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Ep. 07 | Kazimierz Wierzyński | Nurmi Lo stadio universale

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Ai Giochi Olimpici del 1920, tutti gli occhi erano puntati su quella che era considerata la nuova stella dell’atletica mondiale. Era nato a Turku, in Finlandia, 23 anni prima. Avrebbe quasi monopolizzato le gare di mezzo fondo di atletica per tutti gli anni Venti. E avrà l’onore, praticamente unico atleta al mondo, di essere invitato alla Casa Bianca da due diversi presidenti degli Stati Uniti: Calvin Coolidge negli anni Venti, Lyndon Johnson negli anni Sessanta. Il suo nome era Paavo Nurmi.

Quasi coetaneo di Nurmi, in quegli anni in cui l’Europa era un unico grande cratere senza confini, era il poeta Kazimierz Wierzyński. Era nato da genitori polacchi di origine tedesca in una cittadina oggi in Ucraina, ma in quegli anni alle estreme propaggini orientali dell’Impero austro-ungarico.

Quando scoppia la prima guerra mondiale, Wierzyński ha 20 anni: la trincea è il suo destino. Nel gennaio 1918 entra in contatto con l’Organizzazione militare polacca clandestina; nell’autunno di quell’anno, a guerra ormai conclusa, arriva a Varsavia e festeggia l’indipendenza della Polonia. Qui entra rapidamente nei più importanti circoli letterari della città ed è co-fondatore del gruppo di poesia sperimentale Skamander, di ispirazione simbolista.

Gli anni successivi sono carichi di novità. Si stabilisce a Varsavia, dove pubblica le prime raccolte poetiche e diventa un personaggio centrale della vivace scena culturale della capitale polacca, che guarda all’Europa e in particolare ai modelli di Londra e Parigi. Nel luglio del 1926 accetta però un incarico apparentemente ben diverso da questo curriculum: la direzione del primo magazine sportivo del paese, il Przegląd Sportowy. Sotto la sua direzione, la rivista organizza il premio per il migliore personaggio sportivo polacco dell’anno: ancora oggi il più alto riconoscimento del paese nel campo dello sport. 

In quell’anno ad Amsterdam si svolgono le ottave Olimpiadi dell’era moderna. A quei Giochi venivano ancora assegnate medaglie alle migliori opere artistiche e letterarie. E tra i componimenti poetici, una giuria composta da undici critici letterari, tra cui l’italiano Giuseppe Prezzolini, decretò la vittoria per l’opera di un 34enne poeta polacco: Kazimierz Wierzyński, appunto. Che si affermò con una raccolta di quindici poesie composta l’anno precedente, e destinata fin dal principio all’esaltazione dei Giochi: si intitolava, infatti, Lauro olimpico.

Sono versi che risentono degli anni in cui furono composti: lo slancio retorico appare oggi sovrabbondante, eccessivo. L’enfasi è talmente spiccata da apparire un artificio poetico perfettamente consapevole. Eppure l’effetto più moderno Wierzinski lo raggiunge non proponendo metafore iperboliche di atleti idealizzati, bensì soffermandosi sulle gesta di uomini sportivi in carne e ossa. Si tratta di uomini citati per nome all’interno dei suoi versi, uomini di cui oggi possiamo ricostruire biografie, vittorie e sconfitte con una buona precisione e le cui gesta, camminando sulla linea del tempo, hanno attraversato il Novecento per approdare su YouTube. Tra queste star dello sport mondiale non poteva mancare forse il più celebre atleta degli anni Venti in tutto il mondo: Paavo Nurmi, il finlandese volante, la furia del Baltico. Il poeta polacco dimostra di conoscerne bene le caratteristiche tecniche e anche alcuni aspetti biografici, rintracciabili nei versi a lui dedicati.

Ai Giochi Olimpici del 1920, tutti gli occhi erano puntati su quella che era considerata la nuova stella dell’atletica mondiale. Era nato a Turku, in Finlandia, 23 anni prima. Avrebbe quasi monopolizzato le gare di mezzo fondo di atletica per tutti gli anni Venti. E avrà l’onore, praticamente unico atleta al mondo, di essere invitato alla Casa Bianca da due diversi presidenti degli Stati Uniti: Calvin Coolidge negli anni Venti, Lyndon Johnson negli anni Sessanta. Il suo nome era Paavo Nurmi.

Quasi coetaneo di Nurmi, in quegli anni in cui l’Europa era un unico grande cratere senza confini, era il poeta Kazimierz Wierzyński. Era nato da genitori polacchi di origine tedesca in una cittadina oggi in Ucraina, ma in quegli anni alle estreme propaggini orientali dell’Impero austro-ungarico.

Quando scoppia la prima guerra mondiale, Wierzyński ha 20 anni: la trincea è il suo destino. Nel gennaio 1918 entra in contatto con l’Organizzazione militare polacca clandestina; nell’autunno di quell’anno, a guerra ormai conclusa, arriva a Varsavia e festeggia l’indipendenza della Polonia. Qui entra rapidamente nei più importanti circoli letterari della città ed è co-fondatore del gruppo di poesia sperimentale Skamander, di ispirazione simbolista.

Gli anni successivi sono carichi di novità. Si stabilisce a Varsavia, dove pubblica le prime raccolte poetiche e diventa un personaggio centrale della vivace scena culturale della capitale polacca, che guarda all’Europa e in particolare ai modelli di Londra e Parigi. Nel luglio del 1926 accetta però un incarico apparentemente ben diverso da questo curriculum: la direzione del primo magazine sportivo del paese, il Przegląd Sportowy. Sotto la sua direzione, la rivista organizza il premio per il migliore personaggio sportivo polacco dell’anno: ancora oggi il più alto riconoscimento del paese nel campo dello sport. 

In quell’anno ad Amsterdam si svolgono le ottave Olimpiadi dell’era moderna. A quei Giochi venivano ancora assegnate medaglie alle migliori opere artistiche e letterarie. E tra i componimenti poetici, una giuria composta da undici critici letterari, tra cui l’italiano Giuseppe Prezzolini, decretò la vittoria per l’opera di un 34enne poeta polacco: Kazimierz Wierzyński, appunto. Che si affermò con una raccolta di quindici poesie composta l’anno precedente, e destinata fin dal principio all’esaltazione dei Giochi: si intitolava, infatti, Lauro olimpico.

Sono versi che risentono degli anni in cui furono composti: lo slancio retorico appare oggi sovrabbondante, eccessivo. L’enfasi è talmente spiccata da apparire un artificio poetico perfettamente consapevole. Eppure l’effetto più moderno Wierzinski lo raggiunge non proponendo metafore iperboliche di atleti idealizzati, bensì soffermandosi sulle gesta di uomini sportivi in carne e ossa. Si tratta di uomini citati per nome all’interno dei suoi versi, uomini di cui oggi possiamo ricostruire biografie, vittorie e sconfitte con una buona precisione e le cui gesta, camminando sulla linea del tempo, hanno attraversato il Novecento per approdare su YouTube. Tra queste star dello sport mondiale non poteva mancare forse il più celebre atleta degli anni Venti in tutto il mondo: Paavo Nurmi, il finlandese volante, la furia del Baltico. Il poeta polacco dimostra di conoscerne bene le caratteristiche tecniche e anche alcuni aspetti biografici, rintracciabili nei versi a lui dedicati.

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