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Borghi Fantastici, la guida fantasy ai Borghi Italiani, è il progetto vincitore del Contest Viaggio in Italia promosso dal Ministero del Turismo in collaborazione con Invitalia.
Sei pronto a partire per un viaggio carico di suggestione e mistero? In Italia, ogni Regione offre luoghi incantevoli da visitare, scenari e borghi ricchi di storia e di leggende. In questo tour potrai scoprire nuovi racconti e organizzare viaggi che ti porteranno a vedere, e toccare, spade nella roccia, a bagnarti nelle fonti della giovinezza, ad attraversare, con un piccolo brivido, le stanze di Castelli infestati dai fantasmi, a percorrere i vicoli dei borghi delle streghe o a giocare, con gli amici e tutta la famiglia, a rinvenire tesori mai ritrovati. Ogni podcast nasconde un segreto, un mito, una curiosità, ascoltali tutti e parti alla scoperta dei Borghi Fantastici.
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Borghi Fantastici - MIT Ministero del Turismo

    • Cultura e società
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Borghi Fantastici, la guida fantasy ai Borghi Italiani, è il progetto vincitore del Contest Viaggio in Italia promosso dal Ministero del Turismo in collaborazione con Invitalia.
Sei pronto a partire per un viaggio carico di suggestione e mistero? In Italia, ogni Regione offre luoghi incantevoli da visitare, scenari e borghi ricchi di storia e di leggende. In questo tour potrai scoprire nuovi racconti e organizzare viaggi che ti porteranno a vedere, e toccare, spade nella roccia, a bagnarti nelle fonti della giovinezza, ad attraversare, con un piccolo brivido, le stanze di Castelli infestati dai fantasmi, a percorrere i vicoli dei borghi delle streghe o a giocare, con gli amici e tutta la famiglia, a rinvenire tesori mai ritrovati. Ogni podcast nasconde un segreto, un mito, una curiosità, ascoltali tutti e parti alla scoperta dei Borghi Fantastici.
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    Ruvo di Puglia (BA) - La leggenda del Conte Carafa e dell’inchino del suo Cavallo

    Ruvo di Puglia (BA) - La leggenda del Conte Carafa e dell’inchino del suo Cavallo

    Nel Parco dell’Alta Murgia, in una distesa di ulivi e vigneti, sorge Ruvo di Puglia. Città d’arte, dal passato fiorente, conserva reperti e monumenti di pregio. Tra i vicoli stretti del centro storico, si riflette la pietra bianca e luminosa dei palazzi cinquecenteschi e delle case più antiche. Il sole rende abbagliante anche la Cattedrale di Santa Maria Assunta. È un gioiello romanico pugliese, la cui facciata è impreziosita dal rosone e da bassorilievi con leoni, grifi, i quattro Evangelisti, figure angeliche e zoomorfe. Palazzo Jatta ospita il Museo Archeologico Nazionale, dove sono conservate preziose ceramiche di varie epoche, tra cui il suggestivo Vaso di Talos. Il forte legame del borgo con il passato e le sue tradizioni è mantenuto vivo anche dalle processioni penitenziali, sorte con le Confraternite religiose. Proprio a una processione è legata la leggenda del Cavallo Inchinato di Ruvo.
    Nel 1500, il feudo di Ruvo di Puglia fu acquisito dal casato dei Conti Carafa, i quali governarono il territorio per almeno duecento anni. La signoria dei Carafa contribuì in modo controverso alla gloria di Ruvo. I Conti Carafa furono tiranni e il popolo dovette subire numerose angherie. Una di queste fu ad opera del Conte Ettore. Si narra che il Conte Ettore amava andare a caccia, nel territorio intorno al borgo. Un giorno, di ritorno da una battuta di caccia, il Conte Ettore si imbatté con il suo seguito nella processione del Corpus Domini. Già il fragoroso scalpiccio degli zoccoli infastidiva il devoto silenzio dei fedeli, raccolti in preghiera. Eppure il Conte Ettore osò di più. Con arroganza e presunzione, il Signorotto volle attraversare il corteo, interrompendo la funzione religiosa. Fu allora che accadde qualcosa di imprevisto ed inimmaginabile. Il cavallo del Conte, giunto al cospetto del Santissimo Sacramento, chinò la testa e si inginocchiò. Un simile gesto compiuto dall’animale colpì profondamente l’animo del nobile. L’uomo si sentì mortificato e colse la gravità del proprio comportamento. Per risolvere l’ignominia di cui si era macchiato, il Conte Ettore stabilì di celebrare di nuovo la solennità del Corpus Domini, a proprie spese e con più sfarzo, otto giorni dopo. Nacque così la festa dell’Ottavario. Essa si ripete ancora oggi, con un grande corteo che si snoda lungo i vicoli del centro storico.
    In un quadro della Chiesa di San Giacomo, si nota il Conte Carafa che regge l’ombrello al Vescovo, proprio durante la processione dell’Ottavario. La leggenda racconta infatti che quella volta in cui il cavallo si inchinò, il Conte finì addirittura in faccia al prelato. E fu il Vescovo in persona che fece una severa reprimenda, a quel Signorotto troppo pieno di sé e poco rispettoso.

    Montone (PG) - Braccio Fortebraccio e la leggenda della Spina Santa

    Montone (PG) - Braccio Fortebraccio e la leggenda della Spina Santa

    Montone è un borgo medioevale che risale all’anno Mille. Situato nell’Alta Valle del Tevere, Montone si erge su un colle, incorniciato dal verde rigoglioso del paesaggio. Le antiche mura circondano il borgo e racchiudono vicoli tortuosi, scalinate, piazzette, botteghe, edifici storici e religiosi di gran pregio, oltre a torri e campanili che svettano sul profilo del paese. La storia di Montone balza al centro delle cronache a partire dal Trecento, grazie alla famiglia Fortebracci e soprattutto al condottiero Andrea Fortebracci, meglio conosciuto come Braccio da Montone.
    Egli fu un abile combattente, coraggioso, astuto ma anche spietato. Braccio da Montone fu protagonista di numerose battaglie e fece grandi conquiste sulle terre del centro Italia, al comando di una compagnia di soldati di ventura. Braccio da Montone fu un uomo politico ambizioso, uno stratega militare che seppe farsi conoscere e ricordare da tutti per la sua audacia. In un’opera, Manzoni lo richiama con simili versi: “Per tutto ancora con maraviglia e con terror si noma”. Le prodezze di Braccio da Montone arrivarono quasi a costituire uno Stato in opposizione allo Stato della Chiesa. Ma questa volontà fu decisamente troppo audace e finì per costargli la vita. Braccio da Montone morì in battaglia nel 1424.
    Dopo pochi anni, il figlio Carlo si dimostrò degno erede del padre condottiero e seppe distinguersi anche lui, con sommo valore, al servizio della Repubblica di Venezia. Carlo Fortebracci combatté contro i Mori e li sconfisse. A seguito di una simile importante vittoria, Carlo ricevette in dono una Spina della Corona di Cristo, così la portò a Montone, il suo paese natìo, e ne decretò la festa il Lunedì dell’Angelo.
    A questo punto del racconto, ecco cosa narra la leggenda. Si dice che all’arrivo di Carlo, di ritorno da Venezia, al passaggio del primo drappello di soldati, le campane del borgo presero a suonare, senza che vi fosse alcun campanaro appeso alla corda del batocchio. Le campane suonarono da sole, per festeggiare l’arrivo della Spina Santa. Una leggenda, ancor più suggestiva, racconta che la Spina fiorì il giorno del Venerdì Santo, emanando un delicato profumo che inebriò le vie del paese.
    La Santa Spina ora è custodita dalle suore di Sant’Agnese. L’ostensione della reliquia viene celebrata ogni anno, il Lunedì di Pasqua. La penultima domenica di agosto, invece, la festa per la Spina Santa si arricchisce di un corteo in costume e della contesa del palio tra i tre rioni del paese.

    Isola del Liri (FR) - La Cascata nel borgo

    Isola del Liri (FR) - La Cascata nel borgo

    Dopo il grande salto, una nuvola d’acqua rimane sempre sospesa nell’aria e lo fa per un tempo che appare infinito. È quello che succede ai piedi di una cascata. Di giorno, quando il sole si riflette in quelle gocce, nasce l’arcobaleno sull’acqua. Di notte, i giochi di luce creano l’atmosfera perfetta, per lo sguardo intenso degli innamorati. In verità, nessuno può sfuggire all’incanto di quell’angolo da fiaba. Che esiste, è tutto vero, e si trova in un borgo della bassa Ciociaria. Isola del Liri, così si chiama il paese con al centro una cascata. Anzi due.
    L’Isola del Liri, come racconta il nome stesso, è un borgo che sorge su un’isola creata dalle braccia di un fiume. Il Liri è un corso d’acqua che giunge placido fino ad un masso di travertino, il quale sovrasta il borgo e costringe il fiume a dividersi in due canali. Questi ultimi si tuffano entrambi nell’ambiente sottostante, formando due cascate. Una detta la Grande Cascata Verticale, l’altra più piccola è la Cascata del Valcatoio. In tutta Europa, la Grande Cascata è l’unica a compiere un salto di ben 27 metri all’interno di un tessuto urbano.
    Ecco perché quando si cammina tra i vicoli del borgo, giunge all’udito una melodia secolare, è il suono fragoroso dell’acqua, ascoltandolo pare come di immergersi e di percorrere le pagine di una fiaba. Alzando lo sguardo, in cima al masso di travertino che biforca il fiume, si erge imponente il Castello Boncompagni Viscogliosi. L’edificio è immerso in un parco lussureggiante. Quel folto verde è una cornice perfetta, che ricade con esuberanza ai lati della Grande Cascata.
    Isola del Liri regala uno scenario singolare che stupisce e toglie il respiro. Nei secoli, quell’angolo fiabesco ha saputo colpire la sensibilità di tanti artisti, pittori anche stranieri. Essi hanno voluto imprimere nelle tele l’armonia della natura, che sa irrompere nella vita quotidiana di un borgo, sfiorandone le abitazioni e regalando un insolito incanto, da ammirare seduti al tavolino di un bar o affacciati alle finestre di una casa.

    Sutri (VT) - La leggenda di Orlando il Paladino

    Sutri (VT) - La leggenda di Orlando il Paladino

    Sutri è un borgo arroccato su un colle di tufo, nel cuore della Tuscia. Circondata dai boschi, Sutri è chiamata “La porta dell’Etruria”. Le sue origini sono assai remote, dicono risalga all’età del bronzo o addirittura sia stata fondata dal Dio Saturno. La Necropoli etrusca, il suggestivo Anfiteatro Romano, il Mitreo, l’elegante Villa Signorelli sono i luoghi che raccontano di un passato ricco di storia. Il borgo del paese è un reticolo di stradine, piazze, su cui affacciano palazzi d’un tempo e le antiche case in tufo rosso. Le numerose chiese di Sutri riportano bellezze artistiche ed architettoniche di notevole pregio. A Sutri, passa anche un tratto della celeberrima Via Francigena, lo storico cammino percorso dai pellegrini che collega la cattedrale di Canterbury alla città di Roma. Ma a Sutri, passa pure la Via Cassia. Ed è proprio lungo questo tragitto, appena fuori paese, che si trova una grotta etrusca detta la Grotta di Orlando.
    Secondo una leggenda, in questo antro composto di due stanze e una colonna, nacque il valoroso paladino Orlando. La madre Berta era la sorella di Carlo Magno e quel figlio fu il frutto dell’amore con il giovane Milone. Costui era un brav’uomo e valoroso condottiero, ma privo di titoli nobiliari. Carlo Magno, saputo dell’unione di Berta con quell’uomo dalle umili origini, diseredò la sorella e la cacciò dal castello. Milone e Berta si misero allora in cammino verso Roma, per chiedere l’aiuto del Papa. Giunti nei pressi di Sutri, Berta fu colta dalle doglie e partorì Orlando in una grotta solitaria. Si narra che una volta, il piccolo ancora in fasce sfuggì alle mani della madre e rotolò sull’erba del prato. Berta esclamò “Oh, le petit Roland!”. Da allora, quella valle prese il nome di Valle Rotoli.
    Orlando crebbe a Sutri e diventò presto un condottiero forte e abile. Un giorno d’inverno, Carlo Magno si trovò di passaggio nel borgo, era diretto a Roma per essere incoronato. Il giovane Orlando ne approfittò per introdursi a un banchetto del Re. Si travestì da servitore e riuscì a sottrarre proprio la coppa, dalla quale aveva appena bevuto il sovrano. Carlo Magno se ne accorse e volle sfidare il ragazzo a ripetere quella giocosa malefatta. L’indomani, Orlando riuscì di nuovo a trafugare la coppa regale. Nel frattempo, i fedelissimi del Re incontrarono Berta per le strade di Sutri e la riconobbero. Tornati alla corte, riferirono tutto a Carlo Magno. Fu così che il re, scoperta l’identità di quell’abile giovanotto, decise di ricongiungere tutta la sua famiglia. Nato in una grotta, di un borgo della Tuscia, Orlando venne presto nominato Paladino di Francia e divenne protagonista di famose gesta cavalleresche.

    Civita di Bagnoregio (VT) - La leggenda di San Bonaventura

    Civita di Bagnoregio (VT) - La leggenda di San Bonaventura

    Arroccato su uno sperone di roccia, circondato da un’ampia conca dall’aspetto lunare, Civita di Bagnoregio si raggiunge soltanto percorrendo a piedi un lungo ponte, a strapiombo sulla vallata. Civita di Bagnoregio è un luogo d’incanto ma è definito anche “la città che muore”. Il colle tufaceo su cui sorge il borgo è destinato ad assottigliarsi gradualmente. Gli agenti atmosferici, le frane e le acque dei torrenti della valle, operano un’erosione continua che lentamente sgretola la fragile rupe.
    Una volta attraversato il ponte pedonale e varcata Porta Santa Maria, scavata nella roccia, si scopre un piccolo mondo suggestivo, tanto silenzioso quanto pittoresco. Camminando sui ciottoli, ci si addentra tra vicoli e piazzette. Le case medioevali sono in pietra, basse, rallegrate da balconi fioriti e con le tipiche scalette esterne, dette profferli. Tra palazzi trecenteschi e botteghe, ricordo di un tempo vivace, si giunge nella piazza principale dove si affaccia la Chiesa di San Donato. Al suo interno, è custodito un crocifisso ligneo ritenuto miracoloso. Si racconta che nel 1499 si diffuse nel territorio un’epidemia di peste. Una donna, che era solita pregare davanti al crocifisso, un giorno udì una voce, che la rassicurò sull’imminente fine della pestilenza. Di lì a poco, l’epidemia scomparve e tutti gridarono al miracolo. Ogni anno, il giorno del Venerdì Santo, il crocifisso viene portato in processione. Qualcuno ritiene pure che il volto di Cristo diventi sempre più sofferente man mano che la processione si allontana dal borgo di Civita, per giungere oltre il ponte, nel vicino Bagnoregio.
    Per conoscere un’altra leggenda dobbiamo, invece, affacciarci al Belvedere di San Francesco Vecchio. Qui ci si espone sulla rupe dove si trova la grotta di San Bonaventura. Il nome del santo fu Giovanni Fidanza, un uomo originario proprio di Bagnoregio. Si racconta che San Francesco in persona guarì con un miracolo il piccolo Giovanni, gravemente malato. Quando ciò avvenne, il Santo stesso esclamò “Oh bona ventura!” e fu così che Giovanni Fidanza decise di farsi monaco anche lui e, per il suo grande operato, diventò San Bonaventura.
    Infine, è il nome stesso di Bagnoregio a nascondere una storia misteriosa. Forse deriva dal latino Balneum Regis, che significa Bagno del Re. La leggenda racconta che Desiderio, un re longobardo, guarì dalle ferite di guerra semplicemente immergendosi nelle vicine acque termali della zona.
    Civita di Bagnoregio è un borgo minuscolo eppure è uno scrigno di bellezze, persino quando è circondato dalla nebbia della valle, sembra come sospeso su una nuvola. La sua fragilità è il tesoro più grande. Essa dona al luogo un’atmosfera magica e struggente. Si imprime nello sguardo e nel cuore di chi varca la soglia di questo piccolo mondo tenace, dal destino inesorabile.

    Gaeta (LT) - La leggenda della Montagna Spaccata

    Gaeta (LT) - La leggenda della Montagna Spaccata

    Gaeta è un borgo dalle origini antichissime e sorge su una penisola che si estende nell’omonimo Golfo. Il borgo vecchio di Gaeta risale all’epoca medioevale. Dal lungomare, ci si inoltra in un dedalo di vicoli e scalinate, su cui affacciano le vecchie case dei pescatori, le botteghe dal sapore d’un tempo lontano, insieme alle Chiese riccamente decorate, campanili in stile arabo-normanno, torri cilindriche e il maestoso Castello Angioino Aragonese che domina dall’alto il panorama sul mare. Ed è proprio di fronte all’intenso colore turchese dell’acqua che Gaeta rivela bellezze naturali, capaci di suscitare stupore e mistero.
    Il Monte Orlando è l’estrema propaggine della penisola su cui è adagiato il borgo. Il monte si getta in mare con una spettacolare falesia e presenta grotte e crepacci suggestivi, come quelli della cosiddetta “Montagna Spaccata”. Si tratta di tre profonde fenditure, le quali tagliano la roccia in tutta la sua altezza e generano storie suggestive.
    Narra la leggenda che tali fenditure si formarono nel momento esatto in cui Cristo morì. Il dolore del mondo fu così intenso, che il terremoto di Gerusalemme scosse il mare e l’acqua trafisse la montagna, spaccando il promontorio in tre punti. Una scalinata, che parte dal Santuario della Santissima Trinità, consente di inoltrarsi nelle viscere della montagna spaccata. Lungo la scalinata, si percorre anche una sorta di Via Crucis incisa nella roccia, mentre si ammira dall’interno la fenditura più profonda. Le magie e i misteri del luogo proseguono poi scendendo gli scalini verso il mare. Ad un tratto, infatti, si incontra la misteriosa Mano del Turco. Sono i segni, impressi nella parete, che nascondono un’altra storia. Si narra, che un turco giunto lungo la costa si inoltrò nella spaccatura del promontorio. Il turco non credeva affatto alla storia della montagna legata alla morte di Gesù ma, quando appoggiò una mano sulla roccia, quella diventò morbida come burro. Le dita del turco affondarono miracolosamente nella parete e lasciarono così la loro impronta. Essa è ancora visibile, dunque a tutti è concesso ora di infilare le proprie cinque dita nella roccia. Accanto all’impronta del turco è presente una lapida con una scritta in latino che recita così: "Un incredulo si rifiutò di credere a ciò che la tradizione riferisce, lo prova questa roccia rammollitasi al tocco delle sue dita”.
    Scendendo ancora più in basso, lungo la fenditura, si incontra il Letto di San Filippo Neri, un giaciglio in pietra su cui Filippo Neri amava ritirarsi in preghiera. Nel 1400, un macigno si staccò dalla cima e si incastrò tra le pareti di roccia, lì ora sorge la Cappella del Crocifisso.
    L’esplorazione della Montagna Spaccata prosegue poi con la Grotta dei Turchi, uno spettacolare antro in cui i saraceni usavano ripararsi con le loro navi.
    Storia, arte e mistero fanno di Gaeta un luogo magico, in cui anche la natura crea effetti leggendari, nell’incontro estremo e imprevedibile tra il mare e il monte.

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