all’interno di un’operosa famiglia". Aveva istituito per gli operai dell’opificio una cassa di mutuo soccorso, a cui in seguito contribuì anche Adele. In principio, era stato chiesto a ciascun lavoratore di cedere una piccola parte del proprio salario diurno, a beneficio di tutti, e la parte restante sarebbe stata versata dai proprietari della fabbrica. Ma l’idea non piacque, eppure al mutuo soccorso non si poteva rinunciare. Così, i coniugi si fecero interamente carico della spesa. La fabbrica ora era anche il luogo dove a ciascun dipendente era garantito aiuto in caso di malattia o di un cattivo incidente. Alla cassa di previdenza volle partecipare anche il signor Giovannella, socio di Vincenzo, e venne deciso di versare un centesimo al giorno per ciascun operaio.

    A: Be’, in certe situazioni, io arrivai a stanziare anche 100 Lire, e non centesimi come quegli altri. Lo feci quando ce n'era di bisogno, ad esempio per gli operai del cotonificio Crespi colpito da un incendio nel 1881. La cifra più alta, insieme a quella di Crespi stesso. E non fu l’unica opera di bene: feci il mio dovere quando ci fu il terremoto a Casamicciola, e ogni volta che Vigevano ne ebbe di bisogno. Non vorrei farmene vanto, vi prego per questo di non travisare le mie parole, e - per carità - neppure le mie intenzioni. Vi dico quanto vi ho detto, solo perché vorrei tenervi al corrente che al tempo anche le donne erano ottime benefattrici. Ma quanti mezzi busti avete visto in giro per le vostre città mantenere viva la memoria di una donna? E i nomi delle scuole? A quante poetesse? La storia delle volte ha la memoria corta, e non si sa perché, i nomi coperti da strati di indifferenza e dimenticanza sono sempre i nostri. E a proposito di nomi. Ve ne dico uno: Emma Tettoni… Vi dice qualcosa?Niente? Non mi stupisce.
    Il suo è proprio uno di quei nomi persi qui e lì nella storia. Era mia nipote, e fu allieva di Giosuè Carducci. Emma era più che una ragazza colta. Emma aveva idee, era una visionaria capace di vedere avanti più di cento anni di progresso, ed è per donne come lei che oggi molte delle cose date per scontate possono esserlo. Era una mente brillante, appassionata. Con la sua attività di conferenziera ha...

    • 8 min

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