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Matassa è il nuovo podcast di the Submarine che vuole raccontare quello che succede nei paesi e nei luoghi che la stampa mainstream italiana prende in considerazione soprattutto quando c’è da mettere in guardia sull’ennesima presunta invasione di migranti o profughi.

Non è semplice avere un'idea chiara di quello che succede intorno a noi: soprattutto di questa parte del mondo — che guardiamo da lontano, superficialmente e con l’occhio della narrazione occidentale. Matassa intende raccontarla con più chiarezza, con la consapevolezza che le classi ricche dell’Occidente non sono il centro dell’universo.

Leila Belhadj Mohamed è laureata in relazioni internazionali ed è un’ attivista transfemminista esperta di geopolitica e diritti umani. Ha lavorato per anni nella comunicazione per il sociale e scrive di geopolitica del Medio Oriente e del continente africano.

The Submarine è una testata online che fa base a Milano, che si occupa di giustizia sociale, lotta alle disuguaglianze e cultura pop.

Matassa The Submarine

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Matassa è il nuovo podcast di the Submarine che vuole raccontare quello che succede nei paesi e nei luoghi che la stampa mainstream italiana prende in considerazione soprattutto quando c’è da mettere in guardia sull’ennesima presunta invasione di migranti o profughi.

Non è semplice avere un'idea chiara di quello che succede intorno a noi: soprattutto di questa parte del mondo — che guardiamo da lontano, superficialmente e con l’occhio della narrazione occidentale. Matassa intende raccontarla con più chiarezza, con la consapevolezza che le classi ricche dell’Occidente non sono il centro dell’universo.

Leila Belhadj Mohamed è laureata in relazioni internazionali ed è un’ attivista transfemminista esperta di geopolitica e diritti umani. Ha lavorato per anni nella comunicazione per il sociale e scrive di geopolitica del Medio Oriente e del continente africano.

The Submarine è una testata online che fa base a Milano, che si occupa di giustizia sociale, lotta alle disuguaglianze e cultura pop.

    015: Guantánamo: vent'anni di cancellazione dei diritti

    015: Guantánamo: vent'anni di cancellazione dei diritti

    Nell’indifferenza generale della politica statunitense e internazionale — con poche eccezioni — oggi si celebrano i 20 anni dall’arrivo dei primi detenuti afgani nel famigerato carcere dove le torture e i soprusi erano, e restano, la quotidianità
     

    L’11 gennaio 2002 arrivano a Guantánamo i primi venti detenuti afgani. Oggi, l’anniversario dei vent’anni di apertura del centro di detenzione di Guantánamo sta passando in sordina. Nonostante nell’opinione pubblica sembri uno scandalo relegato al passato, nel centro sono rinchiusi ancora 39 “nemici combattenti” — ovvero prigionieri di guerra. L’amministrazione Biden sta valutando di costruire nella baia una seconda aula di tribunale militare, per snellire le procedure e poter condurre più di un processo parallelamente.

     

    Guantánamo è stata aperta l’11 gennaio 2002, sulla scia della politica intrusiva di Bush con perno nel Patriot Act dopo l’attacco alle Torri Gemelle. La legge federale rinforzava i corpi di polizia e di spionaggio, intaccava il diritto alla privacy e permetteva arresti senza base giuridica. Negli anni sono state molte le indagini e le rivelazioni che ci hanno permesso di capire cosa stesse succedendo all’interno della struttura — da una prima, fondamentale, inchiesta di Amnesty International passando per la pubblicazione di documenti segretati da parte di WikiLeaks. Negli anni, il centro di detenzione è diventato così sede di una perpetua violazione dei diritti, che continua ancora oggi: infatti, a differenza del caso di Abu Ghraib, dove la prigione è stata chiusa, anche se non si è fatta giustizia, finora nessuno dei due partiti di governo statunitensi sembrano essere intenzionati a mettere fine agli abusi.

     
    Show notes
     

    Timeline: 20 years of Guantanamo Bay prison | Human Rights News | Al Jazeera
    Guantánamo entra nel ventesimo anno: violazioni dei diritti umani ancora in corso   - Amnesty International Italia
    Deputati tedeschi a Biden: "Chiudere il campo di Guantanamo"
    Abu Ghraib: 5 milioni di dollari agli ex prigionieri | Globalist
    Guantanamo, a 20 anni dall’apertura rimane imprigionato nelle promesse
    Usa, per la prima volta detenuto Guantanamo descrive torture Cia - Mondo - ANSA
    Guantanamo: An enduring symbol of the savagery unleashed upon innocent Muslims | Middle East Eye
    Guantánamo Is an Unresolved Vestige of America’s Occupation of Afghanistan
    Guantánamo 20 anni dopo


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    In copertina, foto Shane T. McCoy, marina statunitense. Via Wikimedia Commons

    • 28 min
    014: Un accordo a prova di bomba?

    014: Un accordo a prova di bomba?

    Siamo all’ottavo round di trattativa per far rientrare gli Stati Uniti negli accordi per il nucleare iraniano — ma per ora la situazione resta bloccata, con Washington e Teheran che dovranno prendere difficili decisioni politiche per siglare un nuovo accordo
     

    La scorsa settimana si è aperta l’ottava sessione della trattativa di Vienna per far rientrare gli Stati Uniti negli accordi per il nucleare iraniano: come sempre continuano a non esserci incontri diretti tra Iran e Stati Uniti, costringendo gli altri stati membri del Piano a coordinarsi in una serie di bilaterali e trilaterali. Questa volta c’era da sciogliere un nodo specifico: come verificare l’eliminazione delle sanzioni statunitensi, nel caso si arrivasse ad un accordo. L’atmosfera, dopo i progressi dello scorso meeting, è rimasta costruttiva, ma per arrivare a un punto di svolta, secondo il coordinatore europeo Enrique Mora, “sia Teheran che Washington dovranno prendere decisioni politiche difficili.” 

     

    Questa settimana, invece, è il secondo anniversario dell’uccisione Qassem Soleimani da parte degli Stati Uniti. Nel gennaio 2020, Trump aveva ordinato un attacco drone all’aeroporto internazionale di Baghdad, che ha colpito un convoglio con a bordo diversi ufficiali di milizie irachene, ma anche Qassem Suleimani, il maggior generale comandante della Forza Quds, l’unità responsabile delle operazioni all’estero delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Soleimani è stato responsabile della quasi totalità delle operazioni militari e di intelligence iraniane negli ultimi vent’anni. La sua uccisione aveva portato le tensioni tra Teheran e Washington a un livello senza precedenti. 

     

    Ora, tra una presidenza Biden che ha saputo realizzare poco e niente in ambito diplomatico, a parte la catastrofica uscita dall’Afghanistan, e un Iran ora sotto la guida di Ebrahim Raisi, un accordo per ricucire lo strappo sembra ancora difficile — mentre Israele usa lo stallo tra i due paesi per difendere i propri interessi.

     
    Show notes
     

    Iran nuclear deal: eighth round of talks begins in Vienna | Iran | The Guardian
    The Historic Deal that Will Prevent Iran from Acquiring a Nuclear Weapon | The White House
    Chi era Qassem Soleimani, il più potente generale iraniano ucciso dagli USA | Euronews
    Iran: Israele ha ucciso il capo dell'energia nucleare Mohsen Fakhrizadeh | il manifesto
    "Sapevano tutto di lui, anche che dopobarba usava": così Israele ha ucciso il capo del programma nucleare iraniano - la Repubblica
    Ripresi a Vienna i negoziati sul nucleare iraniano. Israele: pronti ad azioni contro Teheran anche da soli
    Israele: "L'esercito si prepari ad attaccare l'Iran". L'incubo è l'arma atomica - Esteri
    Sta diventando sempre più difficile tornare all'accordo sul nucleare iraniano - Il Post
    L'accordo sul nucleare iraniano, spiegato - Il Post
    Israel signs $3bn deal for US helicopters, refuelling planes | Middle East Eye
    Iran wants a sustainable nuclear deal. Only the lifting of US sanctions can achieve this | Middle East Eye

     
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    In copertina: il comitato che negozia il nuovo accordo durante una riunione a Vienna lo scorso dicembre. Foto via Twitter

     

    • 24 min
    013: Il razzismo europeo contro il calcio africano

    013: Il razzismo europeo contro il calcio africano

    Il calcio internazionale adotta due pesi e due misure con le federazioni più ricche e quelle più povere — mentre a nessuno sembra interessare la morte di migliaia di operai nella costruzione degli stadi in Qatar
     

    Si è conclusa da poco la prima edizione della Fifa Arab Cup, una competizione organizzata fin dal 1963 dalla Uafa — la Union of Arab Football Associations, l’associazione delle federazioni calcistiche dei paesi arabi — che è ancora oggi un importante momento di condivisione e confronto politico e culturale. La competizione è stata vinta dall’Algeria in finale contro la Tunisia, e la finale è stata sostanzialmente una grande festa, con i vincitori che hanno dedicato la coppa al popolo palestinese.

     

    Come molte altre manifestazioni calcistiche di alto livello, però, ci sono diverse criticità soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione: la competizione si è tenuta in Qatar ed è stata sostanzialmente una prova generale per i mondiali del 2022. Anche in questo caso quindi si è giocato in stadi costruiti sul sangue degli operai morti per realizzarli: secondo le ultime stime ben 6.500 persone, impiegate in condizione di semi-schiavitù, sarebbero morte partecipando alla costruzione delle strutture. Sarebbe opportuno pensare a un boicottaggio, ma i timidi tentativi in tal senso sono stati subito bloccati dalle federazioni nazionali, timorose di compromettere la riuscita di un ricco evento come i Campionati del mondo.

     

    Per i prossimi mondiali, inoltre, la Fifa sta pensando a un’espansione disuguale dei paesi coinvolti, che consentirebbe la partecipazione di un numero di club europei sempre più ampio — mentre molte altre federazioni meno ricche e potenti della Uefa continuano a essere sottorappresentate. Nel frattempo, se siete fan del calcio, potete consolarvi seguendo la coppa d’Africa che partirà nel weekend del 9 gennaio. Nelle ultime settimane diversi esponenti del calcio italiano ed europeo si sono lasciati andare a lamentele dal retrogusto razzista sul fatto che la competizione privi i preziosi club europei dei propri calciatori per una coppa vista come inutile, a differenza di quelle a cui partecipano i paesi della Uefa.

     
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    in copertina, elaborazione grab via Vimeo CC BY 3.0 AFL Architects

    • 21 min
    012: L’ennesimo fallimento neocoloniale francese in Mali

    012: L’ennesimo fallimento neocoloniale francese in Mali

    Il governo francese ha annunciato la fine dell’operazione Barkhane, ma il Mali è uno dei paesi più poveri e sfruttati del mondo, minacciato dal cambiamento climatico e dalla desertificazione.
     

    Il governo francese ha annunciato la fine dell’operazione Barkhane — l’ennesima azione militare con cui la Francia ha messo gli stivali nel suolo dell’Africa Occidentale, che nonostante mezzo secolo di decolonizzazione il governo di Parigi continua evidentemente a considerare un suo cortile. Il Mali inoltre è un paese tutt’altro che pacificato, in cui è recentemente avvenuto un colpo di stato militare, con frange di guerriglieri che cercano di affiliarsi alla grande galassia del jihadismo internazionale e interessi contrapposti tra le grandi potenze occidentali. Ma questi guerriglieri possono essere definiti jihadisti? E, vent’anni dopo l’attentato alle Torri gemelle, ha ancora senso usare questo termine nel modo in cui siamo abituati?

     

    Come sempre troviamo poi in azione nella zona i mercenari russi del gruppo Wagner, che vengono usati da Mosca ormai come una vera parte integrante della propria strategia “diplomatica,” essendo attivi in numerose aree di guerra — anche a bassa intensità — in varie parti del mondo. In tutto questo, il Mali è uno dei paesi più poveri e sfruttati del mondo, minacciato dal cambiamento climatico e dalla desertificazione: a farne le spese sono ovviamente le persone comuni, che spesso sono costrette a fuggire verso quell’Europa che è stata la causa primaria di molte delle loro difficoltà. 

     
    Show notes
     

    France's Macron cancels Mali trip over new COVID wave | Reuters
    Una panoramica sul G5 Sahel | Il Caffè Geopolitico
    France is one step closer to withdrawal from Mali | Africanews
    Mali, così Washington pressa sulla Wagner - Formiche.net
    Il Mali oltre la linea rossa della guerra | il manifesto
    U.S. alarmed by potential deployment of Russia-backed group in Mali -State Department | Reuters
    French forces leave Mali’s Timbuktu after nearly nine years | News | Al Jazeera

     
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    In copertina, foto CC-BY-SA 4.0 TM1972

    • 20 min
    11: Il rais preferito dell’Unione europea

    11: Il rais preferito dell’Unione europea

    Nonostante gli sviluppi molto positivi del caso Zaki, la crisi della democrazia in Egitto resta gravissima, con al–Sisi che è riuscito a imporsi come un alleato fondamentale per l’Ue nella lotta al terrorismo e all’emigrazione. Ma dietro l’ostentazione di potere ci sono delle crepe
     

    Settimana scorsa ci siamo rallegrati per la scarcerazione di Patrick Zaki. La sua odissea però non è ancora finita, visto che dovrà comparire di nuovo davanti alla “giustizia” egiziana. Come lui, decine di migliaia di prigionieri politici soffrono nelle carceri di quello che è uno dei regimi più sanguinari del mondo, nonché il terzo paese del pianeta per esecuzioni capitali. Al suo vertice c’è il tiranno al-Sisi, salito al potere con un violento colpo di stato nel 2013. 

     

    Nonostante la situazione drammatica dei diritti umani, al-Sisi gode di rapporti costruttivi con i leader occidentali, che vedono in lui un baluardo contro l’islamismo e l’immigrazione irregolare, e il paese gode di una posizione chiave nell’economia e nella politica della zona, coprendo una posizione strategica tra Africa e Asia sudoccidentale. Una posizione che sembra essere sempre più forte, tra le intromissioni nella politica libica e i tentativi di normalizzazione dei rapporti con le potenze ostili dell’area — ad esempio con la Turchia di Erdogan. 

     

    Non sembra esserci grande speranza per la democrazia e la libertà in Egitto — ma il disastro della Ever Given, con l’impreparazione del regime egiziano nella gestione dell’ostruzione del canale di Suez, lasciano un barlume di speranza: anche al-Sisi ha i propri punti deboli, nonostante la mascheri dietro la ridicola ostentazione di potere con parate militari pacchiane e le inaugurazioni trionfali di nuovi musei. 

     
    Show notes
     

    Zaki libero, l'Egitto no | ISPI
    Egypt FM heads to Riyadh to inaugurate Egyptian-Gulf political consultation mechanism - Egypt Independent
    Egypt is new chair of African intelligence body | Arab News
    New Egyptian-Ethiopian escalation over Nile dam - Al-Monitor: The Pulse of the Middle East
    Regeni, commissione inchiesta: "Egitto unico responsabile omicidio. Ma il governo italiano ha favorito la normalizzazione dei rapporti" - Il Fatto Quotidiano
    Israele-Egitto, la diplomazia del papiro. Lapid al Cairo restituisce preziosi reperti archeologici contrabbandati - la Repubblica
    Burning ambition: Egypt’s return to regional leadership and how Europe should respond – European Council on Foreign Relations
    Egypt weighs impact of Ethiopia's civil war - Al-Monitor: The Pulse of the Middle East

     
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    in copertina, elaborazione da foto CC-BY 3.0 Kremlin.ru

    • 22 min
    010: La tempesta perfetta di Erdogan

    010: La tempesta perfetta di Erdogan

    Sabato è stato sventato un attentato a Erdogan, mentre la crisi economica si fa sempre più difficile. Ma la Turchia è ancora un centro di potere internazionale — dal comportamento imprevedibile.
     

    Lo scorso 4 dicembre la polizia turca ha annunciato di aver trovato una bomba sotto la macchina di un agente a una manifestazione dove sarebbe stato presente Erdogan. L’attentato è stato sventato in larghissimo anticipo — la vettura era ancora a più di 200km da Siirt, dove doveva parlare Erdogan — ma segna un ulteriore momento di instabilità nel paese, che da anni, tra problemi reali e momenti di… “teatralità” di Erdogan, si trova in condizione di crisi sempre più gravi.

     

    La svalutazione della lira turca — una strategia di Erdogan per aumentare le esportazioni, ma che ha avuto conseguenze negative sul potere d’acquisto dei cittadini turchi — ha portato a una situazione problematica a livello sociale, che inevitabilmente avrà conseguenze a livello politico: già ora stiamo assistendo ad un rinsaldo tra forze di opposizione, mentre il malcontento è sempre più diffuso.

     

    Tutto questo si riversa anche nella politica internazionale. Gli Stati Uniti restano un interlocutore privilegiato, ma il rapporto tra i due paesi si è incrinato — tra le vicende dei curdi siriani e il caso di Fethullah Gülen. Erdogan però, riesce sempre a portare avanti una linea parallela: è dentro la NATO ma con un piede fuori, si allea con la Russia ma al tempo stesso le si contrappone, prende il posto della NATO in Afghanistan e ha un rapporto privilegiato con il Qatar. Erdogan, nonostante la crisi interna, continua a riuscire a essere un personaggio fondamentale in Turchia e in tutta l'area — che non sarà facile da scalzare.

     
    Show Notes
     

    Turchia, il piano per far fuori Erdogan: attentato e bomba sotto l'auto di scorta – Il Tempo
    Erdogan visits Qatar for Supreme Strategic Committee meeting | News | Al Jazeera
    Qatar, Turkey to work together on stabilising Afghanistan | Politics News | Al Jazeera
    Libia: la Turchia capofila nei progetti di ricostruzione | Sicurezza internazionale | LUISS
    Ukraine buys more armed drones from Turkey than disclosed and angers Russia - Bloomberg
    Giochi pericolosi ad Ankara | ISPI
    Lira crash slams Turkey’s factories, farmers and retailers | Business and Economy News | Al Jazeera
    Why is the Turkish lira crashing and what impact is the currency crisis having in Turkey? | Euronews
    A $15bn new canal for Istanbul | The Economist


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    in copertina, foto via Facebook

    • 22 min

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