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Le lectio degli Atti degli Apostoli tenute da Silvano Fausti e dai suoi confratelli della Comunita di Villapizzone (Milano) il lunedi sera.L'icona è l'opera "Der Morgen am See" di Sieger Köder
Eventuali ulteriori informazioni possono essere trovate su http://www.schwabenverlag-online.de/sk_vita.php

Lectio: Atti degli Apostoli Silvano Fausti

    • Религия и духовность

Le lectio degli Atti degli Apostoli tenute da Silvano Fausti e dai suoi confratelli della Comunita di Villapizzone (Milano) il lunedi sera.L'icona è l'opera "Der Morgen am See" di Sieger Köder
Eventuali ulteriori informazioni possono essere trovate su http://www.schwabenverlag-online.de/sk_vita.php

    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 8 giugno 2015

    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 8 giugno 2015

    Commento a Atti 28, 25-31Alle nazioni è stata inviata questa salvezza di Dio
    Paolo scrive: “Nella prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito: tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentire tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli” (2Tm 4, 16-18). Solo Luca è rimasto con lui (2Tm 4,11).
    Il finale degli Atti non è monco, come a prima vista pare. È anzi la ricapitolazione di tutta l’opera di Luca; fa risuonare in pienezza tutti i temi svolti dall’inizio del racconto del Vangelo sino alla fine degli Atti. Protagonista è sempre la Parola di salvezza che passa ai pagani. Paolo ne è araldo e testimone esemplare.
    In questo finale è ripresa la duplice profezia di Simeone sul bambino Gesù, tema fondamentale di Luca. Egli è “la salvezza” di Dio da lui “preparata davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti (= i pagani)”. E proprio questa è la gloria di Israele (Lc 2,29-32). Infatti il seme di Abramo sarà benedizione per tutti, nessuno escluso (Gen 12,3b).
    Per questo il bambino sarà “segno di contraddizione”, “rovina” per chi la rifiuta e “risurrezione” per chi l’accoglie. La Parola è spada che divide, perché svela i pensieri dei cuori (Lc 2,34s). Proprio gli esclusi, i pagani, a differenza dei Giudei, l’accoglieranno ( cf At 28, 28).
    Ma se il “rifiuto” di una parte d’Israele, come si vede da tutti gli Atti, “ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la riammissione” di chi ha rifiutato “se non una risurrezione dai morti?” (Rm 11,15). Sarà il compimento del disegno di Dio, che ha lasciato tutti rinchiudersi “nella disobbedienza per usare a tutti misericordia” (Rm 11,32; leggi il contesto di tutto il capitolo di Rm 11,25-36).
    Lo stesso ministero di Paolo ai gentili è tutto “nella speranza di suscitare la gelosia” dei suoi consanguinei (Rm 11,13s).
    La durezza di cuore nei confronti di Dio è antica quanto l’uomo. Già Adamo ascoltò la voce del serpente e fu sordo a quella di Dio. È il male originario, origine di ogni male.
    Paolo, come il profeta Isaia, rimprovera la stessa cosa ai suoi ascoltatori che non accolgono la sua parola che viene da Dio.
    Questo non è giudizio di condanna, ma estremo tentativo di farsi ascoltare. La denuncia di sordità e cecità è diagnosi necessaria per guarire udito e occhio.
    Queste parole sono tutt’altro che un’esclusione d’Israele dalla promessa che si è compiuta in Gesù. Paolo, ovunque è andato, è sempre entrato prima in sinagoga, tra i suoi fratelli e proseliti.
    A Roma non ha potuto perché agli arresti domiciliari. Ma si è premurato di convocare subito i Giudei, per organizzare un incontro in casa sua.
    Paolo si è già preparato il terreno con la lettera ai Romani, che è servita innanzi tutto a lui e a noi per comprendere il rapporto inscindibile tra Legge e Vangelo, tra promessa e compimento. Paolo confessa: “Ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti io stesso essere anàtema, separato dal Cristo, a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene il Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen” (Rm 9,2-5).
    Il fatto che la salvezza dei Giudei passi ai pagani è innanzitutto il compimento della promessa fatta ad Abramo: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione (…) e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,2s). Questo non significa che i Giudei ne sono esclusi: ne sono anzi i primi b

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    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 25 maggio 2015

    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 25 maggio 2015

    Commento a Atti 28, 11-24Così arrivammo a Roma
    La navigazione per raggiungere Roma riprende dopo tre mesi. La nave viene da Alessandria e porta le insegne dei “Dioscuri”, i gemelli figli di Giove, protettori dei naviganti. La prima sosta è a Siracusa dove restano tre giorni. Da lì giungono a Reggio, sullo stretto tra Scilla e Cariddi e, dopo un giorno di navigazione, un vento australe li spinge in tre giorni a Pozzuoli, nel Golfo di Napoli, grande porto tra Roma e l’Oriente.
    Lì trovano una comunità cristiana, dove sono pregati di restare sette giorni. Nel frattempo la notizia del suo arrivo lo precede a Roma.
    Paolo arriva a Roma con questi sentimenti: “Quanto a me il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4,6-8).
    Dei fratelli di Roma gli vengono incontro al foro Appio e alle tre Taverne, rispettivamente a 65 km e 50 km da Roma.
    La cosa gli dà coraggio. Temeva di non essere accolto bene. Gli Atti sono sobri sull’accoglienza ricevuta a Roma. Ce ne parla però in termini negativi 2Tm 4,9-18.
    E “così arrivammo a Roma”, la meta desiderata. Luca, che ha seguito Paolo, esprime con sobrietà il grande evento.
    Da qui scompare dalla narrazione il “noi”. L’obiettivo è puntato solo su Paolo, il protagonista. Dio aveva scelto lui come “vaso eletto” per portare il nome di Gesù a tutti i pagani ( At 9,15).
    A Roma è concesso a Paolo di restare fuori prigione, agli arresti domiciliari con un soldato di guardia. Dopo tre giorni, non potendo andare in sinagoga, convoca i notabili Giudei.
    Ovunque è andato, Paolo si è sempre prima rivolto ai Giudei, destinatari della promessa. Li ama tanto da dire: “ Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne (Rm 9,3).
    Davanti a loro Paolo si presenta e fa una breve apologia di sé: ha fatto nulla contro il popolo e le sue tradizioni. Eppure fu consegnato ai Romani, per l’equivoco che conosciamo sul tempio. Fu riconosciuto innocente e volevano liberarlo, ma i Giudei si opponevano. Per questo fu costretto ad appellarsi a Cesare. Dicendo sobriamente cose note al lettore, conclude che le sue catene sono solo a motivo della speranza d’Israele, ossia la risurrezione, che contrappone Sadducei e Farisei.
    A Roma non sanno nulla di questo, ma desiderano sapere qualcosa sulla setta o partito dei seguaci di Gesù, che trova ovunque opposizione. Fissano un giorno per incontrarsi; e numerosi di Giudei si recano da lui. E lui rende davanti a tutti testimonianza sul Regno di Dio, ossia Gesù, compimento della Legge e dei profeti. Parla da mattino a sera. Come sempre, alcuni furono convinti e altri restavano increduli.

    Divisione del testo:
    a. vv. 11-13: viaggio da Malta a Pozzuoli
    b. vv. 14-15: da Pozzuoli a Roma
    c. vv. 16-20: entrata in Roma e apologia di Paolo verso i Giudei
    d. vv. 21-22: niente contro Paolo e desiderio di conoscere l’eresia cristiana
    e. vv. 23-24: testimonianza su Gesù accolta o rifiutata

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    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 18 maggio 2015

    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 18 maggio 2015

    Commento a Atti 28, 1-10Quest’uomo è un assassino ... un dio
    Nonostante la pioggia, un interludio di quiete dopo la tempesta. L’approdo a Malta è una cordiale accoglienza. I naufraghi, afflitti da freddo e stress, sono confortati da un falò acceso dagli indigeni. Ma anche qui succede un incidente con pericolo di morte. Se sul mare c’era burrasca, a terra c’è una vipera. Si nasconde nella bracciata di sarmenti che Paolo ha raccolto per ravvivare il fuoco. Anche in questa situazione non si tira indietro dal lavorare con le proprie mani. È per lui un punto d’onore: preferirebbe morire piuttosto che fare il contrario (1Cor 9,15). Non è un parassita. Non campa sulla parola che dice, come fanno retori e predicatori. Al contrario, testimonia ciò che dice con la sua vita. Fino a dare la vita stessa.
    La vipera, buttata sul fuoco insieme al fascio di legna, salta fuori dalle fiamme e morde la mano di Paolo. Lui la scrolla svelto nel fuoco, ma troppo tardi. La gente di Malta pensa subito che sia un assassino, che gli Dei vogliono punire. Hanno tentato prima con la burrasca, anche al costo di affondare 275 giusti insieme a lui. Deve essere un delinquente particolarmente perverso: scampato non si sa come dal mare, la vendetta divina lo insegue per terra mediante una vipera. Gli indigeni si aspettano che la mano si gonfi e che lui cada stecchito a terra. Con meraviglia succede niente.
    Allora il supposto delinquente pensano che sia un dio.
    L’episodio serve al lettore per sottolineare ancora una volta che Paolo è un giusto, protetto da Dio sia dalla tempesta che dal veleno della vipera.
    E Paolo, come in mare salvò tutti dal naufragio, in terra guarì il padre di Publio e tutti i malati dell’isola che in seguito venivano da lui.
    Sostò tre mesi a Malta, in attesa di vento e nave giusta. Nel frattempo non ha certo oziato. Non si dice che abbia evangelizzato. Chi ha letto gli Atti degli Apostoli fino a qui, può supporlo come ovvio. L’apostolo evangelizza ovunque si trova, sempre spinto dall’amore di Cristo, che “è morto per tutti” (2Cor 5,14).
    Sia il viaggio, sia le soste forzate, sia la prigionia, tutto è per l’apostolo opportunità per testimoniare il suo Maestro. Non a caso diceva Nadal dei primi gesuiti: “Casa dell’apostolo è la via”. Tutte le strade, percorse dai piedi dell’uomo che fugge da Dio, diventano luogo d’incontro con ogni fratello per il quale il Signore ha dato la vita. Agli estremi confini della terra, vediamo negli Atti, si arriva non in carrozza o in aereo di prima classe. La Parola si diffonde come il seme sparso sulla terra. Le persecuzioni dei nemici sono la mano stessa di Dio che dissemina la Parola ovunque. E le contrarietà, le vie chiuse e gli incidenti, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. (Rm8,28).

    La promessa di Mc 16,18 non viene da questo episodio degli Atti. Apparteneva già alla tradizione: è la vittoria sul serpente, la cui menzogna sta all’origine della storia di perdizione e salvezza. La stirpe di Adamo gli schiaccerà la testa (Gen 3,15) salvezza (cf Lc 10, 19!).
    Tutta la predicazione di Paolo è una vittoria sulla menzogna che ci avvelenò di morte l’esistenza. Questo racconto sulla vipera è compimento della salvezza promessa, segno di tutta l’attività evangelizzatrice di Paolo.
    La Parola, come sempre in Luca, è anche terapia del corpo e salvezza dell’uomo. Il lettore comprende come il discepolo porta a compimento e continua a fare e dire ciò che il Maestro cominciò a fare e dire.
    Come in 27, 1-44 Paolo è salvato dalle acque, qui a Malta diventa a sua volta salvatore di tutti e da ogni male.
    La salvezza non è una parola vuota, ma il racconto di un fatto di salvezza che viene testimoniato e dato a tutti, con gesti concreti, dove le miserie e i limiti diventano luogo di misericordia e comunione.

    Divisione del testo:
    a. vv.1-2: buona accoglienza dei naufraghi
    b. vv. 3-6: Paolo morso da vipera: da maledetto pro

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    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 11 maggio 2015

    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 11 maggio 2015

    Commento a Atti 27, 21-44Vi esorto a prendere cibo: è necessario per la vostra salvezza
    È l’autunno del’anno 60 d.C. Finalmente Paolo parte per Roma. Le vicende giudiziarie, con la lentezza, le arbitrarietà e insensatezze burocratiche, realizzano la sua decisione di andare a Roma (19,21). In essa lo confermò il Signore stesso la notte dopo l’ultimo tentativo di linciaggio subito nel Sinedrio. Venne infatti a confortarlo con le parole: “Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, bisogna che anche a Roma tu testimoni” (23,11).
    Lì punta ora il corso della salvezza, guidato da Dio “fino agli estremi confini della terra” (1,8). Glielo confermerà anche un angelo di Dio durante la traversata burrascosa: “Non temere, Paolo! Bisogna che tu compaia davanti a Cesare” Paolo è il prototipo degli inviati che portano l’annuncio messianico a tutti: in concreto lo porta nel cuore dell’impero romano che abbracciava l’Europa, l’Asia minore e tutto il nord Africa.
    Grazie a Paolo saranno salvati anche i suoi compagni di viaggio (27,24), prefigurazione dell’umanità intera. Siamo infatti tutti sulla stessa barca.
    La nostra esistenza è turbine tempestoso che ci scaglia contro gli scogli e ci sommerge nell’abisso. Eppure tutti siamo salvati “dal viaggio” della Parola che porta salvezza al mondo. Il racconto raffigura l’effetto salvifico di Cristo attraverso il suo testimone. In lui opera la morte perché in tutti gli altri vinca la vita (leggi 2Cor 4,7-18!). Il Venerdì Santo, quando Gesù, luce del mondo, fu crocifisso, si fece tenebra sulla terra. Questa tenebra del Venerdì Santo continua nella croce dei suoi testimoni. E dura non una, ma due settimane, cioè per sempre, fino a quando si compirà il giorno del ritorno al Padre di tutti i suoi figli e “Dio sia tutto in tutti” ( Cor 15,26). Nella traversata per giungere al centro del potere mondano Luca mostra “le sue capacità letterario-narrative, costruendo un racconto colorito, vivace, drammatico, pieno di dettagli, di supense, e avventure, narrato in prima persona plurale. Il che rafforza la concretezza e coinvolge nel “noi” il lettore stesso.
    Da abile scrittore, Luca ci tiene a chiudere la sua opera con un finale grandioso, quasi da fuochi d’artificio. La storia non è un arida somma di dati. Lo storiografo antico racconta con uno stile all’altezza dell’argomento trattato. Il modo di dire è l’arte che rende la realtà attraente e leggibile.
    Il finale degli Atti è non meno grandioso e sorprendente di quello del Vangelo, dove è sconfitta la morte: invece di essere gettati nell’abisso, siamo risucchiati dal cielo sereno che si apre per accoglierci.
    Il naufragio è metafora della vicenda di ogni uomo e dell’umanità intera, destinata ad affogare in se stessa. Eppure la nave dovrebbe attraversare il mare e le sue burrasche! E per di più è carica di frumento, alimento di vita.
    Su questa nave che si sfascerà, Paolo celebra la sua “messa sul mondo”, che porta salvezza a tutti i naufraghi della vita.
    I verbi del testo sono al “noi”. Luca è presente, con Paolo e tutti gli altri. Pure noi lettori facciamo parte di questa barca, come chiunque. Nella traversata della vita siamo tutti vittime della stessa sorte: la morte. Ma la presenza di Paolo, con la Parola che dice e il Pane che spezza, è salvezza per tutti. La Parola e il Pane di Gesù lo hanno fatto uno con Lui, con il suo stesso cammino e la sua stessa meta.
    Certamente Luca nei capitoli precedenti ha ricalcato il processo di Paolo su quello del suo Maestro. Anche il suo viaggio a Roma è come il cammino di Gesù nella sua passione. Non mancano somiglianze: la predizione ( At 27,10; cf Lc 22,37s), la violenza della tempesta (At 27,18-20, cf. Lc 18,33 e Lc 23, 44: flagellazione e crocifissione), oscurarsi del cielo (At 27,20; Lc 23,44), estenuazione fisica (At 27,21.33, cf Lc 23,44.45a: Gesù morente), il rompersi di tutta la barca (At 27,41, cf

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    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 4 maggio 2015

    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 4 maggio 2015

    Commento a Atti 27, 1-20Uomini, vedo che la navigazione sta diventando rischiosa
    È l’autunno del’anno 60 d.C. Finalmente Paolo parte per Roma. Le vicende giudiziarie, con la lentezza, le arbitrarietà e insensatezze burocratiche, realizzano la sua decisione di andare a Roma (19,21). In essa lo confermò il Signore stesso la notte dopo l’ultimo tentativo di linciaggio subito nel Sinedrio. Venne infatti a confortarlo con le parole: “Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, bisogna che anche a Roma tu testimoni” (23,11).
    Lì punta ora il corso della salvezza, guidato da Dio “fino agli estremi confini della terra” (1,8). Glielo confermerà anche un angelo di Dio durante la traversata burrascosa: “Non temere, Paolo! Bisogna che tu compaia davanti a Cesare” Paolo è il prototipo degli inviati che portano l’annuncio messianico a tutti: in concreto lo porta nel cuore dell’impero romano che abbracciava l’Europa, l’Asia minore e tutto il nord Africa.
    Grazie a Paolo saranno salvati anche i suoi compagni di viaggio (27,24), prefigurazione dell’umanità intera. Siamo infatti tutti sulla stessa barca.
    La nostra esistenza è turbine tempestoso che ci scaglia contro gli scogli e ci sommerge nell’abisso. Eppure tutti siamo salvati “dal viaggio” della Parola che porta salvezza al mondo. Il racconto raffigura l’effetto salvifico di Cristo attraverso il suo testimone. In lui opera la morte perché in tutti gli altri vinca la vita (leggi 2Cor 4,7-18!). Il Venerdì Santo, quando Gesù, luce del mondo, fu crocifisso, si fece tenebra sulla terra. Questa tenebra del Venerdì Santo continua nella croce dei suoi testimoni. E dura non una, ma due settimane, cioè per sempre, fino a quando si compirà il giorno del ritorno al Padre di tutti i suoi figli e “Dio sia tutto in tutti” ( Cor 15,26). Nella traversata per giungere al centro del potere mondano Luca mostra “le sue capacità letterario-narrative, costruendo un racconto colorito, vivace, drammatico, pieno di dettagli, di supense, e avventure, narrato in prima persona plurale. Il che rafforza la concretezza e coinvolge nel “noi” il lettore stesso.
    Da abile scrittore, Luca ci tiene a chiudere la sua opera con un finale grandioso, quasi da fuochi d’artificio. La storia non è un arida somma di dati. Lo storiografo antico racconta con uno stile all’altezza dell’argomento trattato. Il modo di dire è l’arte che rende la realtà attraente e leggibile.
    Il finale degli Atti è non meno grandioso e sorprendente di quello del Vangelo, dove è sconfitta la morte: invece di essere gettati nell’abisso, siamo risucchiati dal cielo sereno che si apre per accoglierci.
    Il naufragio è metafora della vicenda di ogni uomo e dell’umanità intera, destinata ad affogare in se stessa. Eppure la nave dovrebbe attraversare il mare e le sue burrasche! E per di più è carica di frumento, alimento di vita.
    Su questa nave che si sfascerà, Paolo celebra la sua “messa sul mondo”, che porta salvezza a tutti i naufraghi della vita.
    I verbi del testo sono al “noi”. Luca è presente, con Paolo e tutti gli altri. Pure noi lettori facciamo parte di questa barca, come chiunque. Nella traversata della vita siamo tutti vittime della stessa sorte: la morte. Ma la presenza di Paolo, con la Parola che dice e il Pane che spezza, è salvezza per tutti. La Parola e il Pane di Gesù lo hanno fatto uno con Lui, con il suo stesso cammino e la sua stessa meta.
    Certamente Luca nei capitoli precedenti ha ricalcato il processo di Paolo su quello del suo Maestro. Anche il suo viaggio a Roma è come il cammino di Gesù nella sua passione. Non mancano somiglianze: la predizione ( At 27,10; cf Lc 22,37s), la violenza della tempesta (At 27,18-20, cf. Lc 18,33 e Lc 23, 44: flagellazione e crocifissione), oscurarsi del cielo (At 27,20; Lc 23,44), estenuazione fisica (At 27,21.33, cf Lc 23,44.45a: Gesù morente), il rompersi di tutta la barca (At 27,41, cf Lc 23,45b:

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    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 27 aprile 2015

    Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 27 aprile 2015

    Commento a Atti 26, 24-33Sei matto, Paolo!” ... "Per poco mi persuadi a farmi cristiano!
    All’origine di ogni pensare e fare umano sta il desiderio di bloccare e vincere la morte. Per questo le parole di Paolo sulla risurrezione interpellano tutti. Poveri e ricchi, schiavi e potenti, pagani o giudei, sono chiamati a convertirsi al Dio della vita. La reazione all’annuncio di Paolo è il rifiuto a priori di Festo:“Tu sei matto”, oppure l’interesse di Agrippa: “Per poco mi persuadi”. La riposta negativa o positiva, incipiente o piena. è lasciata alla nostra libertà. La realtà è comunque quella che è. Sta a noi negarla o accettarla.
    Come ad Atene, Paolo è interrotto mentre parla della risurrezione. I Greci, più educatamente, gli dissero : “Ti ascolteremo un’altra volta” (At 17,32). Il rozzo liberto Festo, più direttamente, dice a Paolo che delira, impazzito dal troppo sapere (v.24).“Chi troppo studia ei poi pazzo diventa”.
    Qualunque sia la reazione, Paolo ha comunque detto ciò che voleva. La parola è seme caduto sulla terra, sempre pronto a germogliare se è accolto. Per questo Luca annota le reazioni di Festo e Agrippa: sono le stesse del lettore che si identifica con loro.
    Davanti alla risurrezione nessuno è indifferente. O si reagisce come Festo, che la ritiene impossibile, o come Agrippa che quasi quasi si farebbe cristiano!
    Festo non a caso interviene dopo aver sentito parlare della risurrezione di Gesù, anticipo della nostra. È ciò che i pagani ignorano: solo gli dei sono immortali. Anche i sadducei, a differenza dei farisei, negano che ci sia risurrezione.
    Per Festo parlare di risurrezione è un delirare fuori dal solco di ogni buon senso. L’uomo è “humus”, terra: dalla terra viene e alla terra ritorna. L’uomo è memoria mortis: sa che non spetta a lui la vita. La morte è l’ultima parola. La luce si spegne e l’oscurità dell’Ade avvolge tutti. Non c’è morto che rigermogli dal sottosuolo. Al massimo c’è l’“apoteosi”, vaga forma di divinizzazione riservata agli imperatori e agli eroi. Costoro, pur mortali e morti, non (si) sono ritenuti pari ai comuni mortali. Ma tale divinizzazione è un evidente delirio dei loro successori, che con loro si identificano. In realtà i potenti non hanno alcun potere di dare vita a sé o ad altri. L’unico potere che hanno è quello di dare e seminare morte.
    L’uomo riceve e trasmette la vita. Ma si tratta sempre e solo di vita caduca. La scadenza, certa e imprevedibile, è comunque puntuale come la morte: viene quando viene, né un attimo prima né un attimo dopo. Inoltre è chiaro che all’uomo è impossibile dar vita a un morto, anche se gli riesce bene dare morte a un vivo.
    La vita non è in nostro potere. È solo in potere della Vita dar vita. L’uomo non può produrre, ma solo ricevere o trasmettere una vita mortale. È talora in grado di ritardare la morte, ma non di sconfiggerla.
    Quanto al risuscitare un morto non se ne parla. La resurrezione non è produzione di forza d’uomo né deduzione di suoi ragionamenti. Non ci è possibile neppure pensare di operarla – se non in casi di grave delirio.
    Ma siamo “in grave errore” (Mc 12,24.27!) se pensiamo che sia reale solo ciò che è possibile a noi. L’universo e tutto il suo arredamento- uomini e bestie compresi!- è uno spettacolo continuo che nessuno di noi è in grado di fare o pensare di fare. Davanti ad esso, presi da meraviglia, a stento balbettiamo qualcosa!
    Neppure la nostra vita siamo in grado di produrre – tranne chi ritiene di essersi fatto da sé, senza accorgersi che si è semplicemente “fatto”. Eppure la nostra vita è corrente di energia che passa nel fragile filo della nostra esistenza. Ma non è generata dal filo.
    La risurrezione è pensabile solo partendo dalle possibilità della Vita stessa, che non produciamo noi, ma che riceviamo in dono. Neppure un’infinita serie di mortali può dare origine alla vita. Infinite cifre dopo

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