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Una Casa al profumo di minestrone: la morte e le Cure Palliative Accompagnare alla morte

    • Personal Journals

Sono un'educatrice e lavoro in una Casa fatta di persone fragili: qui abbiamo deciso di accompagnare qualcuno nel percorso di fine vita, grazie al supporto di una equipe di operatori palliativisti.
Attraverso queste registrazioni voglio raccontarti la mia esperienza per condividere le emozioni che provo ogni giorno di fronte a qualcosa che ho sempre cercato di allontanare.
Perché? Perché sento di non essere davvero pronta.
Credo che essere pronti significhi indossare un paracadute.
Il salto verso l'ignoto l'ho già fatto il giorno in cui ho deciso di dire sì alle Cure insieme ai miei colleghi. Potevamo scegliere altre strade,ma non l'abbiamo fatto. Sappiamo quanto sia importante morire tra le mura di una Casa che profuma di minestrone piuttosto che tra quelle sterili di un ospedale. Ora sento il bisogno di proteggermi per non schiantarmi al suolo.
Il paracadute che voglio indossare deve essere abbastanza forte da proteggermi ma non troppo ingombrante per permettere di lasciare spazio a ciò che succederà. Per far sì che questa esperienza mi colpisca ma non mi travolga nella più totale confusione emotiva.
Insomma, ho bisogno di mettere insieme idee, riflessioni, pensieri più o meno consapevoli, che possano permettermi di volare assumendomi tutti i rischi del salto.
Un salto nel vuoto, verso ciò che è altro rispetto a noi.
Le cure palliative sono composte da operatori che accompagnano le persone alla morte.
Sono una medicina scalza, scalza perché ha scelto di privarsi delle scarpe. Le scarpe, infatti, rappresentano un ostacolo alla totale percezione del suolo: il piede nudo ci dà la possibilità di muoverci su quel lembo del Pianeta che confina con l'abisso più profondo e forse con le infinite altezze della volta celeste. E’ una medicina priva di saccenza e arroganza, una cura che si muove sulle corde di quella sensibilità che solo i piedi nudi consentono. (Paolo Vacondio - “Sediamoci qui”) queste sono le prime consapevolezze acquisite. Essere scalzi, Entrare nella stanza di chi sta morendo a piedi nudi. L'accompagnamento alla morte è un terreno sacro,al di la di ogni credo religioso. È il luogo delle domande, è il luogo dell'incertezza, è il luogo che mette paura. Chi sceglie di accompagnare alla morte sceglie di affrontare la paura con coraggio e determinazione, ma sempre con la delicatezza di una carezza sul volto.
La morte è un processo naturale e compito delle cure palliative è controllare il dolore e la sofferenza ad esso correlate. In altre parole ciò che si intende fare è rendere la morte dignitosa, coerente e accettabile
Per tollerare il processo di morte e avere familiarità con esso è necessario che ogni operatore abbia consapevolezza del proprio rapporto con la morte
Il giovanilismo che caratterizza la società occidentale in cui viviamo è controcorrente rispetto al processo di accettazione di un percorso di fine vita. Soltanto ciò che in natura ha la capacità di morire può essere definito come “essere vivente”.
L’esperienza viene definita nel vocabolario come la conoscenza acquisita mediante il contatto con un determinato settore della realtà.In questo caso ciò che fa contatto sono le nostre paure.
Paura dell’ignoto e dello sconosciuto.
Come si fa ad un certo punto a conoscere ciò che non sarà mai conosciuto finché non ci tocca personalmente?
Non lo conosci, lo accetti nella sua più totale obnubilazione.
E quando lo accetti e nei sei consapevole stai celebrando la vita.
Cosa succederà? Onestamente: non lo so ancora. Lo scoprirò solo con l’esperienza.

Sono un'educatrice e lavoro in una Casa fatta di persone fragili: qui abbiamo deciso di accompagnare qualcuno nel percorso di fine vita, grazie al supporto di una equipe di operatori palliativisti.
Attraverso queste registrazioni voglio raccontarti la mia esperienza per condividere le emozioni che provo ogni giorno di fronte a qualcosa che ho sempre cercato di allontanare.
Perché? Perché sento di non essere davvero pronta.
Credo che essere pronti significhi indossare un paracadute.
Il salto verso l'ignoto l'ho già fatto il giorno in cui ho deciso di dire sì alle Cure insieme ai miei colleghi. Potevamo scegliere altre strade,ma non l'abbiamo fatto. Sappiamo quanto sia importante morire tra le mura di una Casa che profuma di minestrone piuttosto che tra quelle sterili di un ospedale. Ora sento il bisogno di proteggermi per non schiantarmi al suolo.
Il paracadute che voglio indossare deve essere abbastanza forte da proteggermi ma non troppo ingombrante per permettere di lasciare spazio a ciò che succederà. Per far sì che questa esperienza mi colpisca ma non mi travolga nella più totale confusione emotiva.
Insomma, ho bisogno di mettere insieme idee, riflessioni, pensieri più o meno consapevoli, che possano permettermi di volare assumendomi tutti i rischi del salto.
Un salto nel vuoto, verso ciò che è altro rispetto a noi.
Le cure palliative sono composte da operatori che accompagnano le persone alla morte.
Sono una medicina scalza, scalza perché ha scelto di privarsi delle scarpe. Le scarpe, infatti, rappresentano un ostacolo alla totale percezione del suolo: il piede nudo ci dà la possibilità di muoverci su quel lembo del Pianeta che confina con l'abisso più profondo e forse con le infinite altezze della volta celeste. E’ una medicina priva di saccenza e arroganza, una cura che si muove sulle corde di quella sensibilità che solo i piedi nudi consentono. (Paolo Vacondio - “Sediamoci qui”) queste sono le prime consapevolezze acquisite. Essere scalzi, Entrare nella stanza di chi sta morendo a piedi nudi. L'accompagnamento alla morte è un terreno sacro,al di la di ogni credo religioso. È il luogo delle domande, è il luogo dell'incertezza, è il luogo che mette paura. Chi sceglie di accompagnare alla morte sceglie di affrontare la paura con coraggio e determinazione, ma sempre con la delicatezza di una carezza sul volto.
La morte è un processo naturale e compito delle cure palliative è controllare il dolore e la sofferenza ad esso correlate. In altre parole ciò che si intende fare è rendere la morte dignitosa, coerente e accettabile
Per tollerare il processo di morte e avere familiarità con esso è necessario che ogni operatore abbia consapevolezza del proprio rapporto con la morte
Il giovanilismo che caratterizza la società occidentale in cui viviamo è controcorrente rispetto al processo di accettazione di un percorso di fine vita. Soltanto ciò che in natura ha la capacità di morire può essere definito come “essere vivente”.
L’esperienza viene definita nel vocabolario come la conoscenza acquisita mediante il contatto con un determinato settore della realtà.In questo caso ciò che fa contatto sono le nostre paure.
Paura dell’ignoto e dello sconosciuto.
Come si fa ad un certo punto a conoscere ciò che non sarà mai conosciuto finché non ci tocca personalmente?
Non lo conosci, lo accetti nella sua più totale obnubilazione.
E quando lo accetti e nei sei consapevole stai celebrando la vita.
Cosa succederà? Onestamente: non lo so ancora. Lo scoprirò solo con l’esperienza.

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