60 épisodes

Tutto quello che è successo dopo alcuni dei più noti casi di cronaca nera italiana. Una storia ogni mese, il primo del mese. Un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.

Indagini Il Post

    • Criminologie
    • 5,0 • 37 notes

Tutto quello che è successo dopo alcuni dei più noti casi di cronaca nera italiana. Una storia ogni mese, il primo del mese. Un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.

    Napoli, 2 luglio 1983 - Prima parte

    Napoli, 2 luglio 1983 - Prima parte

    Nel tardo pomeriggio del 2 luglio 1983 due bambine, Nunzia Munizzi e Barbara Sellini, di dieci e sette anni, scomparvero nel rione Incis del quartiere di Ponticelli, a Napoli. Vennero ritrovate la mattina dopo. Erano state assassinate e i loro corpi bruciati.
    Di quel duplice omicidio, terribile, sarebbe doloroso e inutile ricordare i molti particolari. Ma è importante ripercorrere cosa avvenne dopo, le indagini veloci e condotte con una ovvia, forte pressione mediatica e dell’opinione pubblica, i processi, le tante ritrattazioni e incongruenze dei testimoni, le perizie scientifiche mai effettuate.
    Per quel delitto vennero condannati all’ergastolo tre ragazzi ventenni, anche loro abitanti del rione Incis di Ponticelli. Si sono sempre dichiarati innocenti e molti altri sono sempre stati convinti della loro estraneità ai fatti. Nel 2022 anche la commissione antimafia ha svolto un’inchiesta, concludendo che tanti elementi suscitavano pesanti dubbi e che si sarebbe dovuto continuare a indagare.
    I tre di Ponticelli, come vennero definiti, oggi sono liberi, dopo aver trascorso 26 anni in carcere. Continuano a chiedere la revisione del processo, affermando che in realtà il vero assassino di Nunzia Munizzi e Barbara Sellini non sia mai stato preso.
    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post.
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    • 45 min
    Napoli, 2 luglio 1983 - Seconda parte

    Napoli, 2 luglio 1983 - Seconda parte

    Nel tardo pomeriggio del 2 luglio 1983 due bambine, Nunzia Munizzi e Barbara Sellini, di dieci e sette anni, scomparvero nel rione Incis del quartiere di Ponticelli, a Napoli. Vennero ritrovate la mattina dopo. Erano state assassinate e i loro corpi bruciati.
    Di quel duplice omicidio, terribile, sarebbe doloroso e inutile ricordare i molti particolari. Ma è importante ripercorrere cosa avvenne dopo, le indagini veloci e condotte con una ovvia, forte pressione mediatica e dell’opinione pubblica, i processi, le tante ritrattazioni e incongruenze dei testimoni, le perizie scientifiche mai effettuate.
    Per quel delitto vennero condannati all’ergastolo tre ragazzi ventenni, anche loro abitanti del rione Incis di Ponticelli. Si sono sempre dichiarati innocenti e molti altri sono sempre stati convinti della loro estraneità ai fatti. Nel 2022 anche la commissione antimafia ha svolto un’inchiesta, concludendo che tanti elementi suscitavano pesanti dubbi e che si sarebbe dovuto continuare a indagare.
    I tre di Ponticelli, come vennero definiti, oggi sono liberi, dopo aver trascorso 26 anni in carcere. Continuano a chiedere la revisione del processo, affermando che in realtà il vero assassino di Nunzia Munizzi e Barbara Sellini non sia mai stato preso.
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    • 1h 6 min
    Roma, 10 luglio 1991 - Prima parte

    Roma, 10 luglio 1991 - Prima parte

    Sono aperte le iscrizioni alle “10 lezioni sui podcast” del Post, dieci incontri online per chi vuole capire meglio come funzionano i podcast, dall’idea alla pubblicazione. Due volte a settimana, in diretta, insieme a Stefano Nazzi, Francesco Costa e altri autori e producer. Ci si può iscrivere fino al 27 maggio. Trovi altre informazioni a questo link o scrivendo a scuola@ilpost.it
    Il 10 luglio 1991 intorno alle nove del mattino, Alberica Filo della Torre venne assassinata all’interno della sua villa, nel quartiere romano dell’Olgiata. In casa in quel momento c’erano i figli bambini della donna e alcune persone che lavoravano nella villa.
    Il delitto suscitò un enorme interesse da parte dei media. Alberica Filo della Torre era di origini nobili, l’omicidio era avvenuto all’interno di un complesso, quello dell’Olgiata, considerato esclusivo e abitato da persone estremamente facoltose. I giornali parlarono di delitto «tra i sangue blu».
    Le indagini appurarono da subito che il marito della donna, Pietro Mattei, aveva un alibi riscontrabile e solido. Nonostante questo le illazioni sulla stampa furono continue e durarono molti anni. Così come furono lunghe e spesso apparirono caotiche le indagini. Ci furono vari sospettati ma senza che ci fosse mai un riscontro concreto. La vicenda, tre anni dopo il delitto, si incrociò con un’altra indagine, quella sul cosiddetto scandalo dei fondi neri del Sisde, il servizio segreto italiano. Ma anche quella pista si rivelò poi inconsistente.
    Più volte si parlò di archiviazione dell’indagine ma Pietro Mattei, e con lui i suoi figli, si opposero sempre insistendo anzi sul proseguimento e sull'ampliamento dell’indagine che, grazie a nuove tecniche di investigazione scientifica, avrebbero potuto individuare nuovi elementi importanti.
    La soluzione del caso arrivò però solo 19 anni dopo il delitto. Ed era sempre stata presente tra i reperti acquisiti in fase d’indagine. La registrazione di un’intercettazione telefonica che conteneva elementi fondamentali per l’individuazione del colpevole non era mai stata, inspiegabilmente, ascoltata. E alcune tracce biologiche lasciate sul luogo del delitto erano state prima ignorate e poi analizzate solo superficialmente. Quelle tracce rappresentarono una conferma a ciò che era contenuto nell’intercettazione telefonica.
    A distanza di anni dal delitto Pietro Mattei e i suoi figli accusarono chi aveva condotto le indagini di macroscopici errori.
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    • 46 min
    Roma, 10 luglio 1991 - Seconda parte

    Roma, 10 luglio 1991 - Seconda parte

    Sono aperte le iscrizioni alle “10 lezioni sui podcast” del Post, dieci incontri online per chi vuole capire meglio come funzionano i podcast, dall’idea alla pubblicazione. Due volte a settimana, in diretta, insieme a Stefano Nazzi, Francesco Costa e altri autori e producer. Ci si può iscrivere fino al 27 maggio. Trovi altre informazioni a questo link o scrivendo a scuola@ilpost.it
    Il 10 luglio 1991 intorno alle nove del mattino, Alberica Filo della Torre venne assassinata all’interno della sua villa, nel quartiere romano dell’Olgiata. In casa in quel momento c’erano i figli bambini della donna e alcune persone che lavoravano nella villa.
    Il delitto suscitò un enorme interesse da parte dei media. Alberica Filo della Torre era di origini nobili, l’omicidio era avvenuto all’interno di un complesso, quello dell’Olgiata, considerato esclusivo e abitato da persone estremamente facoltose. I giornali parlarono di delitto «tra i sangue blu».
    Le indagini appurarono da subito che il marito della donna, Pietro Mattei, aveva un alibi riscontrabile e solido. Nonostante questo le illazioni sulla stampa furono continue e durarono molti anni. Così come furono lunghe e spesso apparirono caotiche le indagini. Ci furono vari sospettati ma senza che ci fosse mai un riscontro concreto. La vicenda, tre anni dopo il delitto, si incrociò con un’altra indagine, quella sul cosiddetto scandalo dei fondi neri del Sisde, il servizio segreto italiano. Ma anche quella pista si rivelò poi inconsistente.
    Più volte si parlò di archiviazione dell’indagine ma Pietro Mattei, e con lui i suoi figli, si opposero sempre insistendo anzi sul proseguimento e sull'ampliamento dell’indagine che, grazie a nuove tecniche di investigazione scientifica, avrebbero potuto individuare nuovi elementi importanti.
    La soluzione del caso arrivò però solo 19 anni dopo il delitto. Ed era sempre stata presente tra i reperti acquisiti in fase d’indagine. La registrazione di un’intercettazione telefonica che conteneva elementi fondamentali per l’individuazione del colpevole non era mai stata, inspiegabilmente, ascoltata. E alcune tracce biologiche lasciate sul luogo del delitto erano state prima ignorate e poi analizzate solo superficialmente. Quelle tracce rappresentarono una conferma a ciò che era contenuto nell’intercettazione telefonica.
    A distanza di anni dal delitto Pietro Mattei e i suoi figli accusarono chi aveva condotto le indagini di macroscopici errori.
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    • 45 min
    Milano - 18 marzo 1978 - Trailer

    Milano - 18 marzo 1978 - Trailer

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post.
    Il 18 marzo 1978 due ragazzi di 18 anni, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, furono assassinati in via Mancinelli, a Milano. Era un sabato, poco prima delle venti. Vennero uccisi con otto colpi di pistola, tutti andati a segno. Iniziò quella sera una storia lunga, con indagini condotte da otto magistrati diversi, spesso impegnati anche in altre inchieste e quindi costretti a dedicarsi alla vicenda solo parzialmente. Indagini fatte inizialmente male, con perizie approssimative e a volte incomplete, testimonianze non raccolte, elementi tralasciati.
    È la storia di un immediato e maldestro tentativo di depistaggio. Di reperti incomprensibilmente distrutti, di un collegamento tra Milano, un’altra città lombarda, Cremona, e Roma, perché dagli ambienti dell’estrema destra romana, secondo le ipotesi investigative, sarebbero arrivati gli esecutori dell’omicidio.L’omicidio avvenne in giorni che furono tra i più angoscianti nella storia d’Italia dalla fine della II guerra mondiale. Il 16 marzo, due giorni prima dei fatti di Milano, a Roma era infatti stato sequestrato dalle Brigate Rosse il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.Ciò che accadde alle 20 del 18 marzo 1978 in via Mancinelli è anche la storia di una città, di una generazione, di un funerale a cui parteciparono molte decine di migliaia di persone con un coinvolgimento emotivo che tanti non avevano mai visto né provato. Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci erano due ragazzi di sinistra ma non militavano in nessun gruppo, non erano due leader, non erano conosciuti. Frequentavano il centro sociale Leoncavallo ma anche lì non erano due leader, due in vista.
    Erano, come dissero le decine di migliaia di ragazzi che parteciparono al funerale, «due come noi, esattamente come noi».Negli anni molti elementi sono emersi, anche grazie a collaboratori di giustizia appartenenti al terrorismo nero. Non c’è mai stata, però, una conclusione giudiziaria della vicenda. Ora, a distanza di tanto tempo, la procura di Milano ha ripreso il filo di quella vicenda aprendo un fascicolo conoscitivo, senza cioè indagati e ipotesi di reato. L’obiettivo è capire se esistono elementi per riaprire ufficialmente le indagini.
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    • 5 min
    Roma - 22 giugno 1983 – Prima parte

    Roma - 22 giugno 1983 – Prima parte

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post.
    Emanuela Orlandi uscì di casa tra le 15.30 e le 16 del 22 giugno 1983. Abitava entro le mura vaticane, suo padre era commesso presso il Palazzo Apostolico. Quel giorno ebbe lezioni, come faceva tre volte alla settimana, all’ Istituto ​​Ludovico Da Victoria, associato al Pontificio istituto di musica sacra, in piazza Sant’Apollinare, nel centro di Roma.
    Uscì dall’istituto poco prima delle 19, assieme alle sue compagne e ai compagni di corso. Poi nessuno la vide più, almeno ufficialmente.
    La storia della scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei casi di cronaca più famosi d’Italia, forse il più intricato, tra i più raccontati.
    Ma è anche molto altro. È anche la storia di depistaggi, testimonianze spesso inattendibili, silenzi e reticenze da parte del Vaticano, piste seguite e rivelatesi poi dopo anni assolutamente inconsistenti. È anche la storia di come molti di coloro che sono comparsi in questa storia hanno approfittato della scomparsa di una ragazza di 15 anni, per fini politici, per sviare le indagini o semplicemente, come scrisse una delle magistrate che indagò, per conquistare un quarto d’ora di celebrità.
    A distanza ormai di 41 anni dal giorno in cui Emanuela Orlandi scomparve, si può tentare di ripercorrere la vicenda sottolineando gli aspetti più incongrui, le notizie che in realtà non erano notizie, le testimonianze più improbabili, le reticenze di chi probabilmente qualcosa sapeva ma non comunicò mai nulla alla procura incaricata delle indagini, quella romana. Ricostruendo anni di rivelazioni improbabili, ricerche infruttuose, segnalazioni false, tutto mischiato ormai in un grade contenitore nel quale è difficile anche solo orientarsi.
    Ben sapendo che troppe volte è stata usata la parola verità, ma quelle verità ancora è nascosta da qualche parte.
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    • 1h 4 min

Avis

5,0 sur 5
37 notes

37 notes

Monica90068 ,

Fatto benissimo

Qualità che mi ricorda la prima stagione di “Serial”.

Ejkscspavricbqpqjvx ,

Fantastico!

Talmente bello e ben fatto che mi dispiace poter ascoltare solo due episodi al mese. Ce ne vorrebbe uno a settimana!!

Mokyin ,

Un podcast creato e prodotto bene!

Non vivendo in Italia da 30, non conosco, o ricordo, molti dei casi presentati, e ognuno di essi ha catturato la mia attenzione! Molto interessante e fatto bene.

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