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Sogno numero due. Storia di un impiegato, il podcast‪.‬ Storia di un impiegato. Il podcast.

    • Histoire de la musique

A seguito della sua azione terroristica, per l’impiegato non resta che la conta dei caduti e lo stupore della loro fragilità, nessun beneficio reale.

Il sogno continua e l’impiegato diventa, a causa della sua condotta antigiuridica, “per quello che ha fatto”, un imputato al cospetto di un giudice. Ed è il momento in cui vengono alla luce anche le vere dinamiche del potere, che avendolo osservato sistematicamente, quotidianamente, costantemente, dal momento della nascita a quello dell’attentato del ballo in maschera, gli propone pragmaticamente, di sostituirvisi, così da perpetuarne e garantirgliene, gattopardescamente, la continuazione.

Si congratula con lui per l’operato, avendo favorito il gioco del potere, sgombrandogli il campo dai “soci vitalizi”.

[..]

Più che altrove in quest’album, in questo che è l’ultimo brano, in ordine di elaborazione, composto con Roberto Dané ed assente in una prima esecuzione in studio, sembrano riecheggiare i versi riportati in copertina in omaggio al poeta beat Gregory Corso “La Pietà perdona la bomba e si appoggia al suo bombardamento preferito”.

Ripercorrendo il colpo di scena, l’imputato, nel momento in cui è entrato in azione, col suo piano, ha incarnato egli stesso un potere - giudicante ed esecutivo al contempo - e, in quanto tale, ne ha assunto tutti i tratti, così da spianarsi la strada alla possibilità di esserne assorbito, per diventarne un nuovo ingranaggio. Il togato stesso glielo riconosce: l’atto terroristico di cui si è reso artefice il travet, confondendo l’urgenza di potere con la sete di vendetta, lo ha trasformato in un nuovo potere. L’imputazione diventa gratitudine, e per i modi e per le forme in cui ha agito, e così il potere glien’è grato. Come si legge nelle note di copertina, “… in ringraziamento per aver eliminato vecchi residui che davano fastidio al potere stesso”.

L’interrogatorio, musicalmente incastonato in un melologo in cui il basso, nello scandire il tempo, evoca il battito cardiaco dell’imputato, non è più tanto tale: piuttosto, da interrogatorio diviene un patteggiamento e l’udienza si chiude né con una sentenza, né con altri atti propri conclusivi del processo ma con una domanda, una richiesta di giustizia capovolta, dal giudice all’imputato, nell’attesa che la decisione, come in una sorta di autotutela, venga presa da quest’ultimo.

Nei primi anni settanta, sul panorama politico italiano si addensavano nubi cariche di tensione. Quel 1973, in particolare, quando uscì Storia di un impiegato, fu funestato da diversi episodi violenti, di manifestazioni di piazza, di furia e di repressione: l’uccisione di uno studente della Bocconi, nel corso di una manifestazione studentesca; una bomba a mano lanciata sulla folla nel corso di una cerimonia davanti alla Questura a Milano che provocò quattro vittime e quarantacinque feriti.

Così, anche se l’album uscì a cinque anni dai noti fatti del Sessantotto, la distanza dagli stessi non lo aveva ancora storicizzato abbastanza, e quell’entusiasmo, quella spontaneità delle istanze più ragionevoli rischiavano di passare alla Storia con ben altri significati di fondo.

Diversi episodi ne minavano le ragioni fondamentali e l’anima libertaria, facendo passare quella violenza del 1973 come strascichi di quanto avvenuto cinque anni prima.

[...]

In una chiave più attuale, si potrebbe dire che l’impiegato, col suo atto, determinò una variante di quello che è il virus del potere, avvolgendo il tessuto economico-sociale e, quindi, democratico, con il suo di tessuto, quello adiposo, in cui accumula i suoi privilegi.

[...]

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AUTORE di questo Podcast è Pietro Cesare che ne presta anche la voce: ⁠https://t.ly/4yjI⁠


Per visionare la bibliografia di riferimenti seguire questo link: ⁠⁠⁠https://faber.deand.re/podcast/storia-di-un-impiegato/

A seguito della sua azione terroristica, per l’impiegato non resta che la conta dei caduti e lo stupore della loro fragilità, nessun beneficio reale.

Il sogno continua e l’impiegato diventa, a causa della sua condotta antigiuridica, “per quello che ha fatto”, un imputato al cospetto di un giudice. Ed è il momento in cui vengono alla luce anche le vere dinamiche del potere, che avendolo osservato sistematicamente, quotidianamente, costantemente, dal momento della nascita a quello dell’attentato del ballo in maschera, gli propone pragmaticamente, di sostituirvisi, così da perpetuarne e garantirgliene, gattopardescamente, la continuazione.

Si congratula con lui per l’operato, avendo favorito il gioco del potere, sgombrandogli il campo dai “soci vitalizi”.

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Più che altrove in quest’album, in questo che è l’ultimo brano, in ordine di elaborazione, composto con Roberto Dané ed assente in una prima esecuzione in studio, sembrano riecheggiare i versi riportati in copertina in omaggio al poeta beat Gregory Corso “La Pietà perdona la bomba e si appoggia al suo bombardamento preferito”.

Ripercorrendo il colpo di scena, l’imputato, nel momento in cui è entrato in azione, col suo piano, ha incarnato egli stesso un potere - giudicante ed esecutivo al contempo - e, in quanto tale, ne ha assunto tutti i tratti, così da spianarsi la strada alla possibilità di esserne assorbito, per diventarne un nuovo ingranaggio. Il togato stesso glielo riconosce: l’atto terroristico di cui si è reso artefice il travet, confondendo l’urgenza di potere con la sete di vendetta, lo ha trasformato in un nuovo potere. L’imputazione diventa gratitudine, e per i modi e per le forme in cui ha agito, e così il potere glien’è grato. Come si legge nelle note di copertina, “… in ringraziamento per aver eliminato vecchi residui che davano fastidio al potere stesso”.

L’interrogatorio, musicalmente incastonato in un melologo in cui il basso, nello scandire il tempo, evoca il battito cardiaco dell’imputato, non è più tanto tale: piuttosto, da interrogatorio diviene un patteggiamento e l’udienza si chiude né con una sentenza, né con altri atti propri conclusivi del processo ma con una domanda, una richiesta di giustizia capovolta, dal giudice all’imputato, nell’attesa che la decisione, come in una sorta di autotutela, venga presa da quest’ultimo.

Nei primi anni settanta, sul panorama politico italiano si addensavano nubi cariche di tensione. Quel 1973, in particolare, quando uscì Storia di un impiegato, fu funestato da diversi episodi violenti, di manifestazioni di piazza, di furia e di repressione: l’uccisione di uno studente della Bocconi, nel corso di una manifestazione studentesca; una bomba a mano lanciata sulla folla nel corso di una cerimonia davanti alla Questura a Milano che provocò quattro vittime e quarantacinque feriti.

Così, anche se l’album uscì a cinque anni dai noti fatti del Sessantotto, la distanza dagli stessi non lo aveva ancora storicizzato abbastanza, e quell’entusiasmo, quella spontaneità delle istanze più ragionevoli rischiavano di passare alla Storia con ben altri significati di fondo.

Diversi episodi ne minavano le ragioni fondamentali e l’anima libertaria, facendo passare quella violenza del 1973 come strascichi di quanto avvenuto cinque anni prima.

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In una chiave più attuale, si potrebbe dire che l’impiegato, col suo atto, determinò una variante di quello che è il virus del potere, avvolgendo il tessuto economico-sociale e, quindi, democratico, con il suo di tessuto, quello adiposo, in cui accumula i suoi privilegi.

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AUTORE di questo Podcast è Pietro Cesare che ne presta anche la voce: ⁠https://t.ly/4yjI⁠


Per visionare la bibliografia di riferimenti seguire questo link: ⁠⁠⁠https://faber.deand.re/podcast/storia-di-un-impiegato/

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