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La storia che ci hanno insegnato a scuola è sbagliata; proviamo a guardare alla realtà dei fatti senza pregiudizi e senza paraocchi

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La storia che ci hanno insegnato a scuola è sbagliata; proviamo a guardare alla realtà dei fatti senza pregiudizi e senza paraocchi

    Marta Sordi, addio alla grande storica

    Marta Sordi, addio alla grande storica

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=817

    MARTA SORDI, ADDIO ALLA GRANDE STORICA di Alfredo Valvo
    Marta Sordi lascia un vuoto incolmabile nel campo degli studi di storia antica, che ha dominato per decenni, e fra gli amici – allievi e colleghi – che l'hanno conosciuta e stimata. Nata a Livorno nel 1925 e laureatasi in Lettere all'Università degli studi di Milano con Alfredo Passerini, Marta Sordi intraprese subito dopo la laurea la sua attività di ricerca. Presso l'Istituto italiano per la Storia antica, a Roma, per un quinquennio fu allieva di Silvio Accame, maestro e amico. Dal 1962 all'Università di Messina Marta Sordi formò una prima Scuola, attiva ancor oggi.
    Alcuni anni più tardi, nel 1967, passò a Bologna, dove ha lasciato una traccia incancellabile, e infine approdò due anni dopo all'Università Cattolica di Milano, dove insegnò Storia greca e Storia romana fino alla fine della sua lunga carriera accademica, nel 2001. Il numero delle sue pubblicazioni è difficilmente calcolabile. Non vi è problema aperto nel campo degli studi di storia antica nel quale Marta Sordi non sia autorevolmente intervenuta lasciando comunque, sempre, un'impronta di originalità e fornendo risposte almeno degne di considerazione, il più delle volte risolutive. Dominava senza difficoltà tutta la storia antica – il mondo etrusco, greco e romano, il cristianesimo dei primi secoli – sostenuta da una intelligenza vivacissima, una memoria prodigiosa e una capacità di cogliere sempre il nocciolo delle questioni.
    Tra le sue opere si ricordano La Lega tessala fino ad Alessandro Magno (1958), I rapporti romano-ceriti e l'origine della civitas sine suffragio (1960), Il cristianesimo e Roma (1965), Roma e i Sanniti nel IV secolo a.C. (1969), Il mito troiano e l'eredità etrusca di Roma (1989), ; La 'dynasteia' in Occidente: studi su Dionigi I (1992), Prospettive di storia etrusca (1995), I cristiani e l'Impero romano (2004). Nel 2002 sono usciti due volumi che raccolgono i suoi scritti minori: Scritti di Storia greca e Scritti di Storia romana, ai quali sono da aggiungere Impero romano e cristianesimo. Scritti scelti (2006), e Sant'Ambrogio e la tradizione di Roma (Roma 2008). Ma molti altri sono i contributi pubblicati successivamente. Resta indicativa della sua originalità e della sua personalità una delle sue principali caratteristiche nell'affronto di ogni problema storico, che è stata anche una lezione per le generazioni di studenti che l'hanno avuta per maestra: l'interpretazione delle fonti, siano esse letterarie epigrafiche o di qualsiasi altra natura, non può essere condizionata da pregiudizi, di qualsiasi genere. La conoscenza vastissima, per non dire totale, dei documenti utili per la ricostruzione storica e una capacità di sintesi talvolta prossima alla divinazione, oltre naturalmente all'intelligenza storica, consentivano alla Sordi di dominare il campo del dibattito con assoluta libertà, cioè in piena indipendenza dalle tante opinioni, apparentemente consolidate, che costituiscono la communis opinio. (...)
    Curò e diresse la collana dei «Contributi dell'Istituto di storia antica», uscita con cadenza annuale dal 1972 in poi presso Vita e pensiero; negli ultimi dieci anni aveva coordinato con energia e rigore i convegni annuali della fondazione Canussio di Cividale del Friuli, della quale ha presieduto il comitato scientifico. Marta Sordi ricevette prestigiosi riconoscimenti della sua attività, tra i quali la Medaille de la Ville de Paris, nel 1997, la Medaglia d'oro per i Benemeriti della cultura, nel 1999, e la Rosa Camuna per la Regione Lombardia, nel 2002. L'entità e l'importanza dell'opera scientifica di Marta Sordi si commentano da sole.
    Chi ne ha condiviso un lungo tratto della vita ha ricevuto da lei una lezione di fermezza e di coraggio, di ideali e principi affermati...

    • 5 min
    La Pasqua delle tre enclicliche di PIo XI contro nazismo, comunismo e massoneria

    La Pasqua delle tre enclicliche di PIo XI contro nazismo, comunismo e massoneria

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7756

    LA PASQUA DELLE TRE ENCICLICHE DI PIO XI CONTRO NAZISMO, COMUNISMO E MASSONERIA di Roberto de Mattei
    Il titolo "La Pasqua delle tre encicliche" vuole ricordare tre importanti documenti emanati da papa Pio XI a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro nel marzo del 1937. Tre Encicliche che si rivolgevano a tutti i cattolici del mondo e che mantengono ancora oggi la loro attualità.
    Pio XI, ottantenne e convalescente dopo una lunga malattia che lo aveva immobilizzato per mesi, affrontava tre gravi sfide poste alla Chiesa dalle ideologie anticristiane del suo tempo: il neopaganesimo della Germania hitleriana, con la Mit brennender Sorge;il comunismo della Russia sovietica, con la Divini Redemptoris; l'anticristianesimo del Messico laicista e massonico, con la Firmissimam constantiam. L'uscita di queste tre encicliche nel giro di due settimane fu un fatto unico nella storia della Chiesa.
    IL NEOPAGANESIMO DELLA GERMANIA HITLERIANA
    La prima enciclica, la Mit brennender Sorge, era datata la Domenica di Passione il 14 marzo 1937. Pio XI affermava: «Se è vero che la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell'ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; tuttavia chi li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l'ordine, da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme. (...) Sulla fede in Dio genuina e pura si fonda la moralità del genere umano. Tutti i tentativi di staccare la dottrina dell'ordine morale dalla base granitica della fede, per ricostruirla sulla sabbia mobile di norme umane, portano, tosto o tardi, individui e nazioni al decadimento morale. Lo stolto, che dice nel suo cuore: "non c'è Dio", si avvierà alla corruzione morale. E questi stolti, che presumono di separare la morale dalla religione, sono oggi divenuti legione».
    IL COMUNISMO DELLA RUSSIA SOVIETICA
    La seconda enciclica, la Divini Redemptoris, fu pubblicata il 19 marzo 1937, festa di S. Giuseppe, patrono della Chiesa e dei lavoratori cristiani. Denunciando il comunismo mondiale e ateo che dalla Russia si diffondeva nel mondo, Pio XI diceva: «Per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell'uomo contro "tutto ciò che è divino" (...) Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per primi come vittime del loro errore, e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l'antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l'odio dei "senza Dio».
    Pio XI lanciava un «appello a quanti credono in Dio»: «Ma a questa lotta impegnata dal «potere delle tenebre» contro l'idea stessa della Divinità, Ci è caro sperare che, oltre tutti quelli che si gloriano del nome di Cristo, si oppongano pure validamente quanti (e sono la stragrande maggioranza dell'umanità) credono ancora in Dio e lo adorano. Rinnoviamo quindi l'appello che già lanciammo cinque anni or sono nella Nostra Enciclica Caritate in Christi affinché essi pure lealmente e cordialmente concorrano da parte loro "per allontanare dall'umanità il grande pericolo che minaccia tutti". Poiché - come allora dicevamo, - siccome "il credere in Dio è il fondamento incrollabile...

    • 9 min
    Concordato del 1984: quarant'anni di scristianizzazione

    Concordato del 1984: quarant'anni di scristianizzazione

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7703

    CONCORDATO DEL 1984: QUARANT'ANNI DI SCRISTIANIZZAZIONE di Roberto De Mattei
    Quarant'anni fa, il 18 febbraio 1984, il presidente del Consiglio Bettino Craxi ed il cardinale
    Segretario di Stato Agostino Casaroli firmarono solennemente a Villa Madama, il Nuovo Concordato tra la Santa Sede lo Stato italiano, che rivedeva profondamente i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929.
    I Patti Lateranensi del 1929, avevano sancito un nuovo rapporto di collaborazione tra Chiesa e Stato in Italia, la cosiddetta "Conciliazione", dopo il lungo dissidio seguito all'occupazione militare dello Stato pontificio e alla presa di Roma del 20 settembre 1870. Essi avevano il loro principio fondamentale nel riconoscimento della Religione cattolica, apostolica e romana, come la sola Religione dello Stato. Da questo principio scaturivano alcune importanti conseguenze, come l'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole, il riconoscimento giuridico del matrimonio sacramentale, la proclamazione del carattere sacro della città di Roma.
    La Costituzione repubblicana del 1948, pur essendo animata da un profondo spirito laicista, nel suo articolo 7, recepì i Patti Lateranensi come fondamento dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia. La novità del "Nuovo Concordato", firmato nel 1984, come spiegò lo stesso Presidente del Consiglio Craxi, consisteva invece nel realizzare la «moderna separazione» tra Stato e Chiesa, affermando il principio della "neutralità" dello Stato in materia di religione. Lo stesso cardinale Casaroli precisò che il «fulcro» del Nuovo Concordato era costituito dall'abolizione del "principio originariamente richiamato dai Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato». La segreteria di Stato vaticana e la Conferenza episcopale italiana, esprimevano pubblicamente il loro plauso per il nuovo traguardo raggiunto.
    IL CENTRO CULTURALE LEPANTO
    L'11 febbraio 1984, una settimana prima della firma del Nuovo Concordato, il Centro Culturale Lepanto, che avevo l'onore di presiedere, pubblicò, come inserto pubblicitario, su alcuni quotidiani nazionali un «manifesto» intitolato «Può un cattolico preferire lo Stato ateo?». Scrivevamo tra l'altro: "Non meraviglia che le forze rivoluzionarie e anticristiane, che professano l'ateismo e l'egualitarismo radicale, esprimano la loro sostanziale soddisfazione verso un progetto concordatario in cui vedono affermato il principio dell'uguaglianza delle religioni, e quindi un implicito ateismo di Stato, destinato ad avere enormi conseguenze in seno alla società civile. Ciò che invece è strabiliante è che la stessa intima soddisfazione per questo Concordato venga espressa pubblicamente dai vertici del mondo cattolico, sia laici che ecclesiastici, tanto da considerarlo molto migliore dell'antico e quindi a questo nettamente preferibile. Il Centro Culturale Lepanto - associazione civico-culturale che si ispira all'immutabile dottrina della Chiesa - rivolge a queste autorità del mondo cattolico italiano una domanda, rispettosa ma pressante: Può un cattolico preferire uno Stato "neutrale" in materia di religione, e quindi implicitamente ateo, ad uno Stato ufficialmente cattolico? Questa preferenza non contraddice la dottrina cattolica e lo stesso buon senso? Negli ultimi due secoli, il Magistero della Chiesa, soprattutto per bocca dei Sommi Pontefici, ha sempre condannato il principio anticristiano del laicismo e della neutralità religiosa, affermando per contro il dovere dello Stato di riconoscere pubblicamente e di sostenere efficacemente la vera Religione. Tra le innumerevoli citazioni, ci limitiamo a riportare questa di san Pio X: «È una tesi assolutamente falsa, un errore pericolosissimo, pensare che bisogna separare lo Stato dalla Chiesa. Questa posizione si basa...

    • 8 min
    Muore Vittorio Emanuele di Savoia, escluso dalla successione per il suo matrimonio

    Muore Vittorio Emanuele di Savoia, escluso dalla successione per il suo matrimonio

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7702

    MUORE VITTORIO EMANUELE DI SAVOIA, ESCLUSO DALLA SUCCESSIONE PER IL SUO MATRIMONIO di Stefano Chiappalone
    Con la morte di Vittorio Emanuele di Savoia [...] torna sotto i riflettori il casato che ha cinto la corona d'Italia dal 1861 al 1946, ma - insieme alle non poche controversie che lo hanno coinvolto in vita - anche l'annosa questione di chi sia il “vero” capo di casa Savoia, dopo la morte di Umberto II, l'ultimo re d'Italia deceduto in esilio nel 1983. In sintesi: prosegue il ramo Savoia-Carignano, con Vittorio Emanuele e ora suo figlio Emanuele Filiberto? Oppure, come altri sostengono, sarebbero subentrati i cugini del ramo Savoia-Aosta, con Amedeo (morto nel 2021) e ora suo figlio Aimone? E perché? La questione è apparentemente “di nicchia”, ma tutt'altro che priva di interesse, essendo legata alla storia del nostro Paese e - perché no? - a un ipotetico futuro sovrano, in caso di improbabile ma non impossibile ritorno della monarchia, cui si intreccia anche una profezia attribuita a san Pio da Pietrelcina.
    Il “nocciolo” della disputa risale al 1970 per via del matrimonio tra Vittorio Emanuele e Marina Ricolfi Doria: non essendo la sposa di famiglia reale, in mancanza di assenso di Umberto II, lo sposo sarebbe stato escluso dalla successione. Assenso necessario secondo le norme di casa Savoia per ogni matrimonio (diseguale o meno), ma se «contratto con persona di condizione e stato inferiore (...), tanto i contraenti, che i discendenti da tale matrimonio, si intenderanno senz'altro decaduti dal possesso dei beni e dei diritti provenienti dalla Corona e dalla ragione di succedere nei medesimi». Salvo «qualche singolare circostanza» che spingesse il sovrano a dare il beneplacito, come stabilito nel 1780 dalle Regie Patenti di Vittorio Amedeo III, re di Sardegna.
    LA SOLENNE AMMONIZIONE
    Norme che Umberto II, non più re ma pur sempre capo di casa Savoia, ribadiva in una lettera del 25 gennaio 1960 al figlio, all'epoca fidanzato con l'attrice Dominique Claudel, «in modo che tu sappia con esattezza in quale situazione verresti a trovarti», richiamandosi «alla legge della nostra Casa, vigente da ben 29 generazioni e rispettata dai 43 Capi Famiglia, miei predecessori, succedutisi secondo la legge Salica attraverso matrimoni contratti con famiglie di Sovrani. Tale legge, io 44mo Capo Famiglia, non intendo e non ho diritto di mutare, nonostante l'affetto per te». Umberto era netto sulle conseguenze: «la tua decadenza da qualsiasi diritto di successione come Capo della Casa di Savoia e di pretensione al trono d'Italia, perdendo i tuoi titoli e il tuo rango e riducendoti alla situazione di privato cittadino. Perciò tutti i diritti passerebbero immediatamente a mio nipote Amedeo, Duca d'Aosta». Vittorio Emanuele il 25 aprile 1960 riconosceva «la situazione nella quale verrei a trovarmi se decidessi di rinunciare alle mie prerogative e mi sposassi con una donna - qualunque essa fosse - non di sangue reale» e la relativa situazione anche «sotto l'aspetto strettamente dinastico».
    L'ammonimento si ripeté il 18 luglio 1963, quando l'ex sovrano riprese carta e penna dopo aver letto un'intervista al figlio circa le possibili nozze (poi di fatto avvenute) con Marina Doria, vedendosi costretto a «ripeterti, parola per parola, quanto ebbi a scriverti il 23 [sic] gennaio 1960, in una simile circostanza». «L'intervista non rispecchia il mio pensiero», rispose Vittorio Emanuele il 25 agosto in calce alla lettera paterna. Fatto sta che qualche anno dopo quel matrimonio che “non s'aveva da fare” si fece nel 1970 a Las Vegas, con rito civile, all'insaputa del padre. Quello religioso seguì l'anno dopo a Teheran.
    LA PROFEZIA DI PADRE PIO
    A dirimere la questione nel frattempo insorta fra i due rami fu chiamata nel 2001 la Consulta...

    • 9 min
    La festa (dimenticata) della libertà dai totalitarismi

    La festa (dimenticata) della libertà dai totalitarismi

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7609

    LA FESTA (DIMENTICATA) DELLA LIBERTA' DAI TOTALITARISMI di Valter Lazzari
    La legge sul 9 novembre è una delle più brevi del nostro ordinamento, un solo articolo. «Legge 15 aprile 2005, n. 61 Istituzione del "Giorno della libertà". 1° comma. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell'abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo. 2° comma. In occasione del "Giorno della libertà", di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti». Stop, finita. Breve ma da conoscere e far conoscere.
    Lo scorso anno è balzata alle cronache non già per essere stata onorata, ma per le proteste da parte di presidi, insegnanti, sindacati della Scuola, verso il ministro dell'Istruzione per il solo fatto che, essendo tale legge disattesa, egli esortava ad applicarla. Laddove invece si va diffondendo la pratica di celebrare a scuola una "giornata contro l'omo-bi-trans-eccetera-fobia" nonostante nessuna disposizione la prescriva. Eppure molto sarebbe il materiale, generalmente ignorato, che almeno in questo giorno si potrebbe portare alla discussione.
    IL TRENTENNALE DEL 1989
    Ricordiamo, quattro anni fa, come è stato celebrato il trentennale del 1989? Liquidato con qualche articolo il solo giorno del 9 novembre, mentre sarebbe stato notiziabile e commercialmente allettante scandire mese per mese tutto il 2019. Una Rai che, per esempio, aveva poco prima minuziosamente ripercorso e vivisezionato la Grande guerra (occasione per blandire pacifisti e nostalgici della rivoluzione d'ottobre), il 1989 lo ha trattato poco e male. Chiediamoci, è casuale questo obnubilamento del 9 novembre e dell'89? È una svista? O non è ancora una volta la manipolazione ideologica della Storia e della storiografia, l'annoso discorso dell'occupazione gramsciana di tutte le casematte culturali (università, editoria, letteratura (e premi letterari!), cinema, teatro, arti figurative, etc. etc.
    Il totalitarismo, ci ricorda Hannah Arendt nel suo celebre saggio, non pretende solo la subordinazione politica degli individui, ma invade e controlla anche la loro sfera privata. Questa, una delle principali differenze coi regimi autoritari. Da noi nel ventennio non succedeva che, col pretesto di insegnare norme igieniche, gruppi di "volontari" venissero a ingerire in casa per vedere quali libri, quali simboli religiosi appesi, come invece fanno i "Comités de Defensa de la Revoluciòn" nelle case dei cubani. Da noi non succedeva che a ridosso della Pasqua, si interrogassero capziosamente gli scolaretti delle elementari e dell'asilo, per farsi dire se in casa si dipingevano le uova per la festa. In Albania sì. E successivamente in quelle case faceva irruzione la polizia politica. In Albania per battezzare un bimbo si rischiava la vita: un sacerdote, don Stiefen Kurti, subì la fucilazione per aver battezzato un neonato (20 ottobre 1971). Quegli stessi anni '70 in cui un noto disegnatore satirico recentemente scomparso, in Albania ci passava le settimane estive di volontariato "per l'edificazione del Socialismo" (e non risulta che mai abbia pronunciato ravvedimento). Proprio gli anni in cui Italia e mondo democratico, inscenavano fluviali cortei per la pena capitale eseguita in Spagna su uomini i quali, a prescindere dai loro nobili (?) ideali avevano tuttavia compiuto sanguinari atti di terrorismo con corredo di vittime innocenti. La Spagna non era un regime totalitario, i Paesi del Patto di Varsavia lo...

    • 7 min
    Il sacerdote che con il suo genio scientifico catalogò oltre 1000 specie di funghi

    Il sacerdote che con il suo genio scientifico catalogò oltre 1000 specie di funghi

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2504

    IL SACERDOTE CHE CON IL SUO GENIO SCIENTIFICO CATALOGO' OLTRE 1000 SPECIE DI FUNGHI di Barbara Sartori
    I colleghi statunitensi lo consideravano un maestro, «the most learned in the world». Richieste di consulenze gli arrivavano da tutta Europa.
    Ma, in Italia, al di fuori di una ristretta cerchia di esperti, restava un modesto parroco della Val di Sole.
    È un sacerdote trentino vissuto a cavallo tra Otto e Novecento il più grande micologo italiano, l'abate Giacomo Bresadola. La Biblioteca della sede piacentina dell'Università Cattolica - che ne conserva gran parte delle opere, vere rarità editoriali, donate da Giuseppe Fogliani, dal 1960 al '92 docente della Facoltà di Agraria - vuol rendere omaggio al suo genio scientifico. Fino al 28 settembre, nell'atrio d'onore, è possibile ammirare alcuni testi originali e riproduzioni delle tavole dipinte dal Bresadola per illustrare i funghi analizzati in cinquant'anni di ricerche. Si calcola, limitandosi alle sole nuove specie, che ne abbia catalogate ben 1017.
    Nato a Ortisé nel 1847, Giacomo Bresadola è indirizzato dal padre alle scuole tecniche a Rovereto, per farne un ingegnere. Lui preferisce il seminario: nel 1870 è sacerdote.
    Non dimentica però la passione per le scienze. A Baselga di Piné il giardino della canonica diventa un orto botanico. A Roncegno comincia lo studio delle fanerogame, piante della famiglia dei faggi e degli abeti, sotto la guida Francesco Ambrosi, direttore e bibliotecario del Museo di storia naturale di Trento. È lui a proporgli di occuparsi di muschi e licheni, presentandogli il biologo Venturi. Si deve invece al cappuccino Giovanella da Cembra, se, mentre era curato a Magras, tra il 1878 e l'83, inizia a interessarsi di funghi. Ma i testi su cui lavorare - si accorse il sacerdote - erano imprecisi.
    Decise perciò di scrivere ad Andrea Saccardo, docente di botanica all'Università di Padova, chiedendogli di inviargli le sue opere e proponendosi «per la ricerca di qualche fungo o altro che riguarda la Micologia, che specialmente in questi paesi montuosi è ricca, e vergine dalle ricerche degli scienziati». È l'inizio della carriera di micologo. Nel 1881 entra in contatto con gli studiosi nordamericani e pubblica la sua prima opera, Fungi tridentini novi vel nondum delineati, un atlante di 281 specie locali, descritte e illustrate dall'autore.
    Seguiranno Mycromicetes tridentini (1889) e la divulgativa Funghi mangerecci e velenosi dell'Europa media , in italiano (pubblicata postuma).
    Il rigore dello studio e la finezza del tratto sono la peculiarità del metodo del Bresadola, che non si accontentava di vaghe descrizioni, ma - seguendo l'insegnamento del francese Lucien Quélet - corredava le sue schede con note critiche e minuziosi disegni, frutto di un attento esame al microscopio. Il suo credito crebbe a tal punto che i musei di Londra, Parigi, Uppsala, Liegi, Washington, Kiev gli inviavano da analizzare le loro collezioni più preziose e ancora oggi custodiscono testimonianze del suo infaticabile lavoro. Senza spostarsi da Trento - nel 1884 era stato nominato amministratore all'Ordinariato vescovile e nel 1887 al capitolo della Cattedrale ­ poté revisionare miceti da ogni latitudine, con l'obiettivo di dare ordine alla catalogazione esistente: ottocento specie furono dichiarate non valide.
    A dispetto dei riconoscimenti ­ nel 1927 la laurea honoris causa in scienze naturali a Padova, il titolo di socio fondatore conferito dall'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, dalla Società micologica britannica e da varie accademie europee - restò l'umile prete di sempre. Le ristrettezze economiche lo costrinsero a vendere al museo di Stoccolma un erbario con 30mila specie. Alcuni editori stranieri avevano messo gli occhi sulla documentazione...

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