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Gesù Cristo, unico salvatore del Mondo, continua ad agire oggi attraverso la sua Santa Chiesa

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Gesù Cristo, unico salvatore del Mondo, continua ad agire oggi attraverso la sua Santa Chiesa

    Cattolici erranti in cerca di parrocchia

    Cattolici erranti in cerca di parrocchia

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7752

    CATTOLICI ERRANTI IN CERCA DI PARROCCHIA
    Non è obbligatorio frequentare la parrocchia dove si risiede, ma non si deve passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunità
    di Don Stefano Bimbi
    «La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'àmbito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore». Così recita il canone 515 §1 del Codice di Diritto Canonico. La domanda che molti fedeli si fanno è se devono frequentare la parrocchia nel cui territorio si trovano ad abitare oppure se possono andare nella parrocchia che preferiscono.
    Aldo Maria Valli nel suo sito ha pubblicato il 7 luglio 2017 un articolo che parla di una nuova figura di cristiano che l'autore definisce "il cattolico errante": «Si tratta di un bravo cattolico, un po' di tutte le età e le condizioni sociali, che vaga di chiesa in chiesa, di parrocchia in parrocchia. Perché lo fa? Perché, stanco di liturgie sciatte e di chiese brutte, di preti iperattivi o apatici, di parrocchiani sovreccitati o depressi, cerca una chiesa che sia semplicemente normale, con un prete che sia semplicemente prete, una liturgia semplicemente dignitosa, un edificio semplicemente rispettoso del sacro, fedeli semplicemente beneducati». Purtroppo questo tipo di cattolico non si sente più il benvenuto nella sua parrocchia, come spiega ancora Aldo Maria Valli: «Non ne può più di musica per nulla sacra, cori stonati, altoparlanti da discoteca, licenze assurde nella celebrazione. Non sopporta più fedeli chiassosi e sbracati. Non ne può più di chiese orrende, preti che celebrano con le scarpe da ginnastica, tazebao appesi tra una Madonna e un San Giuseppe. Non accetta più di subire omelie irrimediabilmente scontate o troppo immaginifiche. Non gli va più di fare i conti con parroci che sbrigano la messa come fosse una pratica amministrativa o che la trasformano in spettacolo. Ed è anche stanco di essere guardato come un provocatore ogni volta che osa dire come la pensa. Così si mette in viaggio e diventa un cattolico errante».
    IL CATTOLICO ERRANTE
    Ma è giusto essere un cattolico errante? Va bene passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunità? La risposta è no. Far parte di una comunità di fede è necessario per la propria crescita spirituale e per sentirsi parte della Chiesa. Come ci insegna il Nuovo Testamento gli apostoli annunciavano sì il Vangelo, ma subito dopo formavano delle comunità e vi mettevano a capo uno o più presbiteri per garantire il modello gerarchico voluto da Gesù, ma anche la comunione di fede tra i membri di quella specifica comunità. Non si può essere cristiani isolati da ogni contesto ecclesiale. Né si può crescere nella fede e mantenersi nella retta dottrina senza una comunità di riferimento e un sacerdote che ci guida.
    Torniamo quindi alla domanda iniziale e cioè se possiamo scegliere la parrocchia che si preferisce. Innanzitutto va detto che non è per nulla obbligatorio frequentare la parrocchia nel cui territorio si risiede. Ciascuno nella Chiesa è libero di andare dove si sente più accolto e soprattutto dove meglio può fare un cammino di fede adeguato alla sua sensibilità e al suo cammino. Certamente per ottenere il certificato di battesimo si deve andare nella parrocchia dove si è ricevuto il battesimo. Chi ha da iniziare la pratica per il matrimonio deve andare dal parroco della parrocchia dove risiede uno dei nubendi. Così per avere la benedizione della casa ci si dovrà rivolgere al parroco del territorio dove è la casa. Invece per tutto il resto, cioè dove andare alla Messa, agli incontri di formazione, al catechismo dei figli, ai ritiri...

    • 7 min
    Portare i figli piccoli alla Messa può essere controproducente

    Portare i figli piccoli alla Messa può essere controproducente

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7714

    PORTARE I FIGLI PICCOLI ALLA MESSA PUO' ESSERE CONTROPRODUCENTE di Don Stefano Bimbi
    Portare i figli piccoli alla Messa va sempre bene oppure può essere opportuno che rimangano a casa per permettere ai genitori di vivere appieno la celebrazione liturgica? Questa domanda se la sono posta almeno una volta nella vita tutti i genitori cristiani e ciascuno ha pensato di risolverla secondo il proprio giudizio. E non è detto che fosse lo stesso degli altri fedeli o del sacerdote.
    Molti genitori sono contenti di poter condividere con il coniuge e i figli la Messa domenicale, fieri e gioiosi del loro essere famiglia e del vivere insieme l’incontro con Cristo. Se qualcuno li guarda storto perché i bambini piccoli non stanno in perfetto silenzio questi genitori pensano che gli altri siano degli intolleranti. Ovviamente i bambini, con la loro tenerezza, magari strappano a qualcuno un sorriso di comprensione. In questo caso i genitori si sentono rasserenati e rafforzati nella loro scelta di portarli in chiesa.
    Se i figli esagerano nel fare confusione, alcuni genitori li portano fuori, ma così si perdono parte della celebrazione. Altri invece restano, facendo finta di nulla, per non darla vinta al figlio, che non ne può più di rimanere perché si annoia, e non si curano delle signore che si girano lanciando delle occhiatacce minacciose e scocciate. Altri genitori portano giocattoli ai bambini in modo che non si annoino e non disturbino, anche se in realtà spesso disturbano lo stesso anche perché "giocare" e "silenzio" non sempre riescono a convivere allo stesso tempo. Tutte queste apparenti soluzioni fanno emergere una prima considerazione: ai bambini piccoli la Messa non serve, né gli interessa. Disturbano le persone circostanti e anche quando non fosse così, almeno il genitore non vive appieno la celebrazione del santo Sacrificio in quanto ha comunque il pensiero sul proprio figlio.
    QUESTIONE SPINOSA
    Si capisce come mai la questione sia spinosa e lasci alcuni genitori con un senso di inadeguatezza: pensano di dover trovare a tutti i costi un modo per poter vivere bene la Messa, riuscendo a partecipare adeguatamente con tutta la famiglia. Ma quando si rendono conto che non sono capaci di gestire la situazione possono arrivare a pensare che sia un loro difetto.
    Alcuni per avvalorare la loro opinione che i bambini vanno sempre e comunque portati alla Messa, citano le famose parole di Gesù "Lasciate che i bambini vengano a me" (Mc 10,14) dimenticando che questa frase è stata pronunciata fuori dal tempio ed inoltre quando Gesù non stava pregando. Quando invece Gesù voleva pregare se ne stava "tutto solo", spesso di notte, oppure era nel tempio con gli altri, ma senza bambini. Tra l’altro quando il vangelo racconta di Gesù che nell’ultima cena istituisce il santo Sacrificio della Messa, non ci parla della presenza di bambini. Citare quindi il vangelo per avvalorare l’ipotesi che i bambini, anche se rumorosi, vadano comunque e sempre portati alla Messa non ha alcun fondamento. Inoltre non si può considerare la questione solo dal punto di vista dei bambini, ma anche dei fedeli che sono presenti alla Messa. Sacrificare un’intera assemblea in preghiera per il pianto di un solo bambino, magari al momento della consacrazione, non è giustificabile. Bisogna ricordare che un conto è venire in chiesa, un altro è partecipare alla Messa. Il silenzio è più benefico di tanti canti e di tante parole. Toglierglielo con i pianti e le scorrerie dei bambini non è un atto di carità e impedisce a molti di pregare.
    LA GIUSTA SOLUZIONE
    Per trovare la giusta soluzione a questo problema occorre riflettere su cosa sia la Messa. Si sente dire che è il ritrovo della comunità. Qualcuno si spinge ad affermare che è una festa. Se la Messa fosse...

    • 10 min
    L'abuso della messa prefestiva per avere la domenica libera

    L'abuso della messa prefestiva per avere la domenica libera

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7613

    L'ABUSO DELLA MESSA PREFESTIVA PER AVERE LA DOMENICA LIBERA di Fabio Amicosante
    Quella di prender parte alla messa vespertina, comunemente chiamata "prefestiva", in sostituzione di quella domenicale, è una tendenza di cui molti fedeli tendono ad abusare. Per capire meglio questo concetto, bisogna tornare alle motivazioni per cui questa è stata introdotta e, soprattutto, riscoprire le effettive circostanze per cui venne data questa opportunità.
    PAPA PIO XII
    La Messa vespertina fu introdotta dal Pontefice Pio XII attraverso due decreti: La Costituzione Christus Dominus del 6 gennaio 1953 e il Motu porprio Sacram Communionem del 19 marzo 1957. Attraverso questi due decreti, l'allora Pontefice introdusse anche un'altra importante novità: la riduzione del digiuno eucaristico a tre ore. Come ci ricorda Toscana Oggi, qualche anno più tardi, nel 1972, i Vescovi italiani, durante il pontificato di Paolo VI, stabilirono che si potesse anticipare la Messa domenicale e festiva al giorno precedente.
    Ma, in tal senso, bisogna tener presente, con estrema attenzione, alle raccomandazioni che i Vescovi dettarono in quell'anno. Il Collegio Episcopale raccomandò infatti di non far ricorso alla Celebrazione prefestiva a meno che non vi fossero "seri motivi familiari o professionali". Dunque, è bene fare uso di questa possibilità concessa, solo in caso di seri motivi e impegni improrogabili, che rendono impossibile la partecipazione domenicale.
    Tuttavia, sembrano essere sempre più numerose le famiglie che scelgono di prender parte alla Messa vespertina per avere tempo libero la domenica. Abusando di questa opportunità concessa, molti giustificano questa scelta con "impegni" quali sport, svago o turismo. Il direttore di Toscana oggi, in tal senso ha lanciato anche un appello molto importante: "Credo che i Parroci e i consigli pastorali dovrebbero affrontare queste tematiche". C'è infatti, da questo punto di vista, un'estrema necessità di riscoprire il vero significato del "Giorno del Signore" che, per l'appunto, è la domenica.
    PAPA BENEDETTO XVI
    Questa necessità di riscoprire l'effettivo significato del Giorno del Signore è una tematica venuta alla luce già qualche anno fa, durante il Congresso Eucaristico di Bari. In quell'occasione fu l'allora Pontefice Benedetto XVI a ricalcare questa tematica durante la sua omelia: «Abbiamo bisogno di questo Pane per affrontare le fatiche e le stanchezze del viaggio. La Domenica, Giorno del Signore, è l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore della vita. Il precetto festivo non è quindi un dovere imposto dall'esterno, un peso sulle nostre spalle. Al contrario, partecipare alla Celebrazione domenicale, cibarsi del Pane eucaristico e sperimentare la comunione dei fratelli e delle sorelle in Cristo è un bisogno per il cristiano, è una gioia, così il cristiano può trovare l'energia necessaria per il cammino che dobbiamo percorrere ogni settimana. Questo Congresso Eucaristico, che oggi giunge alla sua conclusione, ha inteso ripresentare la domenica come "Pasqua settimanale", espressione dell'identità della comunità cristiana e centro della sua vita e della sua missione. [...]
    Il tema scelto - "Senza la domenica non possiamo vivere" - ci riporta all'anno 304, quando l'imperatore Diocleziano proibì ai cristiani, sotto pena di morte, di possedere le Scritture, di riunirsi la domenica per celebrare l'Eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. Ad Abitene, una piccola località nell'attuale Tunisia, 49 cristiani furono sorpresi una domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice, celebravano l'Eucaristia sfidando così i divieti imperiali. Arrestati, vennero condotti a Cartagine per essere interrogati dal Proconsole Anulino. Significativa, tra le altre, la...

    • 6 min
    Non si può benedire per sdoganare il male

    Non si può benedire per sdoganare il male

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7605

    NON SI PUO' BENEDIRE PER SDOGANARE IL MALE di Don Stefano Bimbi
    Nella Bibbia il Popolo eletto benedice Dio, cioè lo loda per le sue opere e lo ringrazia per i suoi benefici: soprattutto per la creazione e per la liberazione dall'Egitto operata attraverso Mosè. In questo senso tutta la creazione loda il Signore del cielo e della terra attraverso la preghiera dell'uomo. Significativo in tal senso è il cantico di Sadrac, Mesac e Abdènego, meglio conosciuti come Anania, Azaria e Misaele. Essendosi rifiutati di adorare gli idoli, vengono gettati nella fornace ardente dal re Nabucodonosor. Interessante notare che al re dicono che il loro Dio può liberarli dalle fiamme, ma se anche non lo farà loro gli resteranno fedeli comunque. Per dimostrare la loro fede nel momento della prova benedicono il Signore chiamando tutto il creato ad unirsi a loro: «benedite, sole e luna, il Signore», «benedite, stelle del cielo, il Signore», ecc. (cfr. Dn 3,57-88)
    Nella Sacra Scrittura però troviamo che anche Dio benedice. Anzi, la prima volta che si parla di benedizione è proprio in riferimento a Dio che benedice gli esseri viventi che ha appena creato: «Dio li benedisse: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gn 1,22).
    La benedizione è legata alla trasmissione della vita. Poiché essa è un dono, la benedizione la moltiplica. Anche gli sposi vengono benedetti da Dio con il dono dei figli. Questa è l'altissima vocazione dell'uomo: partecipare dell'opera creatrice di Dio. Chi blocca la nascita di nuove creature di Dio con qualunque mezzo, contraccettivo o naturale che sia, offende Dio e gli dovrà rendere conto visto che il giorno del matrimonio si era impegnato solennemente ad accettare i figli che Dio voleva donargli. Da notare che quando Dio benedice non loda le sue opere, né loda se stesso, ma effonde sulle sue opere protezione e moltiplicazione.
    Simbolo privilegiato della benedizione è l'acqua, indispensabile per la vita. Quando gli ebrei vagavano nel deserto avevano il problema della sete. Allora Dio fa sgorgare l'acqua dalla roccia dimostrando così la sua benedizione. Ecco il motivo per cui in genere la benedizione viene data aspergendo con l'acqua. L'acqua benedetta effonde vita, doni, grazie.
    UNA PAROLA EFFICACE
    La benedizione data da Dio o anche da parte dei ministri di Dio è una parola efficace. Basta pensare alla benedizione data da Melchisedek, sacerdote del Dio altissimo e re di Salem, ad Abramo. La benedizione ad Abramo e al popolo discendente da lui, cioè gli ebrei, è irrevocabile. Se ci si pensa infatti è l'unico popolo dell'antichità che è arrivato ai nostri giorni. Tutti gli altri popoli sembravano più potenti, tanto che si studiano ancora a scuola, ma sono tutti scomparsi: assiri, babilonesi, fenici, egiziani, ecc. L'unico popolo che è ancora esistente con la sua lingua, cultura e religione (ad esempio gli egiziani di oggi non hanno nulla in comune con gli antichi egizi) è il popolo nato da Abramo proprio perché Dio gli ha dato la sua benedizione e questa è irrevocabile.
    L'efficacia e l'irrevocabilità delle benedizioni che Dio fa attraverso gli uomini è riconosciuta da Isacco quando si accorge che Giacobbe gli ha estorto la benedizione al posto di Esaù: «Io l'ho benedetto e benedetto resterà» (Gn 27,33).
    Nel Vangelo Gesù benedice i bambini, e cioè effonde loro salute, protezione, favori divini. Il Signore benedice il pane prima di moltiplicarlo e poi il pane e il vino nell'ultima cena prima di consacrarli nel suo corpo e nel suo sangue. Ascendendo al cielo benedice gli apostoli.
    Gesù ha comandato agli apostoli di portare pace nelle case, e cioè di benedirle con i suoi favori e la sua protezione. La Chiesa ha quindi continuato il ministero...

    • 12 min
    Fine pandemia: lo ha capito (in ritardo) anche la CEI

    Fine pandemia: lo ha capito (in ritardo) anche la CEI

    VIDEO: Riassuntone di questi tre anni ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ZMwI61VIYAY&list=PLolpIV2TSebVtj34zS7A0AabuQ9cf1Uxp

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7406


    FINE PANDEMIA: LO HA CAPITO (IN RITARDO) ANCHE LA CEI di Stefano Chiappalone
    Dopo tre anni la pandemia è ufficialmente terminata anche per i vescovi italiani. La lettera della Cei è stata pubblicata l'8 maggio, a tre giorni dal pronunciamento dell'Oms (del 5 maggio), così come a suo tempo la sospensione dei riti religiosi in tutto il territorio nazionale era stata decretata il 9 marzo, all'indomani del primo di una lunga serie di DPCM che da Palazzo Chigi scandivano ciò che di volta in volta era proibito, concesso o «fortemente raccomandato». In Lombardia lo "stop" liturgico fu anticipato al 23 febbraio (e sempre, dichiarava l'arcidiocesi ambrosiana, «in ragione dell'ordinanza emanata dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, di concerto con il ministro della Salute, Roberto Speranza»).
    Per cominciare non si può che rallegrarsi del dichiarato ritorno alla normalità, quando tutto il resto della società vi è tornato da un pezzo. Avevamo ormai dimenticato le autocertificazioni e persino il green pass; andiamo al bar o al ristorante come prima e più di prima, affolliamo le corsie del supermercato o gli eventi sociali e culturali. Ora che «il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, condividendo l'indicazione dell'apposito Comitato tecnico, ha annunciato lo scorso 5 maggio che il Covid-19 non costituisce più un'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale», finalmente sappiamo una volta per tutte che banchi e inginocchiatoi non sono più pericolosi di altri luoghi.
    La Cei rievoca il «tempo difficile in cui le nostre comunità cristiane sono state prossime con la preghiera e le opere di carità a chi ha sofferto la malattia e le conseguenze della difficile fase economica». Esprime gratitudine al «personale sanitario» e a «tutti coloro che, in qualsiasi maniera, hanno dato il loro contributo per alleviare i disagi e affrontare la crisi». E ricorda «le tante persone che hanno perso la vita, tra cui centinaia di sacerdoti, che hanno contratto l'infezione adoperandosi per il proprio ministero». Ministero tanto più degno di riconoscimento, aggiungiamo, in quei tre mesi di lockdown in cui i sacramenti erano divenuti una rarità.
    LA CEI: "GRAZIE OMS!"
    «Accogliendo la comunicazione dell'OMS», ripetono ancora i vescovi, «segnaliamo che tutte le attività ecclesiali, liturgiche, pie devozioni, possono tornare a essere vissute nelle modalità consuete precedenti all'emergenza sanitaria». Insomma, si torna in chiesa e in presenza, segnalando l'opportunità «che cessino, o quantomeno siano diminuite nel loro numero, le celebrazioni trasmesse in streaming». «Tutte» e «nelle modalità consuete precedenti» sono parole che finalmente danno "speranza" (con la minuscola!), per esempio laddove si continua ad aver timore delle processioni oppure - caso frequente e segnalatoci anche dai nostri lettori - ci si ostina a imporre la comunione sulle mani anche a chi preferisce riceverla in bocca, secondo la forma tradizionale, e nonostante tale obbligo sia decaduto almeno dal 1° aprile 2022. Oppure dove ancora si grida al sacrilegio per omessa mascherina. O dove ancora si raccomanda ("non si sa mai") di non inginocchiarsi al momento della consacrazione. E si intuisce, benché non detto esplicitamente, che sia tornato anche il precetto festivo, rimasto indefinito anche dopo la riapertura.
    Dovremmo poter tornare a scandire la vita della Chiesa tra a.C. e d.C. nel senso tradizionale di "avanti Cristo / dopo Cristo" e non...

    • 8 min
    L'estrema unzione e il viatico (la Comunione in punto di morte) sono obbligatori

    L'estrema unzione e il viatico (la Comunione in punto di morte) sono obbligatori

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7390

    L'UNZIONE DEGLI INFERMI E' OBBLIGATORIA di Gelsomino Del Guercio
    Prima di morire [...] non è una formalità garantire un sacramento a una persona. Ma dovrebbe essere dovere di ogni cristiano. E vi spieghiamo perché.
    Come si legge in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" a cura di Don Marcello Stanzione (edizioni Segno), la morte non è qualcosa di spaventoso per il cristiano. "Vita mutatur non tallitura" (la vita è cambiata non è tolta) ci fa recitare la Liturgia (Prefazio della messa dei defunti); dopo la morte la nostra anima continua a vivere, per chi muore in stato di grazia; essa entra in una vita migliore, nell'attesa di ritrovare il suo corpo il giorno del giudizio universale per farlo partecipare alla felicità eterna.
    Un tempo, si legge nel libro di Stanzione, riguardo ai deceduti si diceva: "Ha ricevuto i sacramenti? Si è confessato? Ha perdonato?". Oggi invece si dice: "Ha sofferto?". Così spesso si nasconde ai malati la vicinanza della morte o per ignoranza (perché non si conoscono gli effetti dei sacramenti) o per mancanza di fede e di spirito cristiano. Purtroppo non si ha una concezione cristiana della morte e si pensa: "come reagirà il malato se si fa venire il sacerdote? Avrà paura, si dispererà?". Queste obiezioni purtroppo sono correnti.
    Per confutarle Stanzione cita, il dottor Pierre Barbet, che fece il resoconto di una lunga esperienza: «Vi sono nella malattia, nelle sofferenze, delle grazie particolari delle quali noi medici constatiamo gli effetti, esse mettono per bontà divina i malati gravi e moribondi in uno stato migliore che non si può supporre e al quale non pensano ordinariamente le loro famiglie. E' un fatto sul quale occorre insistere perché è poco conosciuto e il fatto di non conoscerlo comporta ad ogni istante dei malintesi spaventosi, mentre facilita moltissimo tutti gli interventi dei parenti: il malato grave, il morente ha quasi sempre un desiderio segreto del sacerdote e dei soccorsi della religione».
    QUANDO DARE L'UNZIONE DEGLI INFERMI
    L'autore del libro fa una sollecitazione ai lettori: domandate fin da adesso ai vostri cari che abbiano il coraggio di avvertirvi quando la morte sarà vicina o di farvi avvertire da un sacerdote. Certamente occorrerà farlo sempre con delicatezza e prudenza. Va ricordato che a Chiesa raccomanda di ricevere i sacramenti quando si è ancora sani di mente e con qualche speranza di vita. Infatti il Catechismo del Concilio di Trento, al paragrafo 269, afferma: "Ricordiamo che cadono in grave colpa coloro i quali sogliono ungere i malati solo quando, svanita ogni speranza di guarigione, cominciano a perdere i sensi e la vita. Invece è certo che a conseguire più abbondante la grazia sacramentale, giova moltissimo che al malato sia applicato l'olio santo quando ancora conserva lucide l'intelligenza, pronta la ragione e pia la volontà".
    Quanti malati gravi, purtroppo si lasciano nelle angosce e nelle prove, nascondendo loro che la morte si avvicina, privandoli così dei conforti della religione.
    L'Unzione degli infermi, che in passato era nota con il nome di «Estrema Unzione», si riceve mediante l'unzione con olio di oliva consacrato e la preghiera del sacerdote, la salute dell'anima e spesso anche quella del corpo.
    Ora cerchiamo di capire perché è così importante.
    Questo sacramento manifesta quanto è grande la bontà di Dio nei nostri riguardi, infatti con esso l'anima viene fortificata, perché col conferimento della grazia sacramentale, essa riceve le grazie attuali che l'aiutano a perseverare nel bene fino alla morte, rimette i peccati mortali che l'infermo pentito non potesse più confessare (purché l'infermo abbia almeno l'attrizione, cioè il dolore imperfetto dei propri peccati), e le pene dovute ai peccati; e se...

    • 6 min

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