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Uno sguardo al mondo dell'economia senza dimenticare la dignità umana

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Uno sguardo al mondo dell'economia senza dimenticare la dignità umana

    Holyart, l'amazon degli articoli religiosi

    Holyart, l'amazon degli articoli religiosi

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7682

    HOLYART, L'AMAZON DEGLI ARTICOLI RELIGIOSI di Paola Belletti
    Arrivo in anticipo presso la sede di Holyart, una grande e bella struttura che si pianta solida nella campagna reggiana solcata dalla A1. È tutto nuovo, ordinato, vivace come l'approccio delle prime persone che vedo. Mi viene incontro Stefano Zanni, fondatore e Ceo di Pulchranet, di cui Holyart è il brand principale. È un'impresa di e-commerce che dal 2006 distribuisce in tutto il mondo articoli religiosi, con un fatturato di 15 milioni di euro: 160 i Paesi raggiunti dalle consegne, 67.000 gli articoli a catalogo, 70 i collaboratori. Lo seguo nella visita agli spazi, 10.000 metri quadrati tra magazzino semi-automatizzato (con capacità logistica fino a 2.000 pacchi a turno) e uffici, sale meeting, spazi comuni, È il più grande hub logistico di articoli religiosi d'Europa. Dall'autostrada il marchio "si legge" inequivocabilmente, quel little bit di inglese lo conosciamo tutti. In un corridoio a piano terra campeggiano i volti di quelli che Zanni definisce senza soggezione i titolari della serie A dell'economia digitale: Jobs, Musk, Zuckerberg, Bezos, etc; Holyart gioca nello stesso campionato, sebbene con dimensioni non paragonabili. «In questo settore le scorciatoie per evitarsi tanti problemi sono relativamente semplici da imboccare», mi dice pensando anche alla spregiudicatezza dei big, «ma io ho deciso di non prenderle».
    La decisione dipende dal fatto che, oltre ad essere inaccettabili, possono alla lunga danneggiare la crescita?
    «La mia decisone di fondo è fare quello che è giusto, del resto non mi devo e non mi voglio preoccupare».
    Algoritmi, Ai, logistica... cosa può restare del romantico fattore umano in tutto questo? E di cattolico? Le cose, una volta avviate, funzioneranno quasi da sole...
    «Uno dei fattori principali che ha costruito e consente il successo di Holyart - più 8% nel 2022, e una crescita che prosegue anche dopo la spinta eccezionale del periodo Covid - è il lavoro di descrizione e correzione continua delle schede articolo».
    Un esempio emblematico?
    «Ho scoperto che la maggioranza dei sacerdoti, dicendo Messa ogni giorno, sa quante particole contiene una pisside solo prendendola in mano, ma se nella scheda legge il diametro, non gli è utile. Ora, dopo averla testata, indichiamo la capienza, il dato che può portare alla decisione d'acquisto, e lo steso avviene per tutto».
    Un continuo lavoro di ascolto clienti, dunque...
    «All'inizio il dialogo è col fornitore, in seguito è soprattutto grazie ai preziosi feedback dei clienti che possiamo migliorare».
    Siamo al 1° piano.
    «Se giù ci sono i fuoriclasse da cui prendiamo la carica, qua invece si prende serenità».
    I volti che costellano questo ambiente in effetti sono un'altra faccenda: Giovanni Bosco, Pio da Petralcina, Piergiorgio Frassati... li ha fatti scegliere ai suoi collaboratori e, tra i ritratti di questi sponsor del successo umano in senso stretto - che cos'è la santità, se non riuscita della nostra vera vocazione? -, c'è un sacerdote non ancora canonizzato a cui deve molto del suo cammino spirituale, don Pietro Margini, fondatore della Familiaris Consortio.
    «Nel nostro customer care sono tutti madrelingua dell'area che ci interessa. In questo settore è fondamentale la dimensione culturale, che non si riduce alla competenza linguistica. Facciamo il 70% di vendite all'estero, i fornitori sono quasi tutti artigiani del made in Italy».
    Dopo la grande abbuffata del periodo Covid, c'è stata una contrazione nel mercato digitale, mentre voi avete continuato a crescere. Qual è la ragione principale che giustifica questa tendenza?
    «Ci siamo concentrati sui clienti già acquisiti. Abbiamo lanciato un servizio premium e fatto investimenti...

    • 12 min
    Come lo stato vuole appropriarsi dei tuoi beni

    Come lo stato vuole appropriarsi dei tuoi beni

    VIDEO: Proprietà privata sotto attacco ➜ https://www.youtube.com/watch?v=9a_OhyVUK4s

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7588

    COME LO STATO VUOLE APPROPRIARSI DEI TUOI BENI di Vanessa Gruosso
    Sabato 3 giugno si è svolta la 111° conferenza del Centro Culturale Amici del Timone di Staggia Senese dove abbiamo avuto il piacere di ospitare don Samuele Cecotti, Vice Presidente dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan.
    Il tema della serata è stato l'attacco che viene mosso alla proprietà privata, attraverso la programmata introduzione di una sharing economy, basata sul fatto che nessun cittadino possieda più nulla, ma utilizzi dei beni che verranno utilizzati da altri quando a lui non serviranno più o semplicemente mentre non li sta utilizzando. Il motto "Non possiederai nulla e sarai felice", che ben riassume la sharing economy è stato auspicato dal World Economic Forum, dall'Onu e dall'Unione Europea ed in queste sedi è stato profetizzato che tale obiettivo sarà raggiunto nel 2030.
    Si prefigura una lenta evaporazione della proprietà privata, non con espropri forzati imposti da regimi totalitari espliciti, ma semplicemente attraverso l'applicazione di leggi che sfavoriscono in tutti i modi il possedimento di beni come, ad esempio, una tassazione sempre più alta o vincoli sempre più assurdi da rispettare. Ad esempio si sta parlando di applicare standard ecologici sempre più elevati per le case, che non potranno essere vendute se non adeguate a tali standard.
    LA QUESTIONE FISCALE
    Don Samuele ha approfondito la questione fiscale spiegando che non è lecita moralmente una tassazione più alta del 10%, la quale sarebbe sufficiente se lo Stato si occupasse dei pochi ruoli che gli competono: giustizia, difesa dei confini e ordine pubblico, funzioni diplomatiche. Tutto il resto (la tassazione sugli stipendi dei cittadini, che è più del 50%, è di fatto una forma di esproprio) serve allo Stato per occuparsi di funzioni che non gli appartengono come, ad esempio, la scuola. L'educazione dei figli, infatti, spetta ai genitori, i quali devono occuparsene personalmente o scegliendo qualcuno di loro fiducia. La dottrina sociale della Chiesa spiega con il principio di sussidiarietà che se un ente inferiore è in grado di svolgere una funzione, l'ente superiore non deve intervenire. Quindi, se una famiglia è in grado di provvedere all'istruzione del figlio lo farà da sola; se non è in grado da sola potrebbe unirsi ad altre famiglie e ad esempio formare una scuola parentale. Ma le famiglie non dovrebbero pagare le tasse per l'istruzione pubblica, dato che non è una funzione dello Stato.
    Il diritto dello Stato di chiedere le tasse non è un diritto indiscriminato, bensì indiretto e mediato, ciò significa che non può chiedere tutto ciò che vuole, ma soltanto una collaborazione dei cittadini per le funzioni proprie dell'autorità pubblica che sono quelle vista sopra.
    Se pensiamo poi che le tasse vengono utilizzate anche per fini immorali e dannosi come l'aborto e il cambio sesso che viene finanziato con i nostri soldi, la questione diventa davvero inaccettabile.
    IL PERICOLO DELL'ECONOMIA INCLUSIVA
    Per comprendere la gravità di questa visione di economia inclusiva, ha poi spiegato don Cecotti, dobbiamo comprendere la legittimità oltre che l'importanza della proprietà privata. La proprietà privata si fonda su un diritto iscritto nella natura dell'uomo e l'azione dell'autorità umana dev'essere vincolata a quel diritto. A sua volta il diritto di proprietà privata si fonda sul diritto di giustizia che è "dare a ciascuno il suo". Leone XIII nella Rerum Novarum scriveva che i frutti del lavoro sono di chi ha lavorato. L'uomo infatti attraverso l'azione...

    • 7 min
    Brexit, l'Inghilterra non tornerà mai indietro

    Brexit, l'Inghilterra non tornerà mai indietro

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7316

    BREXIT, L'INGHILTERRA NON TORNERA' MAI INDIETRO di Giuseppe Brienza
    Il 23 giugno del 2016 quasi 47 milioni di cittadini britannici sono stati chiamati a rispondere al referendum che ha determinato il futuro del loro Paese, detto "Brexit", acronimo formato da British ed exit (uscita dall'Ue). L'affluenza è stata rilevante, il 72,21% di elettori, con un esito piuttosto chiaro: favorevoli all'uscita dall'Unione europea (Leave) il 51,89%, a rimanere nell'UE (Remain) il 48,11%. Nonostante il risultato del referendum non fosse vincolante, il Governo di Londra ha interpretato in maniera determinata l'espressione del voto popolare, anche perché la campagna elettorale è stata accompagnata da un bombardamento politico-mediatico nazionale e internazionale totalmente unilaterale e in favore del Remain.
    I cittadini del Regno Unito hanno dovuto attendere 4 anni e mezzo per ritornare nel pieno possesso della loro sovranità nazionale. Le complessità tecno-burocratiche imposte dai trattati e dalla Commissione europea hanno infatti dato luogo a quella che non pochi hanno definito una strategia dilatoria che, solo il 31 gennaio del 2020, ha consentito alla Gran Bretagna di lasciare formalmente l'Ue. Dico solo formalmente, perché a "10 Downing Street" si sono dovuti ulteriormente sottoporsi ad un periodo di transizione per il definitivo Leave durato ben 11 mesi, con il 31 dicembre del 2020 come data definitiva della "liberazione da Bruxelles".
    Nonostante siano trascorsi dunque soli due anni, da tempo ormai i grandi media nazionali, ripresi acriticamente anche da quelli internazionali, vanno ripetendo che secondo vari sondaggi la Brexit non sarebbe più «di moda». La crisi economica globale starebbe alimentando fra i cittadini britannici «segnali di ripensamento sul divorzio dall'Ue» o, almeno di «delusione su quanto finora conseguito».
    I SONDAGGI SARANNO PRESTO RIBALTATI
    Premesso che il Pil del Regno Unito è cresciuto di circa il 4% nel 2022 [...], è indubbio che quella che sta vivendo in questi mesi è una delle peggiori recessioni tra le economie del G7. L'economia britannica, infatti, secondo l'ultimo aggiornamento del World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale è destinata a contrarsi quest'anno dello 0,6 per cento, in un contesto di PIL globale previsto in rialzo al 2,9 per cento. Quello che si evita di rimarcare, però, è che grazie alle misure della manovra di un Paese che ha ripreso in mano le sue politiche economiche, dovrebbe fare presto ritorno alla crescita (dell'1,3%) nel 2024 e del 2,6 e 2,7% nei due anni successivi, secondo le previsioni recentemente annunciate dal cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt, in pratica l'equivalente del nostro ministro dell'Economia e delle finanze.
    In definitiva, quindi, i recenti sondaggi sbandierati sul ripensamento Brexit hanno il fiato corto. Nel senso che in questo particolare momento storico-politico, grazie anche alle campagne degli influencer e degli spin doctors dell'informazione filo-Ue, potrà anche essere che si sta facendo largo «l'idea di un possibile secondo referendum dopo quello vinto dai pro-leave nel 2016». Le cose, però, sono destinate ad invertirsi completamente nel giro di poco più di un anno. Oltretutto sono presentati come "sondaggi" consultazioni di dubbia scientificità statistica come, ad esempio, quello commissionato nel dicembre scorso dal quotidiano online The Independent, secondo il quale a evocare l'ipotesi di una ripetizione del voto sull'Ue sarebbero in questo momento il 65% degli intervistati, contro il 55% dell'anno scorso. Anche a prendere per buoni i risultati, andrebbe comunque correttamente evidenziato che sul ripetere il referendum saranno pure due britannici su tre, ma questa posizione è assai differenziata nei modi. Infatti, secondo i...

    • 10 min
    Flat tax e quoziente famililare: la Meloni riuscirà dove ha fallito Berlusconi?

    Flat tax e quoziente famililare: la Meloni riuscirà dove ha fallito Berlusconi?

    L’articolo continua su BastaBugie.it
    www.bastabugie.it/7212

    FLAT TAX E QUOZIENTE FAMILIARE: LA MELONI RIUSCIRA' DOVE HA FALLITO BERLUSCONI? di Stefano Magni
    Flat Tax e quoziente familiare sono le due novità promesse dalla riforma fiscale del governo Meloni. Le implicazioni, anche morali, sono importanti e si tratterebbe del primo cambio di paradigma nel sistema fiscale italiano.
    La flat tax non è una novità, era stata proposta da Berlusconi già nel suo primo governo (1994): un'aliquota unica del 33%. Poi è stata rilanciata da Armando Siri quando era alla testa del suo piccolo partito Pin e proposta dallo stesso Siri una volta che confluì nella Lega: un'unica aliquota del 15%. La flat tax è sempre stata considerata un'utopia, perché la Costituzione stessa prevede che le tasse debbano rispettare un criterio di progressività: chi guadagna di più deve pagare anche proporzionalmente più tasse, con aliquote più alte man mano che cresce il reddito o l'utile. La flat tax non rispetta questo principio, perché prevede un'aliquota unica per qualsiasi fascia di reddito: a prescindere da quel che guadagni paghi sempre il 15% di tasse. Il centrodestra l'ha comunque adottata di nuovo, sempre con l'aliquota unica del 15%. Questa volta si tradurrà in realtà?

    UN'IPOTESI FATTIBILE
    Il piano su cui lavora il governo Meloni è molto prudente. Prevede l'estensione della flat tax a categorie sempre più ampie di lavoratori, ma mai a tutti i contribuenti in un solo colpo. I primi a beneficiarne sono già i lavoratori autonomi con partita Iva a regime forfetario che fatturano meno di 65mila euro all'anno. La prima parte della riforma che verrà introdotta dal ministro Giorgetti dovrebbe prevedere (salvo cambiamenti) l'estensione della tassa piatta a tutte le partite Iva che fatturano fino a 85mila euro all'anno. Secondo altre anticipazioni, il limite potrebbe essere addirittura portato a 100mila euro. La seconda parte della riforma riguarda anche i lavoratori dipendenti, finora soggetti unicamente a imposta progressiva (Irpef). La tassa piatta, almeno inizialmente, verrebbe applicata all'incremento marginale del reddito. Quindi ad essere tassato al 15% non sarebbe il reddito da lavoro nel suo insieme, ma la differenza fra il reddito dichiarato quest'anno e il reddito più alto fra quelli dichiarati negli ultimi tre anni. In ogni caso, è un risparmio, per il contribuente, rispetto all'attuale tassazione progressiva.
    La flat tax ha subito una serie di critiche morali ed economiche negli ultimi trent'anni di dibattito politico in Italia. Prima di tutto è considerata una forma di tassazione che "favorisce i ricchi" e da un punto di vista economico si teme che riduca fortemente il gettito. Il secondo punto è indimostrabile, non essendo mai stata testata in Italia, anche se negli altri Paesi in cui esiste già da decenni, soprattutto nell'Est europeo, si è rivelata un volano della crescita. È invece bene soffermarsi sulla critica morale alla flat tax: veramente favorisce i ricchi? La tassa ad aliquota unica permette di guadagnare di più. Sottrarre il 15% da 20mila euro all'anno non è come sottrarre il 15% da 100mila. Ma da un punto di vista morale rispetta il principio della proporzionalità: ciascuno contribuisce secondo quel che guadagna.

    LA PROGRESSIVITÀ PUNISCE CHI PRODUCE REDDITO E OCCUPAZIONE
    Il principio opposto, quello della progressività, invece, implica un volere punitivo nei confronti di chi guadagna di più. Non solo deve contribuire di più in senso assoluto, ma anche in proporzione: se il mio reddito è di 15mila euro, pago il 23%, ma se supero i 50mila pago il 43% (quasi la metà).
    È quindi difficile sostenere che il secondo principio, quello della progressività, sia moralmente più equo rispetto a quello della proporzionalità. A meno che la ricchezza non venga considerata una colpa.
    Per quanto...

    • 6 min
    Pandemia, clima e gas: tre crisi create artificialmente per comandare i popoli

    Pandemia, clima e gas: tre crisi create artificialmente per comandare i popoli

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7133

    PANDEMIA, CLIMA E GAS: TRE CRISI CREATE ARTIFICIALMENTE PER COMANDARE I POPOLI di Eugenio Capozzi
    Un legame strettissimo di continuità logica e causale connette la gravissima crisi energetica nella quale oggi ci troviamo con le politiche di "transizione ecologica", le restrizioni/coercizioni "pandemiche", la guerra russo-ucraina.
    La massiccia e accelerata riduzione dei combustibili fossili - non compensata da fonti alternative e competitive - e la strozzatura drammatica della domanda generata da lockdown, chiusure, lasciapassare vaccinali, seguita da una improvvisa ripresa a partire dal 2021, hanno prodotto una sproporzione colossale, innaturale tra le materie prime disponibili e le esigenze dei paesi industrializzati.
    Le sanzioni adottate da G7 e Ue verso il gas russo, sebbene da esso quasi tutta l'Europa continuerà a essere dipendente ancora per anni, hanno dato il colpo di grazia a una situazione già difficilissima, mettendo bruscamente i paesi del Vecchio Continente davanti allo spettro del razionamento, della paralisi economica, di una recessione catastrofica.
    Ma cosa hanno in comune questi tre fenomeni - "decarbonizzazione", lockdown, sanzioni a Mosca? Il fatto di non essere calamità piovute dal cielo, eventi naturali o imposti da circostanze esterne, bensì al contrario decisioni consapevoli delle classi politiche, da loro assunte in piena responsabilità. Decisioni prese come se fossero ineluttabili, come se non ci fossero alternative. Ma non era e non è vero. Si tratta invece di scelte fondate su dogmi ideologici.
    Se i governi occidentali (più altri, che però nella pratica si comportano diversamente) hanno deliberato di tagliare drasticamente i combustibili fossili a rischio di lasciare i loro popoli senza energia, industria, collegamenti ciò è avvenuto esclusivamente perché quei governi hanno propugnato come una verità apodittica la tesi - indimostrata, indimostrabile, largamente confutata da teorie e fatti - di una "crisi climatica" catastrofica in corso, causata dalla civilizzazione umana, e più in particolare dalle emissioni di anidride carbonica.
    Se i governi occidentali e quelli di altre nazioni industrializzate e popolose (in particolare la Cina) hanno costretto per mesi e mesi le popolazioni a limitare ogni interazione sociale, hanno costretto alla chiusura gran parte degli esercizi commerciali e del terziario, hanno impedito la circolazione delle persone, hanno tagliato fuori dalla vita sociale chiunque non accettasse terapie di dubbia efficacia e sicurezza imposte dai poteri statali e dalle grandi multinazionali farmaceutiche ciò è avvenuto esclusivamente perché essi hanno sposato ciecamente la tesi secondo cui un virus della famiglia influenzale rappresentasse una minaccia pari a quella delle pestilenze dei secoli scorsi, e potesse essere bloccato soltanto attraverso la clausura, l'isolamento, il "congelamento" della vita collettiva, la coazione all'inoculazione più o meno universale con vaccini mai usati prima nella storia.

    LE INUTILI (ANZI DANNOSE PER NOI) SANZIONI ALLA RUSSIA
    Se, infine, i governi dell'Ue hanno deciso, su pressione degli Stati Uniti, di adottare severissime sanzioni economiche verso la Russia e di ridurre bruscamente da un giorno all'altro i loro acquisti di gas russo, al quale per decenni si erano sempre più affidati, ciò è avvenuto unicamente perché essi hanno fatto propria, senza quasi fiatare, la linea dell'amministrazione Biden e dei vertici Nato secondo cui la Russia putiniana è il pericolo pubblico numero uno per le democrazie occidentali, la rottura dei rapporti commerciali con esso è uno strumento necessario per fermarne le mire imperialistiche, e tale rottura in breve tempo avrebbe mandato all'aria la sua economia.
    Naturalmente, come molti osservatori di economia avevano...

    • 17 min
    La guerra in Ucraina e il rischio carestia (anche per noi)

    La guerra in Ucraina e il rischio carestia (anche per noi)

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7032

    LA GUERRA IN UCRAINA E IL RISCHIO CARESTIA (ANCHE PER NOI) di Giulia Tanel
    La guerra in Ucraina, per quanto ad oggi veda i combattimenti realizzarsi in un fazzoletto di terra piuttosto circoscritto, ha tuttavia ripercussioni altre che interessano il mondo nella sua globalità. E questo non solo, e non tanto, a livello di parole, di dialoghi e azioni più o meno diplomatiche, o di venti di paura, quanto a un livello molto concreto: basti guardare al fronte umanitario, o al versante economico e industriale, in primis con tutte le questioni legate alle materie prime e con l'inflazione che galoppa... ma anche alla sempre più concreta possibilità che si vada a breve profilando una vera e propria emergenza alimentare globale, che fa seguito al già consistente aumento del costo registrato dei prodotti alimentari, stimato a circa un +30%, secondo quanto affermato da António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza su crisi alimentare e conflitti. Guterres che ha anche dichiarato: «Conflitto significa fame»... e non solo per i Paesi direttamente coinvolti.

    IL PROBLEMA DEL GRANO
    In particolare, il problema principale si concentra sul grano, oltre che sui semi di girasole, sull'orzo e sulla colza. Infatti, l'Ucraina - e con lei la Russia, andando tra i due Paesi a coprire un quarto della produzione globale - è tra le "riserve di grano" più importanti, ma ora la sua catena di produzione e l'export sono fortemente compromessi: di qui, sul lungo periodo, la carenza. E, dato che piove sempre sul bagnato, proprio quest'anno la produzione di grano che normalmente avviene in altri Paesi subirà una contrazione, soprattutto in relazione al clima: tanto che l'India - il secondo produttore di grano al mondo - ha bloccato le esportazioni, a tutela del proprio mercato.
    E così lo spettro di una crisi globale si fa sempre più concreto. Tanto che, stando solo a questi ultimi giorni, non sono stati pochi gli articoli pubblicati sui media dedicati al tema, spesso in relazione a dichiarazioni pronunciate dai massimi vertici in materia. Il tutto, ovviamente, con titoli un po' urlati ma, in questo caso, forse a ragione; stando solo al panorama italiano troviamo: Ucraina, Kiev: "Rischio più grande carestia della storia", scrive AdnKronos; La via del grano è interrotta: chi nel mondo è a rischio fame, fa eco il Corriere; Crisi alimentare globale nel 2022, cresce l'allarme. Perché riguarda anche l'Italia, scrive il Quotidiano nazionale; e via di questo passo.

    ESPORTAZIONI BLOCCATE
    Che il problema sia concreto, lo dicono i numeri. Stando alle dichiarazioni del ministro dell'Agricoltura ucraino Mykola Solskiy, prima della guerra il suo Paese esportava 5 milioni di tonnellate di grano al mese, utili per sfamare 400 milioni di persone nel mondo: ad aprile invece l'esportazione totale è stata un quinto, con solo un milione di prodotto spedito all'estero. «Almeno 44 milioni di persone in 38 paesi sono a un passo dalla carestia», ha affermato ancora il già citato Guterres, mentre altre fonti parlano di «allarme carestia in 53 Paesi». In particolare, a rischio sono i Paesi più poveri, già in difficoltà, soggetti coinvolti nel Programma alimentare mondiale (Pam), che vedeva l'Ucraina fornire il 50% del grano.
    D'altronde il 98% del grano esportato passa per il porto di Odessa, dove attualmente sono stoccati 20 milioni di tonnellate di cereali, e l'ipotesi di un'esportazione ucraina via terra, in particolare via rotaia, è attualmente impraticabile. Nel frattempo, riporta FanPage, il G7 sta provando a fare in modo «di far viaggiare i beni su 10.000 camion dall'Ucraina ai porti rumeni e baltici, per poi far partire da lì le navi per tutto il mondo», ma l'effettiva fattibilità non è scontata. Nel contempo, il dialogo tra...

    • 6 min

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