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Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)

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Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)

    Omelie Pasqua di risurrezione - Anno B

    Omelie Pasqua di risurrezione - Anno B

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7727

    OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO B
    Veglia Pasquale e Messa del giorno
    di Giacomo Biffi
    1) VEGLIA PASQUALE
    Il trionfo di Cristo sulla malvagità umana
    Questa è la notte dell'evento più determinante dell'intera storia umana.
    È la notte del "passaggio" del nostro Capo - il Figlio di Dio fatto uomo - dalla morte alla vita, dall'umiliazione alla vittoria, dalla tomba al Regno. È la notte del rinnovamento dell'universo - decaduto e contaminato fin dall'origine - che si riconcilia con il suo Creatore e riceve le premesse della gloria futura.
    Ed è altresì la notte della nostra personale rinascita dall'acqua e dallo Spirito Santo: noi tutti riviviamo questa nostra fortuna con animo grato, attraverso le letture e le preghiere di questa veglia, e più ancora attraverso la commossa attenzione che presteremo all'esperienza battesimale di alcuni nostri fratelli.
    UN ALTO GRIDO
    Gesù sulla croce davanti a tutti si era congedato dalla vita terrena con un "alto grido" (cf Mt 27,50); voce di tutta l'angoscia umana ed espressione del veemente appello dei figli di Adamo a Dio Padre che sembra averli abbandonati.
    Risorge invece nell'oscurità e nel silenzio: non ci sono testimoni dell'ora in cui egli "mise il potente anèlito della seconda vita".
    Ma la sorprendente notizia che il profeta di Nazaret si è ridestato, trapela, si diffonde e a poco a poco si impone.
    Dapprima c'è lo sconcerto e l'ansia strana davanti al sepolcro vuoto, coi lini funebri ripiegati con ordine. Poi l'inquietudine diventa bisbiglio di donne che, "piene di timore e di spavento" (cf Mc 16,8) raccontano di aver ricevuto il giubilante messaggio di un angelo. Infine è Gesù stesso vivo e splendente - con la verità e l'integrità del suo essere, autenticato dalle cicatrici delle sue piaghe - a mostrarsi e a parlare a Maria di Magdala, a Pietro, a Giacomo, ai due viandanti di Emmaus, agli apostoli e a più di cinquecento discepoli.
    "Il Signore è risorto"; l'annuncio di quei giorni non si è più spento: si è diffuso di cuore in cuore, di generazione in generazione, ha attraversato i secoli, ha varcato gli oceani. E noi questa notte l'abbiamo ancora una volta proclamato con la gioiosa consapevolezza che questa risurrezione è anche principio della nostra, che il trionfo di Cristo sulla morte è primizia e causa del nostro trionfo, che il suo risveglio a un'esistenza trasfigurata e imperitura è premessa della nostra interiore giustificazione e del nostro possesso dell'eredità di Dio.
    LA VERA LIBERTA'
    Un giorno Gesù aveva chiesto agli incauti figli di Zebedeo, che speravano di fare con lui una bella carriera nel mondo: "Potete bere il calice che io bevo e ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?" (Mc 10,38), rivelando così che il suo più vero battesimo sarebbe stato proprio la sua vicenda pasquale di passione, di morte e di risurrezione.
    La vita cristiana, che comincia dal lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo (cf Tt 3,5), è dunque sostanzialmente un inserimento nel "battesimo" di Cristo, cioè nella sua Pasqua.
    Il "Primogenito dei risorti" ha voluto che fossimo tutti coinvolti in quel suo felice "passaggio". Egli, ormai libero da ogni miseria e da ogni condizionamento terrestre, ha disposto che per mezzo del battesimo noi potessimo camminare nel mondo godendo di una libertà che è riverbero della sua:
    a) libertà dal buio dell'errore e dalle nebbie del dubbio,
    b) libertà dalla paura di una fine annientatrice,
    c) libertà dalle colpe commesse,
    d) libertà dalla nostra debolezza congenita di fronte alle forze del male.
    San Paolo ce lo ha insegnato poco fa con molta chiarezza: "Per mezzo del battesimo siamo sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu...

    • 13 min
    Omelia per il Giovedì Santo - Anno B

    Omelia per il Giovedì Santo - Anno B

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7728

    OMELIA PER IL GIOVEDI SANTO di Giacomo Biffi
    Con questa intensa celebrazione "nella cena del Signore" ha inizio il Triduo pasquale, cuore di tutto l'anno cristiano. In esso rievochiamo efficacemente - ed è un unico evento salvifico - l'immolazione cruenta di Cristo e la vittoria definitiva del suo splendente ritorno alla vita.
    Il Triduo trova il suo principio - e quasi il suo slancio - appunto stasera, in una commossa "festa dell'amore che si dona"; arriva poi al suo culmine nella Veglia pasquale, che canta i prodigi della rinascita dell'uomo e del rinnovamento dell'universo; si conclude infine all'ora vespertina di domenica prossima con la contemplazione ammirata e affettuosa del Risorto, il quale nella concretezza dell'esperienza ecclesiale resta presente e attivo tra i suoi come causa e modello dell'esistenza redenta.
    Stasera siamo dunque convocati a ricordare e a riattualizzare quel "convito nuziale", nel quale l'unigenito Figlio di Dio, consegnandosi alla morte, volle affidare alla sua Chiesa, perché lo custodisca e ne viva nei secoli, il suo "nuovo ed eterno sacrificio" (come ci ha detto in apertura l'odierna liturgia).
    Mai come in quest'ora possiamo chiaramente comprendere con quale animo si debba partecipare alle nostre abituali eucaristie: non certo come un obbligo che ci è imposto dalle consuetudini religiose e sociali, ma soprattutto come un'espressione di gratitudine. E' la calda inestinguibile gratitudine verso colui che si è congedato visibilmente da noi - da noi che siamo stati gratificati della sua amicizia - mettendo, per così dire, nelle nostre mani la ricchezza riscattatrice della sua morte in croce e lo Spirito santificatore che trabocca e viene a noi dalla sua umanità risorta e trasfigurata.
    SIGNORE DA CHI ANDREMO?
    Il sacramento del "Corpo dato" e del "Sangue versato" nella sua essenziale verità è questo: è un "dono" sovrumano che - elargito nel contesto di intimità e di soffusa mestizia dell'ultima cena - ha poi impreziosito ogni angolo della terra e ogni anno della vicenda umana. Ed è il dono più esuberante e più sorprendente, che ci è venuto della fantasiosa misericordia del Signore.
    Ma bisogna fare attenzione a cogliere e a custodire la divina logica dell'ordine sacramentale. Alla rigenerazione battesimale sono chiamate tutte le creature: a tutti (quale che sia la loro posizione religiosa e culturale di partenza) va annunciato il Vangelo (cfr. Mt 28,19), perché tutti arrivino a conoscere e a riconoscere il Signore Gesù, unico necessario Salvatore, e a capire la soprannaturale bellezza della Chiesa sua Sposa. Invece il dono dell'eucaristia, nel disegno del Padre, è riservato ai credenti.
    Questo si dice non per intimidire o escludere dalle nostre messe qualcuno; piuttosto per ricordare a tutti noi, che ci avviciniamo abitualmente al "mistero della fede", l'intrinseca necessità di ravvivare ogni volta la nostra interiore adesione al Signore Gesù, alla sua verità e alla sua grazia.
    Il giusto atteggiamento di chi si reca all'assemblea eucaristica è quello che troviamo espresso dalle parole umili e ardenti rivolte a Gesù da san Pietro in un'ora difficile: "Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6,68-69).
    QUESTO È IL MIO CORPO, QUESTO È IL MIO SANGUE
    Nel cenacolo Gesù dice sul pane: "Questo è il mio corpo"; cioè, "questa è la mia realtà, questo sono io". Poi dice sul vino: "Questo è il mio sangue"; cioè: "Questa è la mia vita". Vale a dire, in sintesi: "Questo è il mio essere vivente, ed è dato per voi". Tutta la sua passione, liberamente offerta come sacrificio di redenzione (sulla quale mediteremo domani), è l'inveramento del suo gesto eucaristico.
    Egli si è immolato e si è...

    • 5 min
    Omelia VI Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 40-45)

    Omelia VI Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 40-45)

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7674

    OMELIA VI DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1,40-45) di Giacomo Biffi

    Domandiamo alla parola di Dio, che ci è stata offerta nella prima parte della nostra assemblea, il nutrimento sostanzioso del nostro spirito, che, se non è alimentato, fatalmente deperisce, si mondanizza e a poco a poco diventa impermeabile alla luce che viene dall'alto. Possiamo raccogliere due serie di insegnamenti. La prima ci è offerta dalla seconda lettura, nella quale san Paolo ci dà alcune raccomandazioni molto pratiche e molto concrete. La seconda serie può essere ricavata dalla prima e dalla terza lettura, ambedue tematizzate sul male terribile della lebbra.
    LA RETTA INTENZIONE DA' VALORE A OGNI NOSTRO ATTO
    Come avete sentito, l'apostolo non ci dice di non mangiare e di non bere; e neppure di disturbare, con zelo indiscreto e sviato, quelli che mangiano e bevono; ma di mangiare, bere, fare ogni cosa per la gloria di Dio. Dove si vede che sono sì importanti le cose che si fanno; ma è ancora più importante la consapevolezza e la rettitudine del motivo per cui si agisce. È importante il "che cosa", ma è più importante il "perché". E il "perché" vero, valido, prezioso, non deve essere orizzontale e terrestre, ma verticale e trascendente: dobbiamo fare tutto per la "gloria di Dio", cioè cercando di conformare pienamente le nostre azioni alla sua volontà, in modo che in noi e nella nostra condotta risplenda davanti a tutti il suo disegno d'amore.
    ANNUNCIARE IL VANGELO SENZA CEDIMENTI
    San Paolo dice anche di fare come lui, che cercava di "piacere a tutti", Giudei e Greci. E la cosa è un po' comica, perché se c'è stato uno che ha urtato tutti - e le ha prese da tutti, Giudei e Greci - è proprio stato lui. Del resto, lui stesso in un'altra parte delle sue lettere afferma: Se volessi piacere agli uomini, non sarei un vero servitore di Cristo.
    Ma non c'è contraddizione: noi dobbiamo sforzarci di vivere da gentiluomini, che si sforzano di non recare mai pena a nessuno col loro comportamento, che perciò si preoccupano di evitare ogni asprezza di modi, ogni disprezzo delle persone, ogni grossolanità di linguaggio e di tratto. Ma dobbiamo anche annunciare tutto il Vangelo di Cristo, senza compromessi, senza cedimenti, senza genuflessioni ai miti del nostro tempo e alla prepotenza delle culture dominanti. È indubbio che, così facendo, nonostante il nostro impegno a essere dei gentiluomini, a molti non riusciremo simpatici. Però saremo discepoli veri del Signore Gesù che ha detto: Guai a voi, quando tutti gli uomini parleranno bene di voi.
    LE "CRUDELTA' NECESSARIE" DI CUI DOBBIAMO LIBEARCI
    La lebbra è nella concezione ebraica la "primogenita della morte" (come si esprime il Libro di Giobbe, 18,3). I colpiti da questa malattia venivano accuratamente segregati. Il lebbroso - abbiamo ascoltato - se ne resterà solo, abiterà fuori dell'accampamento. E così alla sofferenza fisica si aggiungeva la disperazione dell'isolamento. Era una "crudeltà necessaria", con la quale la società dei sani cercava di difendersi e di preservarsi. E in quel mondo la cosa è anche spiegabile. Ma la dottrina delle "crudeltà necessarie" sta imperversando anche nel nostro tempo, dove non si giustifica affatto.
    Per esempio, chi non esita a uccidere per costruire un mondo che secondo luisarà migliore, non fa che seguire questa dottrina. In questo secolo è stata applicata più volte contro milioni di persone, vittime di ideologie di colore apparentemente diverso, ma in realtà tutte accomunate dalla sciagurata persuasione che si possono uccidere le persone per far trionfare un'idea. Ma anche nella nostra vita di ogni giorno ci si imbatte spesso in questa dottrina. Basti pensare alla determinazione e alla durezza con cui vengono estromessi gli anziani dalla...

    • 7 min
    Omelia V Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 29-39)

    Omelia V Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 29-39)

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7660

    OMELIA V DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1, 29-39) di Giacomo Biffi
    LA "GIORNATA TIPO" DEL SIGNORE GESU' MODELLO PER IL CRISTIANO
    Il fascino di questa pagina evangelica sta principalmente nel fatto che essa ci fa intravvedere, con molta ricchezza di particolari, una intera giornata del Signore Gesù. È una giornata di sabato, ma riesce a darci l'idea di come egli abitualmente viveva, come utilizzava il suo tempo, a quali occupazioni dava la preferenza; e quindi in che modo egli ha creduto di poter lavorare per la salvezza degli uomini.
    Per capire con esattezza la lezione che ne deriva, dobbiamo ricordare che anche la società del suo tempo aveva grandi mali esteriori e grandi problemi: problemi di ingiustizia sociale (c'erano non solo i poveri e i miserabili, ma perfino gli schiavi); problemi di sopraffazione politica (la terra d'Israele era dominata dagli stranieri); problemi di comportamento di fronte alla vita nazionale (bisognava o no partecipare alla lotta partigiana e alla guerriglia condotta dagli zeloti?). Su questo sfondo sarà più facile cogliere la natura delle scelte e delle preferenze di Gesù.
    Tutta la mattinata è spesa nella sinagoga a dare l'annuncio, attraverso alla lettura e alla interpretazione della Sacra Scrittura, dell'imminenza del Regno di Dio e della necessità della conversione. Il Signore ritiene che la salvezza degli uomini cominci da qui. Ritiene che di gente che crede di dover odiare in nome della solidarietà di nazione o di classe o di fazione politica; di gente che si fa prepotente in nome della giustizia; di gente che arriva perfino a uccidere per un astratto amore dell'umanità o per l'utopia della futura società perfetta, ce ne è sempre qualcuna di troppo. Gli uomini hanno invece una estrema scarsità della verità, cioè della parola che davvero nutre, illumina, salva.
    E per preservare la sua totale disponibilità all'annuncio evangelico - insidiata dalle richieste sempre più pressanti di interventi contro la miseria e il dolore - non si ferma a lungo nello stesso posto: Andiamocene altrove... perché io predichi anche là: per questo sono venuto.
    Finita la fatica della predicazione, Gesù - che non si presenta mai nelle vesti antipatiche del superuomo, fatto di ferro e insensibile alla stanchezza - prende un po' di riposo nella casa ospitale di Simone e di Andrea, dimostrando di accettare e di apprezzare la calda intimità di una famiglia. Ma poiché non c'è casa dove non ci sia qualche pena, anche lì trova una sofferenza e una preoccupazione: qualcuno lì è seriamente malato. Il Salvatore non si sottrae alle suppliche che gli vengono dai legami dell'amicizia, e guarisce la suocera di Simone.
    Appena arriva il tramonto quella povera casa subisce una specie di assedio. Calato il sole, finiva il riposo del sabato, e tutti potevano trasportare i loro infermi senza violare la legge. E tutta la misera e tormentata esistenza umana - cui sono toccati in sorte "mesi di illusione e notti di dolore" - sembra chiedere aiuto al Figlio di Dio.
    E Gesù, già stanco della giornata intensa, non si nega, anzi si prodiga per lenire ogni dolore. Non rifiuta la misericordia dei casi singoli con la ragione che bisogna piuttosto trovare la soluzione radicale, cambiando le strutture della società.
    Finché scende la sera e tutto ritorna in pace.
    In una giornata così assillata da non lasciar respiro, mancava ancora qualcosa. Mancava il tempo della preghiera silenziosa e solitaria. Gesù trova anche questo tempo, all'alba, quando ancora era buio.
    Avrebbe potuto dire: "Tutta la mia giornata è una preghiera". Oppure: "La vera preghiera è fare del bene agli altri". Oppure: "Io prego solo quando mi sento". Oppure: "La preghiera consiste nel far comunità con gli altri e avere una forte esperienza di...

    • 7 min
    Omelia IV Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 21-28)

    Omelia IV Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 21-28)

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7659

    OMELIA IV DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1, 21-28) di Giacomo Biffi
    L'episodio descrittoci dalla lettura evangelica di oggi si colloca all'inizio della vita pubblica di Gesù. Dopo essere stato battezzato nel Giordano da Giovanni, Gesù ritorna al nord, nella sua terra di Galilea, e qui, sulle rive del mare, chiama a sé i primi quattro apostoli. Sono due coppie di fratelli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, tutti e quattro pescatori.
    Poi va a Cafarnao, dove Simone, uno dei quattro, aveva la sua famiglia, e dove per un po' di tempo il giovane profeta di Nazaret si stabilisce.
    Proprio nella sinagoga di Cafarnao comincia il suo insegnamento, come abbiamo oggi ascoltato.
    Contrariamente a quanto spesso si crede, Gesù non ha cominciato predicando per le strade e per le piazze. All'inizio egli si inserisce piuttosto nelle normali abitudini religiose ebraiche: si reca come tutti all'adunanza del sabato e, come erano soliti fare i rabbini, anche lui nella sinagoga legge e commenta qualche passo della Bibbia.
    LE PAROLE DI CRISTO DIVENTANO FATTI
    Nel modo con cui Gesù dà principio alla sua missione non c'era niente di inconsueto e di straordinario, non c'era niente che potesse suscitare scalpore o meraviglia tra gli abitanti di Cafarnao.
    Ma se l'involucro esteriore è quello di sempre, il contenuto dell'intervento di Cristo nell'assemblea liturgica del suo popolo appare subito una novità senza precedenti. L'evangelista sottolinea lo stupore che a poco a poco prende tutti i presenti, appena il giovane maestro comincia a parlare.
    Qual era la "novità", che rendeva Gesù diverso da tutti gli altri abituati a prendere la parola nella sinagoga?
    Il racconto la esprime con la parola "autorità": Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi (Mc 1,22). E più avanti: Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità" (Mc 1,27).
    "Autorità". In realtà, il testo originale greco adopera un termine che significa "potere" o "potenza". Gesù colpisce perché non si presenta come uno che ricerca l'interpretazione più plausibile, che chiarisce i concetti, che dialoga con gli altri studiosi della legge, che ascolta ed esamina le varie ipotesi, ma come uno che ha il "potere". Ha il "potere" sulle parole e sulle idee, e stabilisce lui che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è giusto e che cosa è sbagliato; e ha addirittura il "potere" sull'eterno nemico di Dio: il demonio: Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono! (Mc 1,27). Egli non solo dice, ma anche decide; non solo parla, ma anche opera; non solo spiega la parola di Dio, ma combatte e vince il male dell'uomo, combatte e vince il grande e oscuro insidiatore del nostro bene e della nostra salvezza.
    LA PAROLA DI DIO, FORZA TRASFORMANTE
    Dall'atteggiamento del Signore verso la Sacra Scrittura possiamo raccogliere una prima preziosa indicazione. Senza dubbio il Libro di Dio va letto con umile attenzione, va studiato nei suoi punti oscuri, va analizzato in tutte le su implicazioni. Questo è giusto e opportuno; purché però non si dimentichi che questa è solo la premessa perché dal Libro di Dio scaturisca l'energia rinnovatrice della vita, e la lettura della pagina sacra sia immediatamente posta al servizio della nuova realtà, che ci è stata data dal sacrificio di Cristo e che noi dobbiamo far arrivare in tutti gli angoli dell'esistenza.
    Dunque la "parola" non basta e non serve, se non diventa anche grazia, forza, capacità trasformante. Dobbiamo stare attenti a non fare della nostra lettura della Bibbia un ritorno alla lettura rabbinica, dimenticando che noi ormai viviamo nell'epoca della "parola di Dio"...

    • 9 min
    Omelia III Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 14-20)

    Omelia III Domenica T. Ord. - Anno B (Mc 1, 14-20)

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7658

    OMELIA III DOMENICA T. ORD. - ANNO B (Mc 1,14-20) di Giacomo Biffi
    La pagina evangelica che è stata letta ci ha offerto soltanto pochi versetti del primo capitolo della narrazione di Marco. Ma in poche righe ci è stato richiamato quasi tutto ciò che è essenziale al nostro impegno di figli di Dio e di appartenenti al gregge del Signore.
    Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio (Mc 1,14). Tutto nell'evento cristiano comincia con un "annuncio", anzi con un "buon annuncio": un "evangelo".
    Il vangelo di Dio. È un annuncio che viene dall'alto. Per questo è "buono": dagli uomini è difficile aspettarsi delle notizie che davvero ci possano rallegrare. Notizie "dal basso" sono, per esempio, quelle che ascoltiamo dai telegiornali; e quasi mai sono notizie che ci incoraggino nel nostro mestiere di uomini e ci accrescano la voglia di vivere.
    Come si vede, la vita nuova, che siamo chiamati a vivere nella Chiesa, non prende inizio da un'analisi sociologica, né da un sondaggio di opinioni, né da una rassegna dei problemi e dei guai umani. Prende inizio dall'"evangelo di Dio", vale a dire, dalla stupefacente novità che c'è sopra di noi, ma a noi vicinissimo e anzi intimo, un Dio che si prende cura di noi e ci vuole bene. C'è sopra di noi - di là da quella che abbiamo sentito san Paolo chiamare la "scena di questo mondo" - un oceano di amore paterno, che è pronto a riversare sulla nostra povertà, sui nostri smarrimenti, sui nostri errori l'onda inesauribile della sua misericordia. Questo è l'annuncio, questo è il "vangelo di Dio".
    Il "vangelo di Dio", cioè la riscoperta del Padre, fonte decisiva di ogni speranza, è, dunque, il primo messaggio che ci viene trasmesso da Gesù all'inizio della sua vita pubblica. Egli è venuto tra noi appunto per rivelarci il Padre, per metterci a parte di questa fortuna inattesa che è ormai alla nostra portata. Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18).
    Diceva:... Il regno di Dio è vicino (cf. Mc 1,15). Questa realtà salvifica, che ci viene annunziata, è un "regno": un "regno" che si è fatto vicino. Un "regno", che vuol dire: una potenza capace di rovesciare le sorti assurde e tragiche della stirpe di Adamo; una energia infusa nei cuori che si risolvono ad aprirsi, in modo che il male non possa più infiltrarsi e spadroneggiare dentro di noi; una vittoria della verità e della giustizia sulla menzogna e sulla iniquità: vittoria che è già in atto e aspetta solo di essere pienamente manifestata.
    Tutto ciò è il "vangelo", e noi siamo invitati ad accoglierlo nella fede: Credete, è la prima proposta vitale del Signore Gesù; Credete al vangelo (Mc 1,15).
    Senza questa nostra personale certezza che il regno di Dio è vicino (ibid.), noi restiamo ancora oppressi dal Principe di questo mondo (cf. Gv 12,31) e suoi prigionieri. Se invece cominciamo a "credere" sul serio, allora si delinea in noi la vittoria di Dio: Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede (1 Gv 5,4).
    L'URGENZA DI CONVERTIRSI
    Ma credere qui non vuol dire soltanto accettare intellettualisticamente come vera la grande notizia che ci è stata comunicata. Vuol dire anche questo; ma vuol dire soprattutto dischiuderci con ogni fibra del nostro essere alla luce e al fuoco dell'amore di Dio.
    Niente allora in noi, nei nostri pensieri, nei nostri affetti, nella nostra condotta può restare più come prima; niente deve rimanere nella vecchiezza, nella contaminazione, nella fragilità dell'uomo irredento. Tutto in questa fede deve essere trasfigurato. Perciò Gesù dice: Convertitevi e credete al vangelo (Mc 1,15). Convertitevi, cioè cambiate totalmente; o, meglio, lasciatevi cambiare totalmente, così che non ci sia più niente in voi...

    • 8 min

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