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Requiem. Un'allucinazione - Antonio Tabucchi Camera d'eco

    • Libri

“Non crede che sia proprio questo che la letteratura deve fare, inquietare?, da parte mia non ho fiducia nella
letteratura che tranquillizza le coscienze.”
Mi chiamo Patrizia Costa e sono una studentessa in Lingua, Letteratura e Civiltà italiana all’Università della Svizzera italiana. Il libro di cui vi parlo oggi è Requiem. Un’allucinazione di Antonio Tabucchi (1943-2012). L’opera è scritta, nella sua stesura originale, in portoghese ed è poi tradotta in italiano da Sergio Vecchio per Feltrinelli, nel 1992. In una torrida giornata estiva, un uomo si trova improvvisamente catapultato a Lisbona: sa di dover incontrare un importante poeta, ma questo non prima della mezzanotte.

Il racconto si stende su un arco temporale di 12 ore, scandite da una serie di incontri, tutti a loro modo bizzarri,
con personaggi vivi e morti che hanno popolato il vissuto di Tabucchi, ma anche personaggi immaginari ripescati
da letture dell’autore o interamente frutto di fantasia. Ogni dialogo scioglie un groviglio ancora annodato nella vita
di questo io-narratore-autore, facendo del romanzo un viaggio di commiato a persone e luoghi, idee e movimenti.
Sogno e realtà, allucinazione o visione e luoghi si accavallano, rimescolandosi poi secondo il gusto proprio della
memoria di Tabucchi; tutto nell’attesa di imbattersi nel Convitato, l’ultimo personaggio, illustre poeta e autore che
il protagonista aspetta di incontrare da una vita.

Un uomo è catapultato all’improvviso a Lisbona e si trova trascinato in diversi luoghi della capitale portoghese,
luoghi in cui incontra diversi personaggi: vivi, morti, reali e di fantasia, personaggi che fungeranno da anticamera
all’ultimo e tanto atteso rendez-vous.

Tabucchi diventa personaggio. Lo diventa per una pulsione incontrollabile, per il desiderio di omaggiare una
lingua, dei luoghi e un autore che sono stati per lui la vera culla del sentimento.
Lo fa componendo un requiem che ancor prima che cominci la storia, si dimostra altro rispetto al canone e anzi si
tinge di striature polisemantiche: è un addio, un congedo, ma anche Un’allucinazione - come avverte il sottotitolo - e
ancora una “sonata” e un “sogno” - come ci dice Tabucchi stesso nella Nota che introduce il libro. È quindi un canto,
che però proviene da produzioni dell’inconscio, dell’anima, della memoria.

Tabucchi crea un amalgama di luoghi e persone, plasmate però in forme nuove dal ricordo e dall’immaginazione.
Requiem è sì omaggio alla città, la cultura, il folklore portoghesi, ma ancor più a come si siano fatti simulacro,
vestigia di un’esistenza.
Nell’opera tempo, spazio e coscienza vengono continuamente affermati e negati: la giornata è scandita da
coordinate temporali precise, ma in cui si trovano a convivere il passato remoto, il passato prossimo, un altro
presente.

Anche lo spazio ci sembra apparentemente concreto, con rimandi a luoghi riconoscibili, in cui compaiono però
zone grigie, localizzazioni difficili e ampi spostamenti che sono omessi da un capitolo all’altro.
Insomma, Tabucchi sembra alla ricerca di qualcosa che sia nella realtà e nel tempo, ma che li superi, che viri verso
l’onirico e l’utopico, alla ricerca di una zona liminare che ha lo scopo di destabilizzare il lettore, portandolo a
chiedersi: cos’è reale e cosa immaginario? Cosa vero e cosa falso?
Tabucchi compone un canto che dice al ricordo di non sgretolarsi, un canto che spera di diventare eco, un’onda
sonora in grado di scomporre e ricomporre le certezze del lettore.

“Non crede che sia proprio questo che la letteratura deve fare, inquietare?, da parte mia non ho fiducia nella
letteratura che tranquillizza le coscienze.”
Mi chiamo Patrizia Costa e sono una studentessa in Lingua, Letteratura e Civiltà italiana all’Università della Svizzera italiana. Il libro di cui vi parlo oggi è Requiem. Un’allucinazione di Antonio Tabucchi (1943-2012). L’opera è scritta, nella sua stesura originale, in portoghese ed è poi tradotta in italiano da Sergio Vecchio per Feltrinelli, nel 1992. In una torrida giornata estiva, un uomo si trova improvvisamente catapultato a Lisbona: sa di dover incontrare un importante poeta, ma questo non prima della mezzanotte.

Il racconto si stende su un arco temporale di 12 ore, scandite da una serie di incontri, tutti a loro modo bizzarri,
con personaggi vivi e morti che hanno popolato il vissuto di Tabucchi, ma anche personaggi immaginari ripescati
da letture dell’autore o interamente frutto di fantasia. Ogni dialogo scioglie un groviglio ancora annodato nella vita
di questo io-narratore-autore, facendo del romanzo un viaggio di commiato a persone e luoghi, idee e movimenti.
Sogno e realtà, allucinazione o visione e luoghi si accavallano, rimescolandosi poi secondo il gusto proprio della
memoria di Tabucchi; tutto nell’attesa di imbattersi nel Convitato, l’ultimo personaggio, illustre poeta e autore che
il protagonista aspetta di incontrare da una vita.

Un uomo è catapultato all’improvviso a Lisbona e si trova trascinato in diversi luoghi della capitale portoghese,
luoghi in cui incontra diversi personaggi: vivi, morti, reali e di fantasia, personaggi che fungeranno da anticamera
all’ultimo e tanto atteso rendez-vous.

Tabucchi diventa personaggio. Lo diventa per una pulsione incontrollabile, per il desiderio di omaggiare una
lingua, dei luoghi e un autore che sono stati per lui la vera culla del sentimento.
Lo fa componendo un requiem che ancor prima che cominci la storia, si dimostra altro rispetto al canone e anzi si
tinge di striature polisemantiche: è un addio, un congedo, ma anche Un’allucinazione - come avverte il sottotitolo - e
ancora una “sonata” e un “sogno” - come ci dice Tabucchi stesso nella Nota che introduce il libro. È quindi un canto,
che però proviene da produzioni dell’inconscio, dell’anima, della memoria.

Tabucchi crea un amalgama di luoghi e persone, plasmate però in forme nuove dal ricordo e dall’immaginazione.
Requiem è sì omaggio alla città, la cultura, il folklore portoghesi, ma ancor più a come si siano fatti simulacro,
vestigia di un’esistenza.
Nell’opera tempo, spazio e coscienza vengono continuamente affermati e negati: la giornata è scandita da
coordinate temporali precise, ma in cui si trovano a convivere il passato remoto, il passato prossimo, un altro
presente.

Anche lo spazio ci sembra apparentemente concreto, con rimandi a luoghi riconoscibili, in cui compaiono però
zone grigie, localizzazioni difficili e ampi spostamenti che sono omessi da un capitolo all’altro.
Insomma, Tabucchi sembra alla ricerca di qualcosa che sia nella realtà e nel tempo, ma che li superi, che viri verso
l’onirico e l’utopico, alla ricerca di una zona liminare che ha lo scopo di destabilizzare il lettore, portandolo a
chiedersi: cos’è reale e cosa immaginario? Cosa vero e cosa falso?
Tabucchi compone un canto che dice al ricordo di non sgretolarsi, un canto che spera di diventare eco, un’onda
sonora in grado di scomporre e ricomporre le certezze del lettore.

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