35 episodi

La radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia.
Ne "Gli Occhi della Storia” i giornalisti di Giornale Radio descrivono e contestualizzano i principali eventi del passato, per rivivere e comprendere appieno gli avvenimenti che hanno cambiato la nostra società.

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Gli Occhi della Storia Giornale Radio

    • Cultura e società
    • 5,0 • 1 valutazione

La radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia.
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    L'ultimo viaggio di Jurij Gagarin | Gli Occhi della Storia

    L'ultimo viaggio di Jurij Gagarin | Gli Occhi della Storia

    A cura di Daniele Biacchessi

    Ci sono storie che attraversano la grande Storia, dal passato al presente. Ci sono storie dimenticate che la Storia riporta a galla d'improvviso. Quella dell'astronauta russo Jurij Gagarin riguarda un giorno di aprile di tanti anni fa, ma anche ciò che accade con il conflitto tra Russia e Ucraina. Questa è la storia di un uomo semplice, umile, che aveva volato nello spazio prima di chiunque altro, in quello che sarebbe stato il suo grande sogno che si è trasformato invece nel suo ultimo viaggio, in mezzo alla Guerra fredda che opponeva Stati Uniti e Unione Sovietica, negli anni della corsa agli armamenti e alla ricerca di un primato nello spazio.

    «Il panorama è assolutamente bello e nuovo... la superficie terrestre cambia colore mentre viene illuminata dal cielo nero, dove posso vedere benissimo le stelle». La voce è del primo cosmonauta della storia: Jurij Gagarin. È il 12 aprile 1961. Quella giornata, al cosmodromo di Bajkonur, nel Kazakistan, sembrava una come tante altre. Fino a quando, alla base della piattaforma di lancio “numero 1”, giunge un pullmino simile a quelli impiegati per gite turistiche. L’autoveicolo bianco e arancione, si ferma a breve distanza dalla piattaforma su cui è appoggiata la grande torre a tralicci metallica, che avvolge un razzo vettore noto come “Zemiorka”. Assieme al gigantesco reticolato metallico, vi sono alcune passerelle che conducono ai “punti nevralgici” del razzo, alto circa 40 metri. Dal pullmino escono due uomini rivestiti da una tuta di volo color arancione, e con un casco pressurizzato; salutano, e poi con repentino scatto chiudono il visore esterno dei loro caschi. Prima di entrare nell’ascensore saluta, agitando entrambe le braccia, i tecnici che lo hanno atteso e quelli che lo hanno accompagnato fino alla rampa, oltre al collega (German Titov) che invece è destinato a restare a terra, e che, di fatto, ha rappresentato la sua riserva. Quando l’ascensore raggiunge la parte più alta della torre, il cosmonauta attraversa il braccio metallico e giunge fino all’apertura di un piccolo boccaporto circolare, con il portellone aperto. Entra nel boccaporto e in poco tempo si sistema, disteso, sull’unico sedile posto all’interno della navicella, e posizionato sopra un seggiolino eiettabile. La navicella è la Vostok 1 (in russo: “Oriente”). Non si conosce, in quel momento, il nome di quel cosmonauta, ma entro un’ora lo saprà il mondo intero.

    Jurij Gagarin era nato il 9 marzo 1934 nel villaggio russo di Klušino, nella provincia di Smolensk. Era un pilota dell’aviazione russa, con un curriculum ideale per le richieste dei responsabili del programma russo. La selezione avvenne nel 1960. Il padre era un artigiano di falegnameria, e la mamma era contadina. Il primo cosmonauta della storia era sposato con un'infermiera, Valentina, di un anno più giovane di lui. All’epoca del suo storico, primo volo orbitale, Jurij era padre di due figlie, Elena e Galina, nata appena cinque settimane prima.

    Il razzo vettore accendeva i suoi motori e si lanciava nel cielo del Kazakistan, quando a Mosca erano le 9,07. Ecco il sonoro originali di quegli attimi memorabili.

    La ricostruzione di quegli attimi del film Gagarin - Primo nello spazio,

    Il filmato della partenza, molto suggestivo, venne diffuso al mondo soltanto sette anni dopo: « Pojechali!, Partenza!», comunica Gagarin, che in 10 minuti entra in orbita attorno alla Terra.

    «Il cielo – comunica da lassù Gagarin – lo vedo nero, totalmente nero, e vedo la Terra azzurra sotto di me». E prosegue: «Lungo l’orizzonte c’è una striscia di un arancione brillante che poi assume una sfumatura d’azzurro, e poi passa al nero. Quello che mi colpisce di più è quanto sembra vicina la Terra, anche da questa altezza». La Vostok 1 stava passando sopra l’America Latina, per poi procedere verso il Sud dell’Atlantico e l’Africa. Dopo un’orbita completa attorno alla Terra,

    • 16 min
    La giornata della memoria della Shoah | Gli occhi della storia

    La giornata della memoria della Shoah | Gli occhi della storia

    A cura di Daniele Biacchessi

    Il 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la giornata della memoria della Shoah che ricorda lo sterminio pianificato da parte nazista di milioni di ebrei, oppositori politici, minoranze. Il simbolo dell'Olocausto è la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Vedo, racconto, e scrivo. Lo sguardo della Storia passa proprio dagli occhi dei testimoni, come quelli di Primo Levi che da sopravvissuto diventa poi lo scrittore della memoria dei campi di concentramento nazisti. Lui si ricorda quel giorno d'inverno di tanti anni fa. E' il 27 gennaio 1945. Sono le ore cruciali dell'avanzata americana e sovietica verso Berlino, il cuore del nazismo, dove Hitler e i suoi gerarchi sono sempre più accerchiati. Cadono ad uno ad uno i fronti di guerra e le truppe riunite intorno all'Asse (Germania, Italia, Giappone), lasciano sul campo una lunga scia di orrore e di morte. I soldati dell’Armata Rossa superano il cancello del campo di sterminio nazista di Auschwitz, già evacuato da alcuni giorni. Attraversano il grande cancello di ferro che porta la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, la stessa che hanno visto 960 mila ebrei, 74 mila polacchi, 21 mila rom, 15 mila prigionieri di guerra sovietici e 10 mila persone di altre nazionalità sterminati in pochi anni dalle SS naziste. Quel giorno termina il più imponente sterminio di massa della storia avvenuto in un unico luogo. Ma Auschwitz non è il solo campo di concentramento messo in piedi da Adolf Hitler e Himmler. Paesi disseminati da lager, come spiega Primo Levi Per comprendere questa storia bisogna tornare indietro di qualche anno. Il 1 settembre 1939, la Germania nazista invade la Polonia scatenando la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dei tedeschi nel giugno 1941, le SS di Himmler praticano quella che viene chiamata la “soluzione finale”, l'eliminazione di massa di intere comunità di ebrei in Europa. Sempre nel 1941 vengono introdotte camere a gas mobili montate su autocarri e i nazisti costruiscono numerosi campi di sterminio come quello di Auschwitz, in Polonia. Fa parte di un complesso più grande che comprende anche il campo di sterminio di Birkenau e il campo di lavoro di Monowitz. Ad Auschwitz-Birkenau alla fine della primavera del 1943, funzionano quattro camere a gas che utilizzano la sostanza tossica nota come Zyklon B. Nell’estate del 1944, l’offensiva sovietica si spinge fino alla Vistola, 200 chilometri dal campo di concentramento di Auschwitz e inizia ad espandersi verso il cuore della Germania. Sono i giorni in cui Hitler e Himmler sentono il fiato sul collo e procedono con lo smantellamento del lager. Le forze sovietiche entrano nel campo di Majdanek, vicino a Lublino, Polonia, nel luglio del 1944. Nell’estate del 1944, l’Armata Rossa conquista anche le zone in cui si trovano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka. Nel novembre del 1944, due mesi prima della liberazione, Himmler ordina la distruzione delle camere a gas di Birkenau rimaste ancora in funzione e il 17 gennaio 1945 ad Auschwitz viene fatto l’ultimo appello generale dei prigionieri. Le SS evacuano il campo a metà gennaio 1945. Migliaia di prigionieri vengono uccisi mentre altri, circa 60 mila, sono costretti a un’evacuazione forzata e a prendere parte a quelle che sarebbero poi divenute famose come “marce della morte”. Le marce procedono verso nord-ovest, fino a Gliwice, per 55 chilometri lungo i quali vengono raccolti anche i prigionieri dei sottocampi dell’Alta Slesia Orientale (Bismarckhuette, Althammer e Hindenburg), e verso ovest, per circa 60 chilometri, in direzione di Wodzislaw. Durante il cammino, le SS uccidono 15 mila prigionieri. Chi sopravvive viene invece caricato su treni merci e trasportato nei campi di concentramento in Germania. Si arriva all'epilogo finale. Il 27 gennaio 1945, verso mezzogiorno. Le prime truppe sovietiche del generale Kurockin

    • 17 min
    Charlie Hebdo | Gli Occhi della Storia

    Charlie Hebdo | Gli Occhi della Storia

    L’attentato a Charlie Hebdo, una rivista di satira francese nel cuore di Parigi, è un episodio plateale che appartiene all’escalation del terrorismo nata dallo scontro tra due mondi. Il mondo fondamentalista da una parte e la democrazia dall’altra.
    Il pretesto era legato ad una serie di vignette su Maometto che fin dal 2006 avevano portato ad attentati alla sede del periodico e una stretta vigilanza della sede da parte della polizia.
    Prima di quel 7 gennaio 2015 la recrudescenza del terrorismo si era manifestata in particolare in Canada, Australia e la stessa Francia, creando già un senso di disagio tra la comunità.
    Quel giorno di gennaio alle 11:30 i terroristi armati entrano nella sede di Charlie Hebdo prendendo in ostaggio una disegnatrice e costringendola a rivelare il codice per entrare nella redazione.
    Una volta entrati urlano il consueto Allāhu Akbar, sparano a tutti e lasciano 12 vittime.
    La fuga dei terroristi entra nella storia per il protagonismo degli assassini che cercavano pubblicità, gloria e sangue, compiendo altri gesti ìnfami, come l’uccisione di un poliziotto a terra, anche se era un gesto gratuito e l’uomo si chiamava Ahmed Merabet, brigadiere di fede musulmana.
    I due terroristi ancora senza nome scappano, le televisioni trasmettono quelle immagini e tutto il mondo osserva con orrore mentre la polizia cerca di catturarli.
    I due giorni che seguono sono carichi di tensione e morte, qui ricostruiti dal TG2


    Dal 2001 in avanti il terrorismo ha raggiunto lo scopo di terrorizzare ma soprattutto di creare imbarazzo e diffidenza. Per quanto si tratti di un attentato anomalo, proprio gli obbiettivi: dei vignettisti, ovvero artisti, intellettuali, non decisori politici, non soldati, nessuno che possa essere un reale pericolo per chi pretende di portare avanti una qualunque causa, crea nelle prime reazioni un sentimento di rabbia e di smarrimento.
    Le vittime infatti sono persone straordinarie, di grande talento, uccise in modo bestiale.


    La caccia intanto va avanti anche il 9 gennaio, con i terroristi in fuga che, apprenderemo quasi subito, sono fratelli e si chiamano Kouachi.


    Le inquadrature delle televisioni di tutto il mondo ritraggono il supermercato, la consapevolezza che da un momento all’altro potrebbe accadere qualcosa, spinge milioni di persone a seguire con apprensione le riprese di un’azione imminente. Questa è la testimonianza di una famiglia salernitana. Parla Antonio Trotta residente in Francia da tanti anni con la famiglia, il quale abita vicino alla zona e racconta dei terroristi asserragliati con gli ostaggi.
    I due fratelli Kouachi vengono uccisi nel pomeriggio durante l'irruzione nella tipografia dove si erano asserragliati.
    L’altro terrorista, Amedy Coulibaly, barricato nel supermercato Kosher, viene ucciso all'interno del supermarket dove teneva gli ostaggi. La prima ad essere colpita è una cassiera di soli 21 anni, ammazzata davanti a tutti per essere di religione o di origine ebraica, proprio come le altre vittime.
    Il fanatico fa in tempo a cancellare altre tre vite, con la minaccia di uccidere anche un bimbo di pochi mesi nel supermercato.
    La compagna di Coulibaly, Hayat Boumedienne, 26 anni, viene ricercata per essere interrogata come persona informata sui fatti, ma lei fugge e dal 2 gennaio 2015 vive in clandestinità per sfuggire alla condanna a 30 anni per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, coperta probabilmente dallo Stato Islamico.
    L’epilogo porta con sé polemiche furibonde che non risparmiano nessuno, a partire dai servizi segreti francesi che, come quelli americani nel 2001, sembrano colpevoli di un incredibile approssimazione, come sostiene il giornalista Carlo Panella

    Lo sostiene anche Andrea Marcelletti Consigliere per le Politiche di Sicurezza e di Contrasto al Terrorismo del Ministro della Difesa.


    Dietro ma anche ai lati di questo attentato ci sono sospetti, come sempre del resto, perché non è facile credere che, non

    • 19 min
    Tsunami dell’Oceano Indiano | Gli Occhi della Storia

    Tsunami dell’Oceano Indiano | Gli Occhi della Storia

    A cura di Francesco Massardo

    Ci sono momenti in cui il silenzio è una necessità più che un dovere. Momenti in cui non si può chiudere il mondo dietro la porta di casa, lui là fuori, noi qui dentro a festeggiare. Quello del 2005 non fu un Capodanno come gli altri. Il mondo, fuori, ci era entrato in casa senza bussare: qualche giorno prima, il 26 dicembre del 2004, nella giornata di Santo Stefano, la terra intera aveva assistito sgomenta a uno dei più devastanti eventi catastrofici della storia, almeno per quanto riguarda l’umanità.

    E così, mentre in rigoroso ciclo da Sidney a Los Angeles, il pianeta si apprestava a entrare nel 2005, lo sgomento e le immagini di morte e devastazione erano ancora troppo vivide per lasciare spazio ai festeggiamenti.

    Il maremoto dell'Oceano Indiano e della placca indo-asiatica del 26 dicembre 2004 è stato uno dei più catastrofici disastri naturali dell'epoca moderna e ha causato centinaia di migliaia di morti.

    A stupire in modo ancora oggi indelebile fu la rapidità con la quale un’area immensa del nostro pianeta venne messa in ginocchio. L’evento ha riguardato l'intero sud-est dell'Asia, giungendo a lambire addirittura le coste dell'Africa orientale.

    Nello specifico, i maremoti hanno colpito e devastato parti delle regioni costiere dell'Indonesia, dello Sri Lanka, dell'India, della Thailandia, della Birmania, del Bangladesh e delle Maldive, giungendo a colpire le coste della Somalia e del Kenya (ad oltre 4.500 km dall'epicentro del sisma). L'evento ha avuto inizio alle ore 07:58:53 locali, quai le due di notte in Italia del giorno di Santo Stefano quando un violentissimo terremoto, con una magnitudo di 9,1, ha colpito l'Oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra in Indonesia. Il sisma è durato 8 minuti. Tale terremoto è risultato in effetti il terzo più violento degli ultimi sessant'anni, dopo il sisma che colpì Valdivia, in Cile, il 22 maggio 1960 e quello dell'Alaska del 1964, rispettivamente con magnitudo 9,5 e 9,2, ma che per la scarsa densità abitativa di entrambi i luoghi, hanno totalizzato assieme poco più di tremila vittime, un numero alto, ma imparagonabilmente minore rispetto al dramma asiatico.

    Il terremoto ha scatenato nel 2004 delle grandi onde anomale che hanno colpito sotto forma di immensi maremoti (con un impressionante picco massimo di 51 metri, registrato a Lhoknga, in Indonesia) le coste dell'oceano Indiano, ma sono anche state registrate lievi fluttuazioni di livello nell'oceano Pacifico. Il numero totale di vittime accertate causate da questa serie di cataclismi è di circa 226.000 esseri umani, ma decine di migliaia di persone sono state date per disperse, mentre fra i tre ed i cinque milioni furono gli sfollati.

    A fronte di stime iniziali molto più conservative, il responsabile delle operazioni di soccorso dell'Unione europea, Guido Bertolaso, aveva fin dalle prime ore affermato che i morti avrebbero potuto essere alla fine ben più di 100.000, mentre in seguito sono circolate stime che pongono tra i 150.000 ed i 400.000 il numero dei morti per conseguenza diretta del terremoto e del conseguente maremoto soltanto in Indonesia.

    Dato ancor più devastante, secondo le organizzazioni umanitarie, circa un terzo delle vittime potrebbe essere costituito da bambini, specie in considerazione del fatto che fra le popolazioni delle regioni interessate dalla sciagura vi è un'alta proporzione di minori che hanno potuto opporre una minore resistenza alla forza straripante delle acque.

    Oltre alle popolazioni residenti, vi sono state tra le vittime molti turisti stranieri che si trovavano in quelle zone nel pieno delle vacanze di Natale, che nell’emisfero australe è periodo di alta stagione. Ad esempio, è notevole il fatto che questo singolo evento abbia causato quasi lo stesso numero di vittime di nazionalità svedese (543, delle quali 542 nella sola località thailandese di Khao Lak) di quante non ne avesse causate l'intera Sec

    • 19 min
    Piazza Fontana: il buco nero della Storia italiana | Gli Occhi della Storia

    Piazza Fontana: il buco nero della Storia italiana | Gli Occhi della Storia

    A cura di Daniele Biacchessi

    12 dicembre 1969. Una bomba ad alto potenziale viene collocata nel centro del salone della Banca Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano dove i cosiddetti fittavoli contrattano i loro affari. 17 morti e 88 feriti. E' la strage che inaugura una lunga stagione di attentati di chiara marca fascista che va sotto il nome di “strategia della tensione” che insanguina il nostro Paese da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. È il profondo buco nero della Storia italiana.

    Il 1969 è l’anno degli scioperi, dei cortei di operai e studenti in tutto il paese.
    Torino, Milano, Genova, il triangolo industriale.
    È l’anno delle bombe.
    Dal 3 gennaio al 12 dicembre se ne conteranno 145, una ogni tre giorni.
    Per 96 la responsabilità accertata è dell’estrema destra.
    Il 15 aprile ne scoppia una nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova.
    Il 9 aprile a Battipaglia vengono uccisi 2 lavoratori e 119 persone sono arrestati.
    Il giorno dopo ci saranno manifestazioni in tutta Italia, accompagnate da violenti scontri con la polizia. Il commissariato di Battipaglia viene dato alle fiamme.
    Il 25 aprile, alla Fiera di Milano, un ordigno provoca il ferimento di venti persone.
    In agosto vengono piazzati dieci ordigni sui treni:otto esplodono e colpiscono dodici passeggeri.
    A Pisa, il 27 ottobre, durante una manifestazione contro i colonnelli greci, uno studente rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno lanciato dalla polizia.
    Il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione per la casa muore il poliziotto Antonio Annaruma.

    Siamo in un clima incandescente sul piano politico.
    Si è appena insediato il secondo governo a guida Mariano Rumor.
    Il suo vice è Paolo Emilio Taviani. Ministro degli Esteri Aldo Moro,agli Interni Franco Restivo.
    Un monocolore Dc.
    Capo del Sid è l’ammiraglio Eugenio Henke.
    Al vertice della polizia c’è Angelo Vicari.
    Presidente della Repubblica è Giuseppe Saragat.
    Nel 1969, lo stipendio di un operaio specializzato era di 110mila lire al mese.
    L’affitto medio di un appartamento a Milano e Roma ammontava a 35 mila lire al mese.
    La Fiat 500 lusso costava 525 mila lire.
    Una tazza di caffè al bar costava 50 lire.
    Un litro di benzina 75 lire.

    12 dicembre 1969, mancano tredici giorni a Natale.
    È quasi sera ma Milano è illuminata a giorno.
    I grandi magazzini sono sfavillanti. Le compere e gli acquisti.
    Le luminarie addobbano il centro che sembra un carnevale.
    Migliaia di persone stipate in pochi metri tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e piazza San Babila vanno su e giù, osservano le vetrine.
    Ci sono gli zampognari e i venditori di caldarroste.
    Ai bar del Barba e Haiti servono espressi in continuazione.
    La gente transita nei pressi del Teatro alla Scala.
    Quella sera rappresentano Il barbiere di Siviglia.
    C’è ressa davanti al Rivoli per Un uomo da marciapiede e all’Excelsior per Nell’anno del Signore.
    Il freddo entra nelle ossa, con il bavero alzato e i guanti presi da Crippa, quel morbido pullover di cachemire comprato da Schettini e quella cravatta acquistata poco prima da Avolio.
    Magari un cappello, un Barbisio, un Borsalino.
    I giovani stanno tutti in Galleria Passerella da Fiorucci per gli ultimi arrivi alla moda. Tutti noi italiani ci sentiamo felici, immortali, allegri, innocenti.

    A un tratto un forte e dirompente boato rompe quella strana ubriacatura invernale. Giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.
    Sette chilogrammi d’esplosivo vengono compressi in una cassetta metallica, poi inseriti dentro una valigetta nera, tipo ventiquattro ore.
    E’ collocata proprio al centro del salone dove gli agricoltori contrattano i loro affari.
    La gelignite è attivata da un timer.
    12 dicembre 1969, piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta.
    Diciassette morti, ottantotto feriti.
    Alle 16.37 siamo già vecchi.
    Fortunato Zinni lavorava alla Banca Nazionale dell'Agricoltura. Lo conosco da tanto tempo. Ai tempi del

    • 16 min
    La Giornata Mondiale Contro l’AIDS | Gli Occhi della Storia

    La Giornata Mondiale Contro l’AIDS | Gli Occhi della Storia

    A cura di Francesco Massardo

    Il 1 dicembre di ogni anno si ricorda la Giornata Mondiale Contro l’AIDS, un appuntamento fondamentale per la medicina e per l’intera società.

    Il motivo è semplice: anche se negli ultimi anni l’attenzione è stata rivolta soprattutto alla pandemia da COVID-19, la diffusione del virus dell’HIV è ancora preoccupante e non deve essere trascurato.

    L’obiettivo fondamentale di questa giornata mondiale, istituita per la prima volta nel 1988, è la continua sensibilizzazione nei confronti di un’epidemia che ha raggiunto il proprio picco nel 2004, ma che ancora nel 2019 contava ben 690.000 vittime per malattie opportunistiche legate all’AIDS nel mondo.

    Numeri senz’altro in miglioramento, anche questo è un dato, e che lasciano sperare ma che non possono ancora rappresentare la sconfitta definitiva del virus.

    Certamente anche l’informazione deve fare la sua parte: ormai assuefatti da mesi di bollettini pandemici, non possiamo dimenticare il triste primato degli 1,1 milioni di decessi registrati nel 2010, l’annus horribilis del virus HIV.

    Sebbene la diffusione dei farmaci abbia raggiunto altissimi livelli qualitativi, quasi inimmaginabili solo fino a pochi anni fa – e lo stesso si possa dire per la prevenzione – c’è sempre bisogno di mantenere alto il livello di attenzione.

    La Giornata Mondiale contro l’AIDS serve in fondo proprio a questo: mantenere elevata l’attenzione – tra i più giovani ma non solo – e puntare lo sguardo verso i problemi che riguardano la diffusione del virus nei paesi del Terzo Mondo, dove l’accesso alle cure è ancora troppo difficile.

    Ma come e quando nasce la Giornata Mondiale Contro l’AIDS?

    Questo appuntamento è stato istituito come detto nel 1988 e, come chiarisce il sito ufficiale, è stata la prima giornata mondiale dedicata alla salute ad essere stabilita a livello globale. Il suo scopo è quello di unire le persone e mobilitarle per combattere l’HIV in modi differenti. In che modo?

    Condividendo innanzitutto i principi della prevenzione, le storie di persone che oggi convivono con questa condizione, le opere per ricordare coloro che sono morti per malattie correlate.

    Il simbolo della Giornata Mondiale Contro l’AIDS è il fiocco rosso incrociato che nasce nel 1991 da un singolo nastro, sinonimo in linea generale della lotta contro l’HIV.

    Questa giornata deve ricordare a tutti che questa epidemia, anche se ha rallentato notevolmente la propria diffusione ed è più facile da contenere rispetto al passato, è ancora mortale, o comunque impone numeri difficili da gestire per la sanità mondiale. Ecco qualche esempio:

    26 milioni di persone al mondo accedono alla terapia antiretrovirale
    Fino al 2019 circa 38 milioni di individui nel mondo convivevano con una diagnosi di positività al virus dell’HIV.
    Soltanto nel 2019 sono state diagnosticate 1,7 milioni di nuove infezioni da HIV.
    Dall’inizio dell’epidemia al 2019, circa 75,7 milioni hanno contratto l’AIDS.
    Infine un ultimo dato, il più difficile da commentare: dal 1981 (anno in cui per la prima volta venne identificata la nuova patologia), 33 milioni di persone sono morte per malattie opportunistiche legate all’AIDS. Anche per questi dati è giusto portare all’attenzione di tutti l’obbligo di seguire le giuste precauzioni.

    Altro tema fondamentale è l’importanza di ricordare la presenza quasi endemica del virus nei paesi socio economicamente meno sviluppati. L’Africa è oggi il continente più colpito al mondo da questa epidemia: circa il 60% di tutti i soggetti colpiti dalla malattia vive nel continente a fronte del 12% di popolazione mondiale.

    La difficile condizione economica presente in molti Stati, unita alla diffidenza culturale presente in molti villaggi rurali riguardo i metodi di protezione dalla malattia (come l’utilizzo del profilattico), porta ancora oggi moltissime persone ad infettarsi e a trasmettere la malattia ai propri figli al m

    • 15 min

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