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L'ideologia che ha prodotto più di 100 milioni di morti innocenti

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L'ideologia che ha prodotto più di 100 milioni di morti innocenti

    E' morto il segretario di Palmiro Togliatti

    E' morto il segretario di Palmiro Togliatti

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=705

    E' MORTO IL SEGRETARIO DI PALMIRO TOGLIATTI di Massimo Caprara
    Esiste solo qualche parola, o forse nessuna, come la parola ideologia che abbia dominato, anzi oppresso, il nostro tempo: il secolo appena passato "delle idee assassine". Di esse non vi parlo come uno storico di professione, perché tale non sono. Vi parlo della concretezza, del mio vissuto, vi reco una testimonianza che alimenta e nutre una riflessione critica. Non è quindi la Storia, ma la mia storia: la storia di un ideale che degenera in ideologia, di come un ideale si trasforma, si corrompe, si separa dall'esperienza e diviene un sistema dogmatico, una corazza di false verità totalizzanti e assolute.
    IDEOLOGIA, NON SUCCEDE MAI NIENTE DI IMPREVISTO
    In questo senso, ideologia è contrario della realtà, contrario del Vero, suo pregiudizio, sua contrapposizione, suo non pensare. Nell'ideologia ogni passaggio è scontato. Essa è incurante dell'evidenza, è tempo senza tempo, incapacità di cercare il Vero, di riconoscerlo, di volerlo, di amarlo, ma capace solo di esecrarlo e negarlo. In uno dei maggiori suoi teorici, l'ideologia è «potere di una classe organizzata per opprimerne un'altra». Così Karl Marx nei Manoscritti economici - filosofici del 1844 e nell'Ideologia tedesca del 1846, descrive l'intrinseca violenza, prevedibile e prevista, che è la sostanza dell'ideologia. [...]
    Se parlo con durezza, con ostinazione e contrarietà, se parlo così di Ideologia non è certo per metafisica accademica. Parlo della mia vita. Ho vissuto per oltre 25 anni all'interno di una Ideologia, in una delle sue versioni più drammatiche, attivistiche, dottrinarie. Dal 1948 al 1968 ho fatto parte del Partito comunista italiano, del suo massimo pensatoio e dirigenza ossia della Nomenklatura comunista, nella sua confessione togliattiana. Sono stato membro del suo Comitato centrale, Sindaco di Portici, Deputato alla Camera per vent'anni. In quella ideologia ho militato con convinzione, allora con calore e ardore. Ho visto da vicino, ogni giorno, il volto e la maschera di una cultura e di una Ideologia autoritaria e costrittiva, che non può essere obliterata e che lascia un segno di memoria e di trauma. Ho vissuto il male dell'Ideologia sino in fondo. Ma proprio dal fondo dell'errore, ho ricevuto una spinta, un recupero, un desiderio del bene e della Verità, ho sentito, se così posso dire, il profumo della Bellezza.
    Di questo passato, io non mi assolvo. Ne vedo gli errori, le responsabilità personali e collettive, ne porto il peso materiale e morale. Non mi assolvo, ma neppure mi fustigo sterilmente. Di tutti i diritti di cui disponiamo, io non posso avere il diritto di tacere. Scrivo libri, ragiono, discuto, mi confronto per capire e giudicare, per suggerire i temi di un dialogo liberatorio, necessario e durevole.
    UN PASSATO FALLITO. E CHE MINACCIA IL PRESENTE
    Perché l'ideologia, in particolare e soprattutto quella comunista, è contraria alla Verità? Lo è per l'egualitarismo che contraddice e sopprime la libertà personale. Lo è per il totalitarismo che concentra in pochi il destino di molti. Ne vincola l'intera vita sociale, stermina il dissenso e lo reprime come inammissibile e imperdonabile. Lo è in quanto derivazione perversa e contraddittoria dal settecentesco Secolo dei Lumi. L'ideologia comunista comincia con il finto amore per l'Uomo, ma esso, nell'intelletto e nella pratica, finisce con l'orrore della vita. Io ho vissuto nel Partito impraticabili, estranianti ideali, io ho vissuto l'ideologia dell'avversione all'uomo. Mi sforzo di indurre gli altri a fare i conti con un passato che è praticamente fallito, ma non è morto. Mi batto perché esso non venga rimosso senza essere stato affrontato criticamente e senza una contestazione civile, ma implacabile. Parlo perché...

    • 5 min
    Il centenario della morte di Lenin, uno dei peggiori criminali della storia

    Il centenario della morte di Lenin, uno dei peggiori criminali della storia

    VIDEO: Intervista a Lenin ➜ https://www.youtube.com/watch?v=OBvlp4ih4Oo&list=PLolpIV2TSebWlrsMU4QrkYZXezTH-BCY6

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7740

    IL CENTENARIO DELLA MORTE DI LENIN, UNO DEI PEGGIORI CRIMINALI DELLA STORIA di Roberto de Mattei
    Un'atmosfera di penombra ha avvolto il centenario della morte di Vladimir Ilich Ul′janov, noto con lo pseudonimo di Lenin, una delle figure più criminali della storia. Morto il 21 gennaio 1924 a Mosca, a causa di una paresi, era nato 54 anni prima a Simbirsk, sulla sponda occidentale del Volga. Figlio di un ispettore scolastico, Vladimir Ul′janov fu un tipico prodotto di quella Russia fine secolo, nella quale, come scrisse Curzio Malaparte, «il fanatismo piccolo borghese andava dal liberalismo marxista al cristianesimo marcio di Tolstoi» (Il buonuomo Lenin, Adelphi, 2018, pp. 22-23). La sua giovinezza fu segnata dalla vicenda del fratello maggiore Aleksandr, impiccato nel maggio 1887 per aver complottato contro la vita dello zar Alessandro III. Vladimir Ul′janov, che già cominciava a leggere le opere rivoluzionarie, si convinse dell'errore dei populisti che intendevano sollevare i contadini compiendo atti terroristici esemplari. Fondamentale fu poi l'incontro con il padre del marxismo russo Georgji Plechanov (1856-1918), esule in Svizzera. Discepolo di Marx, ma anche dello stratega prussiano Carl von Clausewitz (1780-1831), Lenin sviluppò una teoria che faceva della Rivoluzione una scienza. Nell'autunno 1895 fondò a Pietroburgo il circolo Osvoboždenie truda ("Emancipazione del lavoro"), per l'unificazione dei gruppi rivoluzionari, ma nel dicembre venne arrestato e scontò quattordici mesi di carcere e tre anni in Siberia. Esiliato nel 1900, si trasferì a Monaco di Baviera e infine a Zurigo, dove con Plechanov e Julji Martov (1873-1923), fondò il periodico Iskra ("Scintilla") allo scopo di diffondere l'ideologia comunista in Russia. Nel libro Che fare? (1902), progettò un partito comunista fortemente centralizzato guidato da «uomini la cui professione è l'azione rivoluzionaria» (Opere scelte, Progress, 947, vol. I, p. 331).
    Scoppiò la Prima guerra mondiale e Lenin viveva in una modesta camera della Spiegalgasse, a Zurigo, quando, nel febbraio 1917, la rivoluzione di Aleksander Kerensky (1881-1970) rovesciò il regime zarista. Lo Stato maggiore tedesco decise di inviare in Russia «i batteri della peste rossa», per fare crollare il fronte interno dell'esercito nemico. Il 17 aprile 1917, trentadue esponenti rivoluzionari, tra cui Vladimir Ul′janov, lasciarono Zurigo su un "treno piombato" alla volta di Pietrogrado.
    LA VIOLENZA PER CONQUISTARE IL POTERE
    Giunto in Russia, Lenin esortò il partito bolscevico ad assumere il potere, teorizzando in Stato e rivoluzione (1917) la conquista violenta del potere e la dittatura del proletariato, alla quale sarebbe seguito, il "deperimento" dello Stato, cioè lo spontaneo passaggio dalla fase inferiore alla fase superiore della società comunista senza classi.
    Quando, nell'ottobre del 1917, il partito bolscevico, guidato da Lenin riuscì con un colpo di Stato a conquistare il potere, la "undicesima tesi" di Marx su Feuerbach (1845), secondo la quale, il compito dei filosofi non è quello di conoscere il mondo, ma di trasformarlo, sembrò essersi storicamente realizzata nella sua persona. La violenza fu il metodo per conquistare il potere e per mantenerlo. Il 20 dicembre 1917 Lenin creò la Čeka, la polizia politica a cui affidò il compito di annientare la classe borghese. George Leggett calcola in 140.000 le sole esecuzioni compiute dalla Čeka tra il 1917 e il 1922 (The Cheka: Lenin's political Police, Clarendon Press, 1981, p....

    • 9 min
    La disastrosa situazione del Brasile sotto il comunista Lula

    La disastrosa situazione del Brasile sotto il comunista Lula

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7716

    LA DISASTROSA SITUAZIONE DEL BRASILE SOTTO IL COMUNISTA LULA di Roberto Bertogna
    "La destra è viva, anzi è la maggiore forza politica oggi in Brasile. Lula non sarebbe mai stato capace di organizzare una simile manifestazione".
    Ecco quanto commentava un noto opinionista di sinistra sulla gigantesca manifestazione contro il socialismo e a favore dell'ex presidente Bolsonaro, tenutasi domenica scorsa a San Paolo del Brasile. Il pubblico, calcolato dal Ministero dell'interno in oltre ottocentomila persone, riempiva da un estremo all'altro l'Avenida Paulista, una delle principali vie del capoluogo.
    Dal 2013, quando sono iniziate le grandi manifestazioni di piazza contro la sinistra, il Brasile ha assistito a un risveglio dell'opinione pubblica, con la formazione di un pubblico sempre più consistente e più radicato nelle idee conservatrici. Questo blocco comprende anticomunisti, cattolici di destra, evangelici di varie confessioni, liberali classici e centristi di varie sfumature. Dopo anni di sonnolenza, il Brasile autentico si è risvegliato.
    Incapace di contenere in modo democratico questa sana reazione, la sinistra ha buttato nella mischia le sue truppe d'assalto: la stampa e il Potere giudiziario. Ha quindi iniziato una tremenda campagna di manipolazione e intossicazione dell'opinione pubblica. Non contava, però, con le nuove tecnologie. Per contrastare la propaganda del regime, è sorta una fitta rete di canali, pagine, blog, pubblicazioni online, ecc. di centro-destra, che è riuscita egregiamente a bypassare la gioiosa macchina da guerra mediatica della sinistra. È comune, per esempio, per un blogger di centro-destra avere 2-3 milioni di follower.
    Il contrattacco del Potere giudiziario, invece, si è dimostrato molto più efficace.
    Durante il mandato del presidente Bolsonaro (2019-2022), il Supremo Tribunal Federal (Corte Suprema) è intervenuto a gamba tesa in più di 120 occasioni, calpestando le funzioni organiche dell'Esecutivo. Molti collaboratori di Bolsonaro sono finiti sotto inchiesta. Basta fare un discorso anticomunista in Parlamento per beccarsi un'inchiesta giudiziaria, che spesso e volentieri finisce con la pena di carcere, in barba all'immunità parlamentare. Sì, cari amici, in Brasile oggi ci sono prigionieri politici, come in Cuba. Non pochi esponenti del centro-destra hanno dovuto fuggire all'estero, mentre altri - tra cui lo stesso Bolsonaro - hanno avuto il passaporto confiscato.
    I GIUDICI DI SINISTRA
    Il parti pris delle toghe rosse a favore di Luiz Inácio "Lula" da Silva, leader del Partito dei Lavoratori, di matrice marxista, arriva al limite del surreale. Nonostante una condanna penale, passata in giudicato in tre diverse istanze fino alla Corte d'Appello, egli è stato scarcerato e dichiarato vincitore delle elezioni generali del 2022. Come mai? Semplice: non per l'innocenza dell'imputato, ma perché un Ministro della Corte Suprema (sì, uno!) ha "sospeso" la condanna per "incompetenza di foro" (sic). Lascio ai signori avvocati la qualifica di un tale atto…
    L'auge è arrivato quando, per ordine del magistrato Alexandre de Moraes - dichiaratamente comunista - si è proceduto all'invasione, e conseguente confisco delle apparecchiature, di molti organi di comunicazione legati al centro-destra. Più di un giornalista è finito in galera. La maggiore radio conservatrice del Paese, la Jovem Pam, è stata costretta a cambiare linea editoriale, pena la chiusura. Un numero imprecisato di blogger e youtuber si è rifugiato negli Stati Uniti. Per impedire la diffusione online di idee contrarie al socialismo, de Moraes è giunto all'estremo di proibire in Brasile diverse piattaforme digitali.
    Mentre il centro-destra è così bastonato, i rappresentanti della sinistra hanno la totale protezione...

    • 13 min
    La morte di Bernardo Caprotti, protagonista della resistenza delll'Esselunga contro le coop rosse

    La morte di Bernardo Caprotti, protagonista della resistenza delll'Esselunga contro le coop rosse

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4410

    LA MORTE DI BERNARDO CAPROTTI PROTAGONISTA DELLA RESISTENZA DELL'ESSELUNGA CONTRO LE COOP ROSSE di Renato Farina

    La morte di Bernardo Caprotti è accaduta come tutti vorremmo capitasse a noi stessi. A tarda età, ma mentre si vive. Al punto che a Boris pare di avere interrotto il suo discorso con lui un attimo prima. Sui giornali ci era finito ancora pochi giorni fa da protagonista, uno che tiene la frusta sul cavallo, non per colpirlo, ma per far vedere chi comanda, indicandogli una strada. C'è qualcosa in lui di molto italiano, e qualcos'altro di diversissimo dai costumi italici, e di molto russo. Mi accorgo di aver usato l'indicativo presente, perché mi sembra impossibile si possa sotterrare uno così.
    Caprotti è stato l'uomo che ha inventato il supermercato in Italia. In viale Regina Giovanna trasformò una vecchia autorimessa in un grande negozio, con gli scaffali, dove i clienti potevano scegliersi le merci e posarle in un carrello. Era il 27 novembre 1957. Nasceva così Esselunga, un nome derivato dall'insegna Supermarket con la consonante sibilante che si estendeva sul resto della scritta. I bottegai - ne sono consapevole - non l'hanno amato, ma il passaggio a questa nuova dimensione, alla grande distribuzione, era inevitabile per lo sviluppo delle tecnologie e per l'impulso americano. Alcuni negozi di vicinato hanno saputo resistere, tenere accese le vetrine, altri si sono arresi: in fondo l'innovazione punisce sempre chi non sa estrarre talenti dalla tradizione e si siede su di essa, invece che inventare, consorziarsi con amici e concorrenti, provare il nuovo sul suolo antico ma concimato dal proprio sudore e da quello delle nuove generazioni.
    Caprotti è stato italiano in due sensi. La caparbietà dell'inventiva, il reggere alla concorrenza straniera. In un capitalismo italiano bravo solo a farsi sovvenzionare dallo Stato e a trovare accordi nei salotti buoni per non rischiare nulla, Caprotti ha avuto il coraggio di giocarsela. Ha puntato su se stesso e i suoi collaboratori (li chiamava così, non impiegati o dipendenti, e sono più di 22 mila), e cioè sul lavoro, invece che sulla finanza. Non ha venduto per godere plusvalenze miliardarie dalla vendita a francesi o americani del suo business. Di certo non avrebbe mai venduto alla Coop. Non sopportava il comunismo in teoria, ma soprattutto l'affarismo dei comunisti nella pratica. Nove anni fa scrisse Falce e carrello, dove dimostrò i legami ammorbanti tra le amministrazioni delle Regioni rosse (Emilia-Romagna, Toscana in primis) e la proliferazione di supermercati del medesimo colore. A lui, al suo modo di intendere l'imprenditoria, non si lasciava spazio. La sua denuncia fece sapere all'Italia molte cose. Le sanno benissimo anche gli altri imprenditori delle medesime regioni. Ma per quieto vivere e per realismo non hanno potuto permettersi lo stesso coraggio. Negli ultimi tempi, sentendo che l'età gli imponeva delle decisioni, aveva stabilito di vendere tutto. In mani sicure, capaci di non sprecare il suo tesoro, frammentarlo, tradendo il suo spirito. In Italia non vedeva nessuno. Detestava l'ingordigia francese. Pensava piuttosto agli americani. [...]
    Non ha fatto a tempo a vendere, Caprotti. Per il bene di questo nostro paese e della sua discendenza, ci auguriamo che le liti ereditarie non portino a tagliare in pezzi questo diamante unico, che è così italiano. Riposi in pace, cavalier Bernardo. Anzi, venga giù a dare una mano.

    • 4 min
    L'asfissiante propaganda del governo nelle chiese in Cina

    L'asfissiante propaganda del governo nelle chiese in Cina

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7514

    L'ASFISSIANTE PROPAGANDA DEL GOVERNO NELLE CHIESE IN CINA di Manuela Antonacci
    Dal 1° settembre, a Pechino, entreranno in vigore 76 nuove Misure finalizzate a rafforzare il controllo del governo cinese sulle attività religiose. Si tratta di un ulteriore giro di vite che ha lo scopo reprimere il "sottobosco" delle organizzazioni religiose riluttanti a farsi risucchiare dal "mercato rosso" delle religioni ufficiali in Cina, ovvero le cinque associazioni permesse dal Partito Comunista Cinese, il quale ne nomina pure i responsabili: l'associazione buddista, l'associazione taoista, l'associazione musulmana, l'associazione protestante (la Chiesa delle Tre Autonomie) e l'associazione cattolica (l'Associazione patriottica cattolica cinese)
    Di più, le nuove misure convertiranno i luoghi di culto in veri e propri rami del sistema di propaganda del Partito Comunista Cinese, come riporta Bitter Winter. Infatti, queste Disposizioni sostituiscono quelle del 2005 e confermano che i luoghi in cui si svolgono le attività religiose (monasteri, templi, moschee e chiese) dovranno trasmettere attivamente la propaganda del Partito Comunista Cinese, altrimenti rischieranno la liquidazione. Sono state stabilite disposizioni più severe per includere contenuti di propaganda addirittura nei sermoni e per creare gruppi di studio che si formino sui documenti del Partito Comunista Cinese in tutti i luoghi di culto. Viene inoltre sottolineato che «è vietato costruire grandi statue religiose all'aperto al di fuori di templi e chiese» e il divieto vale anche per privati cittadini o donatori.
    Di fatto tutto questo si configura come l'ennesimo tentativo di uniformare il credo dei cittadini alla propaganda di Stato, anche se nell' Articolo 1 si ha il coraggio di affermare «Queste misure sono formulate [...] per proteggere le normali attività religiose e salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi dei luoghi di culto e dei cittadini credenti». Lo spirito liberticida che pervade queste norme emerge bene dall'Articolo 3, in cui si legge «I luoghi in cui si svolgono le attività religiose devono sostenere la leadership del Partito Comunista Cinese e del sistema socialista, attuare completamente l'ideologia del socialismo di Xi Jinping con caratteristiche cinesi per la nuova era, rispettare la Costituzione, le leggi, le norme e i regolamenti e le disposizioni pertinenti la gestione degli affari religiosi, praticare i valori fondamentali del socialismo, aderire alla direzione della sinicizzazione delle religioni cinesi, aderire al principio di indipendenza, autonomia e autosufficienza e salvaguardare l'unità del paese, l'unità nazionale, l'armonia religiosa e la stabilità sociale».
    Ovviamente anche gli insegnanti di religione dovranno adeguarsi all'ideologia del Partito: nell' Articolo 6 si legge che nei luoghi di culto «vi è un insegnante di religione che deve presiedere alle attività religiose in conformità con le norme e i regolamenti del gruppo religioso nazionale». Dopo aver stabilito a chiare lettere, nelle prime disposizioni, il totale subordinamento delle attività religiose al regime di Pechino, nelle norme successive, vengono fornite una serie di indicazioni burocratiche minuziose riguardo i luoghi di culto: all' Articolo 66 si specifica, ad esempio, che «il Dipartimento degli affari religiosi deve supervisionare e ispezionare i luoghi in cui si volgono le attività religiose in termini di conformità alle leggi».
    Insomma, l'ennesimo sistema creato ad hoc che costringa le comunità religiose a far passare tutte le loro iniziative al vaglio del regime di Pechino. Un sistema di cui il Dipartimento per gli affari religiosi rappresenta la longa manus con il suo controllo continuo, fatto passare per "assistenza e supervisione". In soldoni, non c'è...

    • 12 min
    Stalin, la tentazione di estirpare il male con la violenza

    Stalin, la tentazione di estirpare il male con la violenza

    VIDEO: The soviet story ➜ https://rumble.com/vwywp3-origini-comuni-di-comunismo-e-nazismo.html

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7415

    STALIN, LA TENTAZIONE DI ESTIRPARE IL MALE CON LA VIOLENZA di Vincenzo Sansonetti
    Mosca, 1° marzo 1953, interno del Cremlino, di tarda mattina. Due guardie sono davanti all'ufficio di Iosif Vissarionovič Dzugasvili, 74 anni, un bolscevico di umili origini nativo della Georgia, che si è dato il nome di battaglia di Stalin ("l'uomo d'acciaio"). Da oltre un trentennio è il segretario generale del Partito comunista, in sostanza l'indiscusso capo dello Stato sovietico nato dalla rivoluzione del 1917. "Degno continuatore dell'opera di Lenin" (come lui stesso si definiva), Stalin sta preparando l'ordine di deportazione nella Manciuria orientale, più precisamente nel territorio del Birobidian, di tutti gli ebrei sottoposti al suo potere; non solo quelli che vivono nell'Unione Sovietica (circa tre milioni), ma anche quelli degli Stati satelliti dell'Europa orientale (particolarmente numerosi in Romania, dove i nazisti ne avevano deportati solo una minima parte).
    Il motivo? Dirà ai suoi più stretti collaboratori, stupiti e increduli per questa scelta, dal momento che proprio gli ebrei occupavano molti posti di responsabilità nel partito: "Tutti gli ebrei russi non guardano forse alla Palestina, ormai? Chi di loro pensa più alla costruzione del comunismo? Non ci offende abbastanza questo? O forse dovremmo attendere addirittura che i nostri ebrei diventino fra noi la quinta colonna dello Stato di Israele?".
    Le sue parole non si discutono. "Io non dubito, né dubiterò", cantano in coro le guardie. E aggiungono: "Chi può ormai più dubitare che il comunismo è la dottrina che sanerà i mali del mondo?".
    Così comincia la tragedia Processo e morte di Stalin, opera meno nota ma fondamentale dello scrittore e saggista brianzolo Eugenio Corti (1921-2014), autore del long seller Il Cavallo rosso (più di trenta edizioni in quarant'anni). Racconta gli ultimi giorni di vita del dittatore sovietico, immaginando che sia stato vittima di una congiura ordita dai suoi ex "fedelissimi: Beria, Bulganin, Caganovic, Crusciov, Malencov, Micoian, Molotov e Voroscilov, che effettivamente si spartiranno il potere alla sua morte. Lo sottopongono a processo e con l'aiuto di medici compiacenti lo faranno morire procurandogli un'emorragia cerebrale, che fu effettivamente la causa del suo decesso. Ma Stalin si difende, affermando che i suoi seguaci si comporteranno in maniera spietata esattamente come lui, se vogliono davvero difendere il comunismo. E infatti il primo ad essere eliminato, pochi mesi dopo, sarà Beria, il feroce capo della polizia segreta.
    UN CAPOLAVORO (PESANTEMENTE STRONCATO DALLA STAMPA DI SINISTRA)
    La stesura della tragedia risale agli anni 1960-1961 e fu subito ritenuta un capolavoro da Mario Apollonio, il maggior critico e storico del teatro del dopoguerra. Venne rappresentata a Roma il 3 aprile 1962 al Teatro della Cometa - proprio su suggerimento e con il patrocinio di Apollonio - dalla Compagnia Stabile di Diego Fabbri, con la regia di Orazio Costa, ma "mutilata" e ridotta a semplice lettura scenica, quasi per ridurne e affievolirne la potenza drammatica ed evocativa, in quanto forte denuncia dei crimini staliniani (milioni e milioni di vittime, "nemici del popolo" ed "elementi ostili ed estranei alla società", come i kulaki, letteralmente fatti morire di fame). L'opera rimase in cartellone per quasi due settimane, con un buon successo di pubblico e giudizi favorevoli di almeno una parte della critica, ma fu pesantemente stroncata dalla stampa marxista o fiancheggiatrice del marxismo. Malgrado la...

    • 8 min

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