20 episodes

Visitare Bologna attraverso le parole dei grandi autori che l’hanno raccontata.
Un’antologia di citazioni sulla città felsinea da romanzi, diari, cronache, poesie, lettere e canzoni. Da Dickens, a Hemingway, da Edgar Allan Poe a Lord Byron, da Carducci a Lucarelli, da Guccini a Dalla. Bologna è stata amata e odiata ma, soprattutto, narrata tante volte: questa guida si propone come un compagno di strada, un amico colto da consultare alla bisogna per ritrovare i luoghi della narrativa e inventare itinerari inediti.
( Elleboro editore - L. Notte)
Elleboro editore - Lorenzo Notte
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Bologna, dicono di lei Elleboro editore

    • Society & Culture

Visitare Bologna attraverso le parole dei grandi autori che l’hanno raccontata.
Un’antologia di citazioni sulla città felsinea da romanzi, diari, cronache, poesie, lettere e canzoni. Da Dickens, a Hemingway, da Edgar Allan Poe a Lord Byron, da Carducci a Lucarelli, da Guccini a Dalla. Bologna è stata amata e odiata ma, soprattutto, narrata tante volte: questa guida si propone come un compagno di strada, un amico colto da consultare alla bisogna per ritrovare i luoghi della narrativa e inventare itinerari inediti.
( Elleboro editore - L. Notte)
Elleboro editore - Lorenzo Notte
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    Le due torri

    Le due torri

    Oltre 150 torri svettavano in città tra il Dodicesimo e il Tredicesimo secolo. Ogni famiglia importante aveva la sua e il prestigio del casato corrispondeva alla grandezza e maestosità della costruzione. Anche gli Asinelli e i Garisenda costruirono le loro torri a perenne memoria del loro nome. La prima, la più alta, è famigerata fra gli studenti dell’ateneo perché, dice la leggenda, chi la scala prima di terminare l’Università non si laureerà mai più. La seconda pende, di una gradazione appena superiore alla più famosa torre di Pisa. Da quando ha iniziato a pendere? Beh, almeno dai tempi del Poeta.
    "Qual pare a riguardar la Garisenda
    Sotto’l chinato quando un nuvol vada
    Sovr’essa sì, ched ella incontro penda"
    Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno.
    Perché pende da allora? Sentiamo un’ipotesi poco ingegneristica ma, quello sì, altamente letteraria, scritta da Goethe in persona
    "La torre pendente è uno spettacolo che disgusta, eppure è molto probabile che sia stata costruita a bella posta così. Mi spiego in questo modo una simil stravaganza. Nell’epoca dei torbidi cittadini ogni grande edificio era una fortezza in cui ogni famiglia si costruiva una torre. A poco a poco se ne fece una questione di passatempo e di puntiglio; ognuno voleva primeggiare con la sua torre; e quando le torri diritte cominciarono a diventare comuni vi fu chi se ne costruì una pendente. Architetto e proprietario hanno raggiunto il loro scopo; si passa quasi indifferenti davanti alle molte torri diritte e slanciate per cercare quella pendente".
    Johann Wolfgang Goethe, viaggio in Italia
    Elleboro editore - Lorenzo Notte

    La casa del Melograno

    La casa del Melograno

    Amo Bologna; per i falli, gli errori, gli spropositi della gioventù che qui lietamente commisi e dei quali non so pentirmi.
    Parole di Giosuè Carducci, il cui nome è legato indissolubilmente a questa città, che lo vide insegnare, vincere il Nobel, morire. E vivere uno degli episodi più angoscianti della sua vita: la perdita prematura del figlio Dante. Per questa ragione, e per la perdita altrettanto dolorosa della madre, Carducci abbandonò questo piccolo appartamento luminoso e sereno in una via della vecchia Bologna abitata in gran parte da un popolo minuto appartamento nel cui orto, oltre alla vite, fioriva e fiorisce ancora un melograno, emblema della poesia che il Carducci dedicò al figlio scomparso.
    L’albero a cui tendevi
    La pargoletta mano
    Il verde melograno
    Da’bei vermigli in fior
    Nel muto orto solingo
    Rinverdì tutto or ora
    E giugno lo ristora
    Di luce e di calor
    Tu fior de la mia pianta
    Percorssa e inaridita
    Tu de l’inutil vita
    Estremo unico fior
    Sei ne la terra fredda
    Sei ne la terra negra
    Né il sol più ti rallegra
    Né ti risveglia amor
    ©Elleboro editore - Lorenzo Notte

    Rock star!

    Rock star!

    "E poi ci troveremo come le star
    A bere del whisky al Roxy Bar".
    State già cantando eh? Ma è un’altra la rock star che ha abitato in questa casa nel 1700. Si chiamava Carlo Broschi ed è passato alla storia con il suo nome d’arte: Farinelli, il più famoso cantante lirico castrato di tutti i tempi. Visse tra questa casa e una villa di campagna poco fuori città oggi, purtroppo, abbattuta, che ospitò fra gli altri un giovanissimo Mozart. Fu acclamato e onorato nelle corti di tutto il mondo e ci vorranno altri duecento anni perché idoli come lui, di nome Dalla, Guccini, Vasco, calchino di nuovo le vie e i palchi di questa città…
    "Farà gran piacere a ogni appassionato di musica l’apprendere che il castrato Farinelli vive ancora e gode di buona salute e di tutte le sue facoltà. Ho avuto il piacere di passare la giornata con Farinelli nella sua casa di campagna, posta un miglio fuori Bologna. Farinelli ha abbandonato il canto da un pezzo ma si diverte ancora sul suo clavicembalo e sulla viola; ha molti clavicembali costruiti in diversi paesi ed egli gli chiama col nome dei più grandi pittori italiani secondo l’importanza che ognuno d’essi occupa nel suo pensiero".
    Charles Burney, Viaggio musicale in Italia, 1770
    ©Elleboro editore - Lorenzo Notte

    Sacrario dei Caduti

    Sacrario dei Caduti

    "Bologna ha il monumento ai morti più straordinario che esista. Orribile ma perfetto. Si tratta di un muro e ogni nome di un morto è illustrato da una foto fornita dalla sua famiglia. Li vediamo così come li abbiamo amati: il ragazzo grasso coi baffi, sul manubrio della bicicletta, il bel teneboroso con la cravatta scura. Mi vennero le lacrime agli occhi per un’immagine che era stata scelta da una madre, una fotografia di un piccolo biondo in pantaloncini e colletto da marinaio. Voleva ricordarlo e commemorarlo a questa età. Adoro questo monumento ai morti. Questi fantasmi installati sul marciapiede nella parte più frequentata della città come erano nella loro umile vita sono più commoventi di tutti i grandi ordini architettonici. La perfezione distrugge l’umano. Rappresentare i morti in guerra col caschetto e il lauro è tradirli, non amarli. Era questo ragazzo grosso che morì quando morì; era il dipendente della banca, l’impiegato notarile, quell’insegnante stitico che è morto costipato nonostante una baionetta nemica nella pancia. È molto bello che i viaggiatori del tram, le automobili, i passanti del marciapiede non lo dimentichino".
    Jean Jono, Vojage en Italie
    ©Elleboro editore - Lorenzo Notte

    Ristorante Cesarina

    Ristorante Cesarina

    Sulla Grassa Bologna si sono sparsi fiumi d’inchiostro. La fama di città dove si mangia splendidamente è arrivata fino a noi, merito di una campagna promozionale…letteraria. Edgar Allan Poe, ad esempio, ha inserito la mortadella, totem della gastronomia locale, nel suo romanzo Gordon Pym. Tanti erano e sono i templi in cui si celebra il rito della buona cucina. Fra cui La Cesarina
    "Santo Stefano, la stupenda Santo Stefano, ha avuto per tanto tempo come dirimpettaio quel tempio potentemente e squisitamente nutritore che era il ristorante della Cesarina. Senza fastidio, senza molestia reciproca. La distanza di un centinaio di metri impediva ogni mescolanza, ogni imbarazzante miscellanea, ogni criticabile contaminazione fra gli incensi delle Messe cantate e il fumo grasso e benevolo dei bolliti di manzo e di cappone. La Cesarina, quasi sempre in piedi e quasi sempre nella posizione di un pugile che aspetta il colpo di gong per incrociare i guantoni con l’avversario, era sempre pronta, se capitava sul discorso, a stendere al suolo tutti gli incauti che avessero dubitato della sua priorità nell’invenzione dei tortellini con la panna: una scoperta non meno importante di quella che fece Galvani con la rana".
    Dario Zanasi, Bocca cosa vuoi
    ©Elleboro editore - Lorenzo Notte

    Amori tribolati a Palazzo Malvezzi

    Amori tribolati a Palazzo Malvezzi

    Ancora un amore, ancora una relazione tribolata, ancora una donna bella, potente, regina di salotti. Si chiama Teresa Carniani e fu la coltissima moglie di Francesco Malvezzi, donna di cui Vincenzo Monti scrisse
    "Bionda la chioma in vaghe trecce avvolta
    Ed alta fronte ov’è l’ingegno espresso".
    Fu poetessa,scrittrice e traduttrice tra gli altri del poeta inglese Alexander Pope. E fu colei che fece invaghire a tal punto Giacomo Leopardi da fargli provare delirio e febbre, per averlo prima illuso (a dire del poeta…) e poi abbandonato.
    "Bologna 30 maggio 1826 lettera al fratello Carlo
    Sono entrato con una donna maritata in una delle principali famiglie di qui in una relazione che forma ora una gran parte della mia vita. Non è giovane ma è di una grazia e di uno spirito che supplisce alla gioventù e crea un’illusione meravigliosa. Nei primi giorni che la conobbi vissi in una specie di delirio e di febbre. Ama ed intende molto di lettere e filosofia: non ci manca mai materia di discorso e quasi ogni sera io sono con lei dall’avemaria alla mezzanotte passata e mi pare un momento. Ha risuscitato il mio cuore dopo un sonno, anzi una morte completa durata per tanti anni".
    ©Elleboro editore - Lorenzo Notte

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