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Consigli utili (e verificati sul campo) su come vivere bene in famiglia

Famiglia e matrimonio - BastaBugie.it BastaBugie

    • Society & Culture

Consigli utili (e verificati sul campo) su come vivere bene in famiglia

    Indipendente dal marito, ma schiava del lavoro

    Indipendente dal marito, ma schiava del lavoro

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7806

    INDIPENDENTE DAL MARITO, MA SCHIAVA DEL LAVORO di Raffaella Frullone
    Mi sono sorpresa l'altro giorno nell'apprendere che tra le dipendenze più diffuse nel nostro Paese c'è ancora quella da eroina. Così riportano diversi studi, mettendo al primo posto delle dipendenze maggiormente presenti tra gli italiani proprio quella da sostanze stupefacenti, in primo piano le cosiddette droghe leggere, come i cannabinoidi e gli oppiacei, poi la cocaina e infine appunto l'eroina, che io avevo lasciato nei miei ricordi degli anni Novanta, quando le siringhe per terra mi avvisavano che quello non era solo un presidio medico.
    Sul podio delle dipendenze, e qui non ci sorprende per nulla, anzi, c'è la piaga della pornografia, che dilaga ormai a livelli inimmaginabili, naturalmente anche grazie a internet ma soprattutto agli smartphone. E qui arriva il terzo gradino del podio, ossia la dipendenza da social media e appunto da quell'oggetto che solo 25 anni fa era un banale cellulare e che oggi qualcuno ha definito un nuovo «ciuccio per adulti», ossia quell'oggetto che ci rilascia dopamina al bisogno. Nella classifica troviamo poi una voce sulla dipendenza da farmaci, antidolorifici in primis, ma subito dopo antidepressivi e ansiolitici, e poi il gioco d'azzardo. Infine, malamente sopravvissuta alle campagne antifumo degli ultimi decenni, la sigaretta.
    Ma c'è un'altra dipendenza considerata socialmente pericolosa, soprattutto quando si parla di donne, la cosiddetta "dipendenza dall'uomo". Il marito su tutti, naturalmente, simbolo della società patriarcale che ci vuole tutte sottomesse. Dipendere dal marito è considerato non solo sconveniente, ma anche pericoloso, in particolare viene rimarcata l'importanza dell'indipendenza economica che la donna deve raggiungere perché quella sarebbe simbolo di libertà. L'altra faccia della medaglia è una dipendenza di cui nessuno parla in modo negativo, anzi è vista come buona, auspicabile, desiderabile, e anche qui simbolo di libertà, ossia la dipendenza dal lavoro. Posto che per la gran parte della popolazione, anche femminile ahinoi, è ormai una dipendenza forzata, obbligata da esigenze economiche, il mainstream ci vorrebbe convincere che lavorare 40 ore settimanali (o di più), magari facendo la commessa, magari a 30 chilometri da casa, magari lavorando anche la sera, magari lavorando anche la domenica e, perché no?, i festivi, magari bistrattata dal capo, è sempre e comunque preferibile che rimanere a casa - ad esempio - a crescere i propri figli "dipendendo" economicamente dal marito. Non c'è qualcosa di storto in questo?
    Anche perché la storia della self mede woman, quella che si fa da sola, sta in piedi esattamente come quella del self made man, ossia non sta in piedi. Noi dipendiamo sempre da qualcun altro, dipendiamo da chi ha progettato la casa in cui abitiamo, da chi l'ha costruita, ci fidiamo del fatto che abbia usato materiali buoni e li abbia posati con coscienza, dipendiamo da chi ha realizzato la nostra autovettura, o l'autobus, dipendiamo da chi fornisce ogni giorno il banco del supermercato, grazie al quale siamo certi di portare qualcosa in tavola, dipendiamo dagli imprevisti che non controlliamo, dipendiamo dal nostro corpo che oggi ci porta in giro allegramente, ma basta un callo sotto a un piede e già camminare diventa faticoso. Dipendere dal proprio marito quindi non è affatto una prospettiva così terribile, anzi, perché lui è il nostro alleato, non quello che controlla se firmiamo il cartellino o quello che decide se darci o meno due giorni di ferie. Dipendere dal marito ci ricorda che tutti, uomini e donne, dipendiamo: dipendiamo dal Creatore, siamo nelle mani di Dio, un Dio buono, che per noi prepara solo il meglio. E questo è davvero liberante.

    • 4 min
    La famiglia non può essere modificata dalle leggi

    La famiglia non può essere modificata dalle leggi

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7774

    LA FAMIGLIA NON PUO' ESSERE MODIFICATA DALLE LEGGI di Gianfranco Amato
    La famiglia è una creazione dell'uomo o un elemento di natura? La risposta è semplice. La famiglia non è il frutto di un sistema socio-giuridico, di un determinato contesto storico-culturale, di una moda, di una concezione filosofica o politica, né tanto meno è il frutto di una dottrina religiosa. La famiglia è un elemento oggettivo di natura che precede cronologicamente e ontologicamente qualunque istituzione umana. Per questo essa è sottratta alla disponibilità dello Stato e non può essere modificata o manipolata attraverso la funzione legislativa. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-giuridico e pre-politico. Fa parte della struttura naturale dell'essere umano.
    La prima immagine che abbiamo di famiglia - senza aggettivi di sorta come "naturale", "tradizionale", ecc. - risale al periodo preistorico, al Neolitico superiore in particolare. Nel 2005 in Germania, vicino alla città di Eulau, gli archeologi hanno rinvenuto alcune tombe che appartenevano a quell'epoca. In una di queste tombe hanno ritrovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna e due bambini. Furono seppelliti abbracciati tra di loro. Attraverso l'analisi del Dna gli scienziati hanno scoperto che si trattava di una famiglia: madre, padre e due figli. L'immagine che è stata ricostruita di questa famiglia, oltre ad essere particolarmente commovente, ci dice una cosa importante: in quell'epoca non esisteva nessuna legge, non esisteva nessun parlamento, non esisteva lo Stato e non esisteva nessuna Chiesa, ma esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni.
    L'UOMO LASCERÀ SUO PADRE E SUA MADRE
    La nostra civiltà occidentale affonda le sue radici, oltre che nella preistoria, anche nella cultura giudaica, che nel Bereshit (בראשית), il primo libro della Torah, definisce la famiglia in questi termini: «L'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla moglie e i due formeranno una sola carne».
    La nostra civiltà si radica anche nella cultura classica greco-romana. Aristotele, che rappresenta la massima espressione del pensiero filosofico greco, ci ha lasciato una definizione interessante: «Polis sùnkeitai ex oikiòn», ossia «La società è costituita dall'insieme delle famiglie» (Politica, I, 1253b). Non sono i singoli individui ma le famiglie a costituire la società. E Aristotele aveva ben in mente quali fossero le funzioni e le caratteristiche della oikos, intesa come famiglia. Cinque, in particolare. La prima caratteristica era quella della despotèia, ovvero dell'autorità indiscussa: la famiglia è una comunità dove i genitori comandano e i figli obbediscono. La seconda caratteristica era quella di nascere dalla sùnzeuxis gunaikòs kai andròs γυναικός καί ἀνδρός, ovvero dall'unione di un uomo e di una donna. La terza caratteristica era legata a una funzione essenziale della famiglia, ovvero la teknopoìia, la procreazione. La quarta caratteristica era connessa alla oikonomìa, in quanto la famiglia è una comunità che si amministra e si gestisce in maniera razionale: il termine economia, peraltro, deriva proprio da «οἶκος», famiglia. La quinta caratteristica risiede in un'altra funzione fondamentale, ovvero quella della «παιδεία», l'educazione: la famiglia è la prima e più importante agenzia educativa della società.
    IL PENSIERO GIURIDICO DEI ROMANI
    Dopo il pensiero filosofico dei greci arriva il pensiero giuridico dei romani. Ulpiniano, uno dei più grandi giuristi dell'antica Roma, sosteneva che la famiglia si fonda sull'unico matrimonio, quello «justum», ovvero il matrimonio tra un «masculus pubes» e una «femina potens». Prima di lui il grande Cicerone aveva spiegato che la famiglia è la «prima societas», il nucleo, la cellula...

    • 14 min
    Dieci motivi per cui amo essere un maschio

    Dieci motivi per cui amo essere un maschio

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3217

    DIECI MOTIVI PER CUI AMO ESSERE UN MASCHIO di don Fabio Bartoli
    "Tu non mi capisci!" Di solito nelle liti di coppia questo è il rimprovero finale, quello che pone termine ad ogni discussione. Normalmente è la donna a dirlo all'uomo. Ed è giusto, perché l'uomo ha il compito istituzionale, assegnatogli dalla natura, di capirla.
    La donna accoglie senza capire, lei non ne ha bisogno, intuisce.
    L'uomo invece deve capire, perché deve servire. E per servire, diversamente che per accogliere, è necessario interpretare i gusti e i desideri dell'altro, prevenirli se possibile. Posso accoglierti in silenzio, ma non potrò mai servirti in silenzio. A volte parlerò con le mani anziché con la lingua, ma sempre dovrò "fare" qualcosa.
    Accogliere è un essere, servire è un fare, e non si può fare senza capire, pena fare male, servire male.
    Naturalmente il rimprovero è vero, molto spesso gli uomini non capiscono, nonostante si impegnino.
    Il mondo è così, siamo esseri imperfetti, fatevene una ragione. Non saremo mai all'altezza dei vostri bisogni e delle vostre aspettative, non sapremo mai servirvi così bene da soddisfare ogni vostro desiderio.
    Questo solo Dio può farlo.
    Però in realtà oggi voglio parlare di altro.
    Mi sarà lecito dire una volta, anche una volta sola e sia pure per celia, che anche le donne non capiscono gli uomini? E la cosa è assai più complicata dal fatto che invece spesso son convinte di capirli.
    Ci sono così le donne che hanno in testa l'idea che l'uomo sia un eterno bambino e lo trattano come si tratta un ragazzino (dimenticando che il modo migliore di indispettire un ragazzino è di trattarlo come tale, il bimbo vuole semmai essere trattato da adulto).
    Ci sono anche quelle che hanno in testa lo schema semplificato on-off, come se l'uomo si concentrasse tutto in un unico interruttore (sì, quello lì, quello del desiderio) e che una volta acceso il problema è risolto.
    Ci sono poi quelle che hanno paura degli uomini e che pensano che l'uomo sia sempre sotto sotto un bruto e quindi bisogna stare attenti a tenergli la briglia corta per impedirgli di scatenarsi perché sennò chissà che potrebbe fare...
    Credetemi, forse è vero che non siamo complicati come le donne, ma non siamo nemmeno così semplici.
    Non nego che ci siano i mammoni e i bruti o quelli che mettono tutta la loro maschilità nell'interruttore, ma la categoria maschile è per fortuna ben più variegata di così.
    Permettetemi dunque di offrirvi care amiche un brevissimo decalogo dei dieci motivi per cui amo essere maschio e mi piacerebbe che i lettori maschi del blog lo continuassero, perché non pretende affatto di essere un elenco esaustivo.
    Poiché credo moltissimo nella complementarietà, ça va sans dir che non c'è alcun intento di contrapposizione in questo catalogo, quindi nessuno si senta offeso vi prego, prendetelo come un contributo semiserio ad uso delle mie amiche per provare a vedere negli uomini anche qualcos'altro.
    AMO ESSERE MASCHIO PERCHÉ:
    1) Perché amo finire un lavoro e dopo averlo finito fermarmi a guardarlo e compiacermi di ciò che ho fatto (Le donne che conosco di solito non sono capaci di finire il lavoro, prima di finirlo stanno già pensando a quello che faranno dopo. In questo Dio è decisamente maschio, perché il Sabato si ferma a guardare la Creazione).
    2) Perché mi piace stare fermo come uno scoglio su cui si infrangono tutte le tempeste emotive (questa devo spiegarla?).
    3) Perché mi piace osservare (I maschi osservano molto, una cosa alla volta, ma osservano).
    4) Perché mi piace che i miei figli rischino l'osso del collo pur di affermare se stessi. Perché adoro condividere le loro vittorie (il fatto che io non abbia figli nella carne non cambia niente, ci sono...

    • 5 min
    Come la moglie di Schumacher protegge il marito dal gossip e dall'eutanasia

    Come la moglie di Schumacher protegge il marito dal gossip e dall'eutanasia

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7655

    COME LA MOGLIE DI SCHUMACHER PROTEGGE IL MARITO DAL GOSSIP E DALL'EUTANASIA di Valerio Pece
    Se nel mondo la Ferrari è il mito che è, lo si deve anche a Michael Schumacher, campionissimo avvolto da 10 anni - giorno in cui sfiorò la morte cadendo dagli sci - da due parole-chiave: riserbo e amore. Va detto che il rigoroso silenzio sul suo reale stato di salute si è imposto anche per combattere il triste sciacallaggio che lo ha toccato da vicino: dai paparazzi pizzicati a utilizzare droni pur di spiare dai vetri della sua villa il pilota in coma, al furto delle sue cartelle cliniche con annessa richiesta di denaro ai giornali (finì malissimo: nel 2014 il sospettato del furto si impiccherà in una cella del carcere di Zurigo). Quanto all'amore, non è difficile vedere quanto sia ancora vivo: dagli articoli che accompagnano ogni piccola novità sui suoi progressi, ai tanti tifosi (italiani in primis) che ricordano con somma riconoscenza le sue imprese (dei 7 titoli mondiali conquistati dal pilota tedesco, cinque sono stati vinti con la Ferrari).
    NON É PRIVACY, É AMORE
    Nella dolorosa vicenda, la figura più luminosa è senz'altro quella di Corinna, 54enne moglie di Michael, che da anni protegge e segue il marito in modo commovente. Solitamente parca di dichiarazioni, nel settembre scorso, in occasione dell'uscita su Netflix dell'unico documentario su Schumacher autorizzato dalla famiglia, ha rilasciato parole fortissime: «Ora seguiamo le cure, vogliamo che Michael senta che la famiglia è unita». Per poi aggiungere: «É evidente che mi manca, tutti sentiamo la sua mancanza, ma Michael c'è, è diverso ma c'è. E questo ci dà forza. Non avrei mai pensato che potesse succedergli qualcosa, ma è importante che lui continui ad assaporare la sua vita privata per come possibile. Lui ci ha sempre protetti, ora sta a noi farlo». Una manifestazione d'amore pregna di forza e di gratitudine.
    Dietro i gesti di Corinna Betsch, spesso non compresi fino in fondo, non c'è dunque solo la fredda tutela della privacy ostentata dai giornali e dalle interviste degli addetti ai lavori («Da dieci anni Corinna non va a feste o occasioni pubbliche perché chiunque la incontri vuole sapere delle condizioni del marito e lei ha alzato una barriera a protezione della privacy», così Eddie Jordan, il team manager che lanciò Schumacher in Formula 1, in un'intervista del gennaio scorso). Parlare di privacy, come fa la quasi totalità dei commentatori, oltre che riduttivo è ingiusto e ingeneroso. La volontà di allestire a mo' di ospedale la villa di famiglia (a Gland, sul lago di Ginevra) al fine di permettere ad uno staff medico di fornire al marito cure quotidiane racconta molto dello smisurato e incrollabile affetto con cui la signora Schumacher circonda il marito, ma soprattutto dice della volontà di continuare a vivere ogni attimo insieme, nella buona come nella cattiva sorte. Poco importa che le cure per il marito costino 10 milioni di euro l'anno (così sono state quantificate le spese mediche): pur di farlo accedere alle terapie più avanzate, come una manager premurosa Corinna ha prima messo in vendita l'aereo privato del marito e poi la villa a Trusil, in Norvegia. In quella Svizzera che la martellante propaganda radicale impone di associare all'eutanasia e alla morte, nulla dev'essere lasciato intentato in termini di cura e di vita.
    PIETRA D'INCIAMPO
    L'unico che sembra aver compreso a fondo il nuovo contesto umano suscitato dall'incidente del pilota tedesco, calandosi nell'inedita realtà famigliare con assoluta normalità è Jean Todt, direttore generale della Scuderia Ferrari e amico fraterno di Schumi. «Non posso dire che Michael mi manca perché lui, alla fine, c'è», ha dichiarato Todt al quotidiano francese L'Equipe. Tra i pochissimi a entrare...

    • 7 min
    Come salvare i figli dallo smartphone

    Come salvare i figli dallo smartphone

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7652

    COME SALVARE I FIGLI DALLO SMARTPHONE di Cristina Siccardi
    Smartphone e social media, come ben sappiamo, hanno radicalmente cambiato la vita di tutte le persone, di qualsiasi età e di qualsiasi ceto sociale. Tutti gli strumenti, più o meno complessi, hanno mutato nel corso della storia la vita quotidiana delle persone e il loro impatto è stato positivo o negativo a seconda del loro utilizzo, ovvero dal criterio con cui ciascun individuo se ne serve. Ma quelli di cui stiamo parlando hanno un impatto massificante di straordinario potere persuasivo, plagiatorio, psicologico.
    La commercializzazione degli smartphone è iniziata nel 1993 con IBM e, in breve tempo, essi hanno riempito i mercati mondiali con migliaia di modelli e centinaia di milioni di utenti. Il primo social network della storia corrisponde al sito americano SixDegrees, lanciato a New York nel 1997 dal suo fondatore Andrew Weinreich. I social media hanno rappresentato un cambiamento nel modo in cui le persone leggono, apprendono e condividono, senza sosta, informazioni e contenuti. Con i social media è mutato completamente il modello di comunicazione tipico dei media tradizionali (radio, stampa, televisione): il messaggio non è più "da uno a molti" (monodirezionale, dal broadcaster al suo pubblico), ma "da molti a uno", con elevato livello di interazione. L'informazione si è "democratizzata" in un liberalismo esasperato, trasformando i soggetti da meri fruitori a editori di se stessi, interconnettendosi con altri soggetti monitorati in tutto il mondo attraverso colossi mediatici come Facebook, LinkedIn, Instagram, TikTok.
    Oggi esiste una vera e propria bulimia nell'uso degli smartphone e dei socialmedia. Attività e virtù come autodisciplina e temperanza, moderazione e sobrietà, equilibrio, stabilità, prudenza e armonia, concentrazione e silenzio sono andate smarrite nella civiltà edonistica, del "mordi e fuggi", dell'insaziabilità su più fronti, della frenesia, dell'ansia, del frastuono acustico e visivo, dove la massa di informazioni si schianta con la vuotezza di principi e valori giusti e sani.
    Fatto incontestabile è che chat e videogiochi (solitari o in comunità web) creano enorme dipendenza: soggiogano, ingabbiano mente e spirito, sviluppando problemi e condizionamenti a dismisura. Essere interconnessi continuamente, da quando ci si sveglia a quando si va a dormire, significa avere l'attenzione degli innumerevoli "amici" sui propri pensieri, sentimenti, intenzioni.
    UN BILANCIO ALLA LUCE DELLA FEDE CATTOLICA
    Dopo più di vent'anni di uso incessante di questi dispositivi e di questo genere di comunicazione, quale bilancio si può dare? Il tema non può certo essere esaurito in questo contesto. Tuttavia, possiamo considerarne le conseguenze e, allo stesso tempo, alla luce della fede cattolica e quindi delle sane virtù, possiamo risparmiare figli e nipoti da squilibri, fobie e schizofrenie che provengono dall'uso paranoico e smodato di tali strumenti.
    Tanto è forte il collegamento fra lo smartphone e i comportamenti adolescenziali che la professoressa Jean M. Twenge, docente di psicologia della San Diego State University, ha definito questa generazione «iGen», generazione «iphone». Da venticinque anni Twenge studia i trend generazionali. Ha lavorato sul senso di ribellione dei Baby boomer (i nati dal 1945 al 1965), sul desiderio di indipendenza della generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980), sull'individualismo dei Millennials (nati fra il 1980 e il 2000) e confrontando i dati comportamentali di queste ultime generazioni, con famiglie spesso dissestate, ha rilevato che gli adolescenti di oggi sono più depressi, passano il tempo con i coetanei soprattutto sui telefonini, sono soli, vulnerabili, con precaria salute mentale e a maggior rischio...

    • 10 min
    Per difendere le donne dobbiamo tornare al patriarcato

    Per difendere le donne dobbiamo tornare al patriarcato

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/edizioni.php?id=850

    PER DIFENDERE LE DONNE DOBBIAMO TORNARE AL PATRIARCATO
    L'assassino di Giulia Cecchettin non è figlio del patriarcato, ma del '68, relativista e femminista che oggi permea la società (se invece la moglie rispetta il marito, non viene uccisa, ma è amata, rispettata e difesa)
    di Roberto De Mattei
    Dopo l'omicidio di una giovane donna, Giulia Cecchettin, avvenuto lo scorso 11 novembre, l'Italia ha scoperto di essere minacciata dal patriarcato, Il titolo di un dossier del quotidiano "La Repubblica" del 24 novembre è eloquente: "Femminicidi fermiamo la strage". La tesi, che è la stessa diffusa dai mass-media, dai social e da ogni tipo di influencer è che esiste una strage di femminicidi e la responsabilità va attribuita alla cultura del "patriarcato", ancora dominante. Bisogna combattere il patriarcato per fermare la violenza contro le donne.
    Il patriarcato era un sistema sociale che sanciva l'autorità dell'uomo e la divisione dei ruoli all'interno della famiglia. L'autorità paterna è stata sempre considerata, ad eccezione del tempo presente, come uno degli elementi invariabili dell'ordine sociale, necessaria a tutti i popoli e in tutti i tempi. Per secoli, il padre ha esercitato nella famiglia il ruolo che il sovrano esercitava nella società politica (la stessa parola patria deriva da padre) e che il Papa, il "Santo Padre" esercita nella Chiesa. Ancora cinquant'anni fa era questo il modello familiare italiano: il padre doveva guidare la famiglia e provvedere al suo mantenimento economico, la madre si occupava della casa e dell'educazione dei figli, che erano numerosi. Il nucleo familiare comprendeva spesso anche i nonni, depositari di una tradizione che si trasmetteva di generazione in generazione.
    Questo sistema sociale è stato distrutto dalla rivoluzione culturale del Sessantotto, e da ciò che ad essa è seguito: leggi come il divorzio, l'aborto, e, in Italia, soprattutto la legge sul nuovo diritto di famiglia del 22 aprile 1975, che ha decapitato l'autorità paterna, abolendo la preminenza giuridica del padre contribuendo alla scomparsa dell'autorità e dell'identità nelle famiglie italiane.
    LA DISTRUZIONE DELLA FAMIGLIA
    Tra gli ideologi del ‘68, ricordiamo anche i teorici della "antipsichiatria", come David Cooper, autore di un libro più volte ristampato da Einaudi, dal titolo significativo La morte della famiglia. Questa era la convinzione che iniziò a diffondersi alla fine degli anni Sessanta del Novecento: l'estinzione, prossima e inevitabile, dell'istituto famigliare. In quel saggio, Cooper proponeva di cancellare il ruolo paterno sostituendolo con quello fraterno, auspicando quindi una paradossale società di fratelli senza padre, anzi di fratelli perché assassini del Padre: come era successo nel 1793 con l'assassinio del Re di Francia, come auspicava Nietzsche profetizzando l'assassinio di Dio Padre.
    Il processo di democratizzazione della Chiesa, della società e della famiglia è un tutt'uno. La distruzione della famiglia doveva far leva particolarmente sulla "liberazione" della donna. Il femminismo ha preteso di abolire la distinzione dei ruoli maschile e femminile, distruggendo la vocazione naturale alla maternità e alla femminilità. La rivendicazione del "diritto" di aborto e di contraccezione è stata avanzata come diritto della donna ad autodeterminare il proprio corpo e la propria sessualità, liberandosi dall'autorità maschile e dal "peso" della maternità. Alla mascolinizzazione della donna ha corrisposto la devirilizzazione dell'uomo, promossa a tutto spiano dalla moda, dalla pubblicità e dalla musica. La teoria del gender è un punto di arrivo, ma gli slogan contro la cultura del patriarcato che oggi risuonano, hanno la loro origine in manifestazioni femministe come quella che si svolse a Roma...

    • 9 min

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