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Un itinerario che passa per alcuni dei più rappresentativi caffè del Veneto, molti dei quali sfoggiano ancora al loro interno un’atmosfera quasi immutata, accompagnata nei secoli dall’aggiunta di opere d’arte e decori. Le storie sono tratte dal libro Caffè Storici del Veneto. Editoriale Programma
Editoriale Programma è una casa editrice trevigiana, specializzata nella pubblicazione di libri di saggistica, storia, arte e cultura locale.
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Caffè Storici del Veneto Maria Beatrice Autizi

    • 社会/文化

Un itinerario che passa per alcuni dei più rappresentativi caffè del Veneto, molti dei quali sfoggiano ancora al loro interno un’atmosfera quasi immutata, accompagnata nei secoli dall’aggiunta di opere d’arte e decori. Le storie sono tratte dal libro Caffè Storici del Veneto. Editoriale Programma
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    Ex Caffè la Meneghina dal 1791

    Ex Caffè la Meneghina dal 1791

    L’ex Caffè della Meneghina, oggi trasformato in un elegante ristorantino take away, era un punto di ritrovo della Carboneria del Risorgimento. Dal 1990, immobile e arredi sono stati assoggettati al vincolo di tutela monumentale. L’Antica Offelleria della Meneghina fu aperta nel 1791 in Contra’ Cavour a Vicenza, proprio di fronte a Piazza dei Signori e all’edificio simbolo della città, la Basilica progettata da Andrea Palladio. In questo locale, sotto la dominazione del governo austriaco, si tramanda si riunissero i membri della Carboneria che, in caso di pericolo potevano fuggire attraverso una botola posta sotto il bancone che conduceva a una cantina oggi murata. In una lettera uno dei congiurati scriveva che Tutto la discussione ci faceva dimenticare, senonchè il buon padrone vigilava per noi e quando sentiva suonare nel silenzio della strada, ancor lontano, il passo della ronda, fischiava il segnale convenuto e noi spegnevamo la luce, che in quelle ore era una complice pericolosa. Tra gli estimatori del locale si annoverano Giuseppe Garibaldi, che in una lettera elogiò l’alta qualità dei prodotti della casa, e lo scrittore Guido Piovene.
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    Caffè Centrale di Asolo dal 1766

    Caffè Centrale di Asolo dal 1766

    Nel 1796, nel caffè nacque la Società del Casino, un circolo culturale di nobili sul genere dei caffè francesi, dove si discuteva di cultura e di politica e di cui faceva parte anche il parroco preposto. I soci pagavano l’affitto e le spese del locale purché non vi accedesse nessuno che non fosse nobile. In occasione delle soppressioni delle corporazioni religiose del 1806, la Società venne indagata come associazione non confessionale, ma il grande scandalo che la travolse avvenne due anni dopo. Nel 1808 due soci della Società del Casino parteciparono a una congiura antifrancese che fu ben presto scoperta. Gli arrestati vennero processati e la sentenza del 17 gennaio 1809 stabilì che erano condannati alla pena di morte, resa esecutiva il giorno seguente, Giuseppe Pellizzoni e il conte Giovanni Enrico Trieste, avvocato di Asolo…imputati di alto tradimento e di cospirazione contro i poteri dello stato. Le attività del circolo continuarono nei primi decenni del XIX secolo e la mappa della piazza del 1823 documenta che la Società del Casino era ancora ospitata negli stessi spazi dove era nata. Le indagini del 1809 accertarono anche quali erano le attività dei soci del Casino: passare alcune ore della notte in una civile adunanza ed in intrattenimenti e giuochi leciti e moderatissimi, e confermarono che non fu trovato nulla che violasse le leggi, il costume o la politica.
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    Caffè Pasticceria Fantoni dal 1842

    Caffè Pasticceria Fantoni dal 1842

    Lo storico Caffè Pasticceria Fantoni fu fondato nel 1842 da Giovanni Fantoni, il dinamico pasticcere inventore delle famose sfogliatine. Nel Caffè Fantoni si davano appuntamento uomini illustri del tempo, che divennero amici del cavalier Marcello Fantoni. Tra questi Renato Simoni, drammaturgo, giornalista e critico teatrale che, prendendo spunto dalle teorie di Freud, analizzò l’anima più segreta delle sfogliatine. Marcello Fantoni, il nipote, oltre che per la sua bravura di pasticcere, è rimasto famoso per aver celebrato gli eventi del Risorgimento con una serie di dolcezze, alcune delle quali tuttora in produzione. Dopo l’Impresa di Fiume del 1919, guidata da Gabriele D’Annunzio, Fantoni inventò l’Acqua di Fiume, un liquore simile a un rosolio di fiori che ebbe un grande successo e al Vate dedicò anche dei cioccolatini. Così scriveva D’Annunzio al pasticcere in una lettera da Gardone il 21 giugno 1921: Caro Fantoni, la Sua Acqua di Fiume è limpida e leggera come quella che dal Carso scende ad alleviare l’ardore della Città Olocausta. Ma quella è oggi intossicata, ahimè! Io ho creduto di bere nella sua la mia illusione. Quando Mascagni musicò l’Iris Fantoni elaborò l’omonimo tonico-digestivo, convinto che i piaceri delle arti e della gola potessero essere strettamente collegati.
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    L'architettura del Gran Caffè Pedrocchi

    L'architettura del Gran Caffè Pedrocchi

    Lo stile del Caffè Pedrocchi, capolavoro di architettura neoclassica, non ha confronti. La sua pianta anomala, a forma di clavicembalo, si snoda tra via VIII Febbraio, piazzetta Pedrocchi e vicolo Cappellato Pedrocchi. La facciata settentrionale vanta due logge con colonne doriche, in stile neogreco a imitazione dei templi di Paestum, precedute ognuna da due leoni simili a quelli che ornano il Campidoglio a Roma e sovrastate da una terrazza con balaustra in ghisa e un corpo più arretrato con colonne corinzie. Sulla facciata che dà sul Municipio e l’Università si trova una loggia con terrazza uguale alle altre due ed è fiancheggiata dal Pedrocchino, realizzato in stile neogotico con guglie, archi acuti polilobati e balaustre traforate. Elegante e sontuosa, l’architettura vanta, sia all’esterno che nelle sale interne, un apparato decorativo curato fin nei particolari da artisti e da abili artigiani. Innovative del Caffè, aperto di giorno e di notte, furono le porte a vetri, le prime in città, che da sempre creano un collegamento tra interno ed esterno e viceversa. Proprio a causa della trasparenza delle porte il locale fu definito il caffè senza porte, e divenne uno dei simboli di Padova.
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    Gran Caffè Pedrocchi dal 1831

    Gran Caffè Pedrocchi dal 1831

    Il Caffè Pedrocchi sorse nel cuore della città, nel centro di quella che un tempo era la Patavium romana. Secondo Strabone Padova, insieme a Cadice, era la più bella città di tutto l’impero dopo Roma, con un teatro nell’attuale Prato della Valle e un anfiteatro nell’area della Cappella degli Scrovegni, un foro, templi, una basilica e ricche domus, case decorate con mosaici. Di sicuro paron Antonio non fece economia né usò materiali scadenti nella costruzione del suo locale, ma utilizzò magnifici marmi, specchi e quanto di meglio offrisse il mercato, ordinò sculture e si valse di validi pittori per gli affreschi, per non parlare degli elegantissimi arredi. Molto si parlava dei suoi investimenti e grande era lo stupore dei padovani di fronte alle enormi quantità di denaro che l’opera richiedeva. C’era chi sosteneva che il caffettiere avesse trovato un tesoro durante gli scavi per le fondamenta. Il memorialista Carlo Leoni ipotizzò che Antonio Pedrocchi avesse trovato un tesoro in gemme o, ch’è più facile, in idoli d’oro. Qualche sospetto, viste le ingenti spese sostenute dal caffettiere, può anche venire. Quel che è certo è che la vera fortuna del Pedrocchi fu il grande successo che, fin dall’inizio, ottenne il nuovo ritrovo.
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    L’Harry’s Bar di Hemingway

    L’Harry’s Bar di Hemingway

    Tra gli avventori del bar, nel 1948, qui aveva il suo tavolo personale Ernest Hemingway, amico di Giuseppe Cipriani, che trascorse l’intero mese di novembre alla Locanda Cipriani a Torcello. Lo scrittore statunitense, già molto famoso, in quel periodo stava terminando il romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi. La storia del colonnello Richard Cantwell e la relazione con una giovane nobildonna veneziana, Renata, secondo Jeffrey Meyers, biografo di Hemingway, nascondeva la relazione sentimentale tra lo scrittore e la giovanissima contessina veneziana Adriana Ivancich. Lei stessa nel libro di memorie La torre bianca, dove racconta i suoi rapporti con lo scrittore, ammette di essere la Renata del romanzo. Spesso Hemingway scriveva pagine del romanzo al suo tavolino dell’Harry’s Bar e non a caso il locale è citato più volte all’interno del libro. Secondo il figlio di Giuseppe Cipriani, Arrigo, a chi sosteneva che l’Harry’s Bar era stato lanciato da Ernest Hemingway, il padre Giuseppe rispondeva che veramente è Hemingway che ha vinto il Nobel dopo aver scritto al tavolo dell’Harry’s Bar.
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