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L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà

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L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà

    In Ucraina la guerra ferma tutto, eccetto l'utero in affitto che aumenta

    In Ucraina la guerra ferma tutto, eccetto l'utero in affitto che aumenta

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7790

    IN UCRAINA LA GUERRA FERMA TUTTO, ECCETTO L'UTERO IN AFFITTO CHE AUMENTA di Fabio Piemonte

    La guerra in Ucraina non ferma il business dell'utero in affitto nel Paese. Per il conflitto, ovviamente, si è fermato praticamente (o quasi) tutto: economia, vita sociale, lavoro, vita quotidiana. È, purtroppo, normale che sia così, come tutte le guerre. Quello che però è assurdo è ciò che non si è fermato: la maternità surrogata.
    Tale giro d'affari - nella seconda destinazione al mondo dopo gli Stati Uniti per le coppie che desiderino ricorrere a tale barbara pratica legalmente riconosciuta - non solo continua ma è persino aumentato, nonostante la guerra in corso. Sono infatti diverse le agenzie e cliniche che hanno raddoppiato il numero di pratiche prese in carico e quindi i loro introiti.
    Di qui più di 1.000 bambini sono nati da maternità surrogata dall'inizio della guerra alla fine del 2023, di cui 600 solo nella clinica di BioTexCom a Kiev. Le accuse di traffico di minori, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale contro il suo direttore, Albert Tochilovsky, risalenti agli anni 2018 e 2019, sono state inspiegabilmente archiviate.
    Desta scandalo anche il fatto che in Ucraina sia previsto per le madri gestanti un compenso che si aggira intorno ai 20.000 dollari netti (il costo complessivo da sostenere per i genitori committenti è invece compreso tra i 30.000 e i 50.000 dollari), in un contesto sociale in cui la retribuzione media annuale è di circa 5.000 dollari.
    Nonostante sussista tale appetibile e lauto incentivo allo sfruttamento delle donne - che chiaramente si prestano solo per ragioni economiche - diritti e doveri di "genitori" committenti e madri gestanti non sono definiti in modo chiaro né garantiti. Anche per questo motivo diverse cliniche hanno dichiarato di star incontrando parecchie difficoltà nella ricerca di nuove donne disponibili a entrare a far parte quali gestanti in questo circolo vizioso della maternità surrogata.
    Inoltre, a seguito dell'invasione russa, la condizione di tali "madri surrogate" si è ulteriormente aggravata. «Alcune cliniche hanno chiuso, per cui molte gestanti sono state trasferite in altre cliniche; una clinica ha consigliato alle stesse di abortire», ha rilevato al quotidiano Domani Susan Kersch-Kibler, fondatrice e direttrice del Delivering Dreams International Surragacy Agency.
    Alla luce di queste affermazioni risulta evidente come a chi sovrintenda alla gestione della maternità surrogata interessino soltanto i soldi dei genitori committenti. In nome dei loro profitti sono pronti a calpestare senza alcuno scrupolo sia i diritti delle gestanti (nel caso di specie, delle donne ucraine), sia il diritto alla vita del bambino in grembo in maniera ancor più tragica, il quale può essere abortito senza problemi se non dovesse soddisfare i desideri degli acquirenti.
    C'è infine da sottolineare un altro elemento significativo, ossia mentre da un lato l'Ucraina preme per entrare nell'Ue, dall'altro continua di fatto a contravvenire sistematicamente alla direttiva sul reato di sfruttamento della maternità surrogata che recentemente i Paesi membri hanno approvato.
    Insomma [...] c'è chi si sforza di trovare argomenti per ammantare di "eticità" una pratica assolutamente immorale, in quanto disumanizzante (quasi sia sufficiente una regolamentazione più stringente sul piano legale per renderla conseguentemente accettabile sul piano morale). [...]
    Tutto questo, ovviamente, tocca anche l'Italia. Ancora di più, infatti - proprio a seguito di queste oscene derive - sembra urgente, da parte del Senato, l'approvazione del disegno di legge (che è stato già approvato alla Camera) per rendere proprio l'utero in affitto reato universale, ovvero perseguibile anche se commesso...

    • 4 min
    La donna libera e indipendente un mito che fu creato a tavolino

    La donna libera e indipendente un mito che fu creato a tavolino

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7786

    LA DONNA LIBERA E INDIPENDENTE: UN MITO CHE FU CREATO A TAVOLINO di Marcello FoaCom'è strana e paradossale la società. Siamo persuasi di essere padroni delle nostre azioni, dei nostri gusti, dei modi di comportarci. Di essere liberi e indipendenti! La realtà però è più complessa e per molti versi inquietante. Come ha osservato brillantemente e con straordinaria preveggenza un grandissimo sociologo francese, Jaques Ellul, la tendenza all'individualizzazione crea una dissonanza cognitiva permanente. Mi spiego. La civiltà dei consumi e della grande urbanizzazione induce i cittadini a recidere i propri legami culturali, religiosi, familiari, da qualche tempo perfino l'identità sessuale, e a perdere il senso della comunità. Viviamo nel mito del superuomo e della superdonna, che spinge a sublimare esclusivamente il proprio io e induce a credere di compiere scelte consapevoli e molto intelligenti. «Io so quel che voglio e lo ottengo».
    È il trionfo dell'ego, che genera un'illusione. L'individuo ritiene di essere forte, in realtà è molto debole, perché isolato, quindi fragile, quindi facilmente influenzabile nelle sue scelte e nei suoi valori; alla fine i suoi costumi, i suoi valori (o presunti tali), i suoi smarrimenti esistenziali sono la risultanza della dissonanza fra quel che si crede di essere e quel che si è in realtà. Jacques Ellul era un pensatore cristiano, scomparve nel 1944, e non ha vissuto l'era digitale, ma viveva già in un Occidente dove attraverso la pubblicità, lo spettacolo, il cinema, la televisione, più in genere attraverso lo show biz si orientano i comportamenti delle masse attraverso tecniche che sono sconosciute ai più, ma che furono inventate dal nipote di Freud, Edward Bernays, poco meno di cento anni fa. Nel 1928, nel suo celebre saggio l'ingegneria del consenso, scriveva: «se capisci meccanismi e le logiche che regolano il comportamento di un gruppo, puoi controllare e irreggimentare le masse a tuo piacimento e a loro insaputa». Bernays, i cui studi peraltro ispirarono il capo della propaganda nazista Joseph Goebbels, operò soprattutto nel campo delle public relations industriali, con risultati indubbiamente spettacolari. Il suo primo "colpo" è passato alla storia.
    FILM E SETTIMANALI
    Qual è uno dei simboli più forti dell'emancipazione femminile? La donna che fuma. Non certo nell' Occidente di oggi dove, semmai, il tabacco viene giustamente osteggiato, ma fino a pochi anni fa indubbiamente sì. Chi ha i capelli grigi ricorda molto bene le copertine dei settimanali con le attrici famose che fumano una sigaretta sfoggiando uno sguardo intrigante, adornate da titoli di questo tenore: «Sì, io sono una donna libera». I cinefili possono evocare i tantissimi film in cui la protagonista fuma per vincere le proprie insicurezze (Bridget Jones), o per reggere lo stress di una battaglia morale (Erin Brockovich), o per liberarsi da un marito oppressivo e violento (Thelma & Louise). Fino a pochi anni fa anche le pellicole o le fiction dedicate agli adolescenti contenevano continui ammiccamenti per rendere mitologica e premiante la sigaretta. Per gran parte del secolo scorso fumare ha rappresentato un gesto di sfida e di affermazione della propria indipendenza in una società tradizionale, benpensante e restia a riconoscere la parità dei diritti. E io a lungo sono rimasto convinto che si trattasse di un fenomeno sociale spontaneo, solo in un secondo tempo recepito e rilanciato dal cinema, ma quando vent'anni fa ho iniziato i miei studi sulle tecniche di condizionamento mediatico sono stato costretto a ricredermi. Oggi quasi nessuno sa che il fumo come simbolo di ribellione femminile non fu affatto spontaneo, bensì fu inventato da Bernays. Naturalmente su commissione. Era il 1929 e per contrastare i frequenti attacchi...

    • 9 min
    I cellulari favoriscono il ricorso al sexting

    I cellulari favoriscono il ricorso al sexting

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7700

    I CELLULARI FAVORISCONO IL RICORSO AL SEXTING di Alessia Battini
    Sono sempre di più e sempre più sconvolgenti le minacce e le insidie del web, soprattutto per i ragazzi più giovani, che ormai lo vivono come qualcosa di completamente normale, senza riuscire a comprenderne i rischi e i pericoli. Un pericolo tanto più da denunciare in occasione del Safer Internet Day (SID), la giornata mondiale per la sicurezza in Rete, che si è celebrata ieri - 6 febbraio 2024 - in contemporanea in oltre 100 nazioni in tutto il mondo. Di recente sono aumentati i casi, riportati dai media, di ricatti e minacce compiuti per lo più nei confronti di ragazzine da parte dei loro coetanei, che hanno per oggetto la diffusione di foto senza vestiti, sia reali sia create tramite l'intelligenza artificiale.
    I cellulari favoriscono il ricorso al sexting, ovvero lo scambio di immagini intime, in alcuni casi anche tra minorenni, e a causa di questo stanno aumentando anche i casi di ricatti agli stessi adolescenti che le inviano in momenti di debolezza. In Canada la polizia ha dichiarato che le immagini vengono inviate anche da ragazzini di soli undici anni, il che significa che si tratta a tutti gli effetti di pornografia minorile.
    Si cominciano già a contare le vittime di questa terribile pratica. Proprio pochi anni fa, nel marzo del 2021, Mia, una ragazzina inglese di soli quattordici anni, si è suicidata nella sua abitazione situata nella zona nord-est di Londra. All'udienza tenutasi lo scorso gennaio, si è poi scoperto che nella scuola di Mia erano diversi i bambini che subivano bullismo sui social media come Tik Tok e Snapchat, e che alcuni ragazzi avevano creato una chat di gruppo per condividere scatti intimi delle compagne, in alcuni casi incollando i loro volti sui corpi delle pornostar per infastidirle.
    Sebbene non ci fossero prove che questa esperienza fosse stata vissuta anche da Mia, sicuramente l'atmosfera iper-sessualizzata e l'ossessione per l'aspetto fisico che pervadevano l'ambiente scolastico che lei stessa frequentava l'avrebbe immersa in un profondo disprezzo di sé. Lo dimostra anche una nota, scritta da Mia, letta in aula durante l'udienza: "Mi guardo. Sono così brutta. Non mi merito di vivere."
    Pare che situazioni di questo tipo siano più comuni di quanto pensiamo, infatti, secondo la giornalista di Vanity Fair Jo Sales, autrice del libro American Girls: Social Media and the Secret Lives of Teenagers, gruppi di questo tipo, dove si condividono scatti intimi, reali o creati tramite l'intelligenza artificiale, esistono in quasi tutte le scuole americane. Ovviamente questo causa un tormento non indifferente nelle vittime, che vivono questa vergogna nello stesso momento in cui sono costrette ad affrontare tutte le altre difficoltà tipiche della pubertà e dell'adolescenza.
    Il mondo in cui stanno crescendo questi ragazzi però, è stato creato dagli adulti, che quindi hanno la responsabilità di affrontarlo. I genitori di oggi non riescono a comprendere che i loro figli abitano in un mondo completamente digitalizzato, e quindi le difficoltà che incontrano sono molto diverse da quelle che ricordano della loro stessa infanzia. È necessario intervenire, impedendo ai bambini e agli adolescenti di utilizzare i cellulari ed educandoli all'utilizzo della tecnologia e ai pericoli della pornografia. Il sexting, che oggi viene vissuto come qualcosa di assolutamente normale, dovrebbe essere combattuto, così come le applicazioni che lo agevolano che andrebbero eliminate quando possibile. [...]

    • 4 min
    Il male non è frutto della troppa libertà

    Il male non è frutto della troppa libertà

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7701

    IL MALE NON E' FRUTTO DELLA TROPPA LIBERTA' di Roberto Marchesini
    C'è una tendenza chiara in questi ultimi anni: regole, divieti, sorveglianza scrupolosa anche grazie a volonterosi delatori. Togliamo la patente, vietiamo il barbecue, l'uso dell'automobile, censura contro le fake-news e i "discorsi di odio", denunciamo pubblicamente gli eserciti che non emettono lo scontrino, ci vogliono più leggi, regole più severe e applicazione più stringente.
    Eppure, più leggi ci sono, più la società sembra andare a rotoli: violenze, stupri, aggressioni, rapine, città sporche e sempre meno sicure. La soluzione proposta è come omeopatica: più leggi, più severità, più divieti! Questo atteggiamento mette d'accordo tutti: destra e sinistra.
    A tutti sarà capitato di sentire, a conclusione di un discorso sul degrado della società moderna, la frase :"C'è troppa libertà!". Sarà vero? Dubito fortemente e credo che questa tendenza indichi una progressiva "protestantizzazione" della nostra società tradizionalmente cattolica. Protestantizzazione che preluda alla sua dissoluzione, ovviamente. Mi spiego.
    Il punto di divaricazione tra cattolicesimo e protestantesimo è teologo, ma anche antropologico. Il ritiene che, dopo il peccato originale, l'uomo sia irrimediabilmente corrotto; che non possa fare il bene, ma solo il male. L'unico modo per fargli fare i bene è costringerlo con una serie di regole a fare il bene; limitare quindi sua libertà (di fare il male).
    Il cattolicesimo, invece, insegna che, l'uomo, dopo il peccato originale, è semplicemente inclinato al male. Cosa significa? Significa che "io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rm 7,19). Compio il male, ma non voglio: io voglio il bene. Il problema è che (a causa del peccato originale) è più facile fare il male che il bene; non è però impossibile fare il bene e, soprattutto, io voglio il bene, tendo al bene, sono orientato al bene.
    Cosa mi impedisce di fare il bene che voglio? Il peccato. Il peccato non è dunque, come ritengono i protestanti, il frutto della libertà; ma al contrario, di una libertà limitata dal peccato. Infatti "chi fa il peccato è schiavo", non libero. Se fossimo liberi dal peccato non faremmo tanto male, ma tanto bene; più libertà, meno male.
    Quindi "c'è troppa libertà" lasciamolo ai protestanti; semmai, ce n'è troppo poca, di vera libertà.
    Un'altra riflessione: senza libertà le nostre azioni non hanno un valore morale, sia nel male che nel bene.
    Partiamo dal male. Perché sia un peccato grave, occorrono tre condizioni:
    1) materia grave (violazione dei dieci comandamenti);
    2) piena avvertenza (cioè devo sapere che sto per fare un azione moralmente malvagia);
    3) deliberato consenso (cioè devo dare la mia libera adesione al male).
    La gravità di un peccato mortale dipende dal grado di libertà: più sono libero, più sono responsabile, e, quindi, colpevole. Meno sono libero (a causa di vizi, compulsioni o altri problemi psicologici) e meno sono responsabile e, quindi, colpevole. Un po' come la differenza tra un omicidio colposo (non voluto) e doloroso (cioè liberamente voluto): la pena è molto diversa.
    Questa cosa vale anche per il bene. Se io esco di casa e incontro una persona bisognosa, gli do qualche euro perché possa sostenersi; faccio, cioè, un'opera di misericordia corporale e ne guadagno un merito che spero di poter far valere nel giorno del giudizio particolare. Mettiamo invece il caso che quel bisognoso mi punti un coltello alla gola; io farei lo stesso gesto: aprirei il portafogli e gli darei qualche euro. Ma in quel caso non sarebbe un gesto di carità, perché io non sarei libero. Non avrei avuto la libertà di scegliere se compiere o meno quel gesto. Venendo meno la libertà, non avrei...

    • 5 min
    Lo sport fa bene... basta che non sia fitness

    Lo sport fa bene... basta che non sia fitness

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7653

    LO SPORT FA BENE... BASTA CHE NON SIA FITNESS di Roberto Marchesini
    Ai miei pazienti maschi consiglio spesso di trovare del tempo, in settimana, per dedicarsi a uno sport; non importa quale, basta che non sia fitness. Perché? Qual è la differenza tra queste due attività, in apparenza così simili? Partiamo dall'etimologia. Sport è la parola inglese per l'italiano "diporto", cioè divertimento. E il divertimento, ci ricorda san Tommaso, è necessario all'anima come il riposo è necessario al corpo (summa theolologiae, II-II, q.168,a.2). Anche fitness è una parola inglese e ha, almeno per me, uno strano sapore. In italiano si può tradurre con "idoneità", che significa l'essere in possesso dei requisiti richiesti per una certa attività. Quale attività? L'attività fisica stessa? Ovviamente no. Sono i requisiti necessari per sopravvivere e riprodursi. In questo senso, infatti, Darwin usava questa parola: la lotta per la sopravvivenza porta alla sopravvivenza del più idoneo; a far che? A sopravvivere e riprodursi, appunto. In sostanza, chi pratica il fitness (cioè che è magro, muscoloso, allenato...) avrebbe i requisiti per lasciare un'impronta ecologica su questa terra e perpetuare il proprio patrimonio genetico. E gli altri? Eh...
    ORIGINI NELL'ANTICA GRECIA
    Quando e dove nasce lo sport? Beh, è facile. Nasce nella culla della nostra civiltà, in Grecia, con lo scopo di preservare e migliorare l'attitudine al combattimento degli uomini. Corsa, lancio del peso o del giavellotto... tutte queste cose che si mettevano in pratica, fuori dallo stadio, in guerra. Lo sport nasce quindi come preparazione a morire nel modo allora considerato più nobile: in guerra. La stessa cosa vale per gli sport medievali, che erano una riproposizione incruenta (e va bene meno cruenta) della guerra: il calcio fiorentino, il palio di Siena, la giostra del saracino, la quintana...
    E gli sport moderni? Il rugby nacque nelle isole britanniche nel 1823; il calcio nello stesso luogo qualche anno più tardi, nel 1848; il polo idem, a cavallo tra Ottocento e Novecento, e via dicendo. Insomma gli sport inglesi nacquero nel periodo della cosiddetta pax britannica, quando cioè l'impero era stabilizzato e il problema era non far perdere ai giovani lo spirito guerresco che portato l'Inghilterra a dominare il mondo. Ecco, dunque, la nascita dello sport, un combattimento simulato che permette di tenere in allenamento il corpo e, soprattutto, le virtù guerresche.
    Stessa cosa negli Usa: baseball 1846, football 1861, basket1891, pallavolo 1895.
    Anche questi sport nacquero in un Paese guerriero in un periodo di pace.
    IL FITNESS È UN'AMERICANATA
    E il fitness? Quando nasce il fitness?
    Gli storici della disciplina fanno risalire anche il fitness ai Greci, come per lo sport, ma credo non sia corretto: lo sport non aveva come scopo la "forma fisica", ma era funzionale ad altro (come abbiamo visto). Diciamo che il proto-fitness nasce durante l'epoca dei nazionalisti, quando la salute e l'aspetto estetico della popolazione era l'indice di superiorità raziale rispetto agli altri popoli.
    Tuttavia, il fitness vero e proprio, che conosciamo noi, nasce negli Stati Uniti negli anni Settanta. Perché nasce, con quale scopo? Negli anni Settanta, in quella nazione, i medici cominciarono a riscontrare una serie di gravi problemi di salute legati al sovrappeso e all'obesità, in poche parole alla pessima alimentazione. Cosi, nel febbraio 1977, il governo pubblicò un documento intitolato Dietary goals for the United State (obbiettivi dietistici per gli Stati Uniti), nel quale i medici raccomandavano di mangiare meno e di ridurre le calorie individuando come responsabile del problema le soft drinks, le bevande zuccherate e gasate che gli americani consumavano in...

    • 10 min
    Bambini morti in palestina, aborti e cuori prelevati per il trapianto da persone vive

    Bambini morti in palestina, aborti e cuori prelevati per il trapianto da persone vive

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7606

    BAMBINI MORTI IN PALESTINA, ABORTI E CUORI PRELEVATI PER IL TRAPIANTO DA PERSONE VIVE di Roberto De Mattei
    Il mondo si commuove per i bambini che muoiono sotto le bombe in Palestina ma non versa lacrime per la piccola Indi, condannata a morte in Gran Bretagna dalle autorità dello Stato contro la volontà dei genitori. Ma perché questo può accadere? Perché la vita è considerata solo sotto l'aspetto materiale ed utilitaristico. Ci si dimentica che ogni uomo, anche un cerebroleso, vive perché ha un'anima e in quanto ha un'anima, ha una insopprimibile dignità, che comporta il diritto alla vita.
    Una delle ragioni per cui oggi un essere umano innocente può essere condannato a morte, va ricercata nel concetto di morte cerebrale, nato nel 1968, quando un'Università americana, quella di Harvard, propose una vera e propria rivoluzione antropologica.
    Fino a quella data al medico spettava accertare che la morte fosse avvenuta, individuarne le cause, ma non definirne l'esatto momento. L'accertamento avveniva attraverso il riscontro della definitiva cessazione delle funzioni vitali: la respirazione, la circolazione, l'attività del sistema nervoso.
    Nell'agosto del 1968 la Harvard Medical School, propose un nuovo criterio di accertamento della morte fondato su di un riscontro strettamente neurologico: la definitiva cessazione delle funzioni del cervello, definita "coma irreversibile".
    C'è uno stretto rapporto tra la definizione della morte cerebrale proposta dalla Harvard Medical School, nell'estate del 1968, e il primo trapianto di cuore di Chris Barnard del dicembre 1967.
    COSA PREVEDEVANO I TRAPIANTI DI CUORE
    I trapianti di cuore prevedevano che il cuore dell'espiantato battesse ancora, ovvero che, secondo i canoni della medicina tradizionale, egli fosse ancora vivo. L'espianto, in questo caso, equivaleva alla soppressione di una vita umana, sia pure compiuto "a fin di bene". La scienza poneva la morale di fronte a un drammatico quesito: è lecito sopprimere un malato, sia pure condannato a morte, o irreversibilmente leso, per salvare un'altra vita umana di "qualità" superiore?
    Di fronte a questo bivio, che avrebbe dovuto imporre un serrato confronto tra opposte teorie morali, quella tradizionale e quella neo-utilitaristica, l'Università di Harvard si assunse la responsabilità di una "ridefinizione" del concetto di morte che permettesse di aprire la strada ai trapianti, aggirando il problema etico.
    Per superare il problema, per proseguire sulla via dei trapianti, una strada che avrebbe salvato la vita a molti uomini, ma che si presentava anche come estremamente lucrosa per l'industria medica e farmaceutica, c'erano due possibilità: o si modificava la legge morale, rendendo lecita l'uccisione dell'innocente, o si modificava il criterio di accertamento della morte, definendo morto chi, fino a quel momento, era considerato dalla scienza vivo.
    La prima strada era quella di modificare la morale tradizionale, secondo cui non si può uccidere l'innocente, in nome di una nuova etica utilitaristica. La seconda strada, è quella della ridefinizione del concetto di vita, affermando che l'essere che si sopprime non è un essere umano . E' quanto accadde con la definizione di Harvard del 1968.
    DIFFUSIONE A MACCHIA D'OLIO
    La ridefinizione della morte di Harvard venne accettata in quasi tutti gli Stati americani e, in seguito, anche nella maggior parte dei Paesi cosiddetti sviluppati. In Italia, la "svolta" fu segnata dalla legge 29 dicembre 1993 n. 578 che all'art. 1 recita: «La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello».
    Si trattava di una Rivoluzione antropologica perché l'identificazione della morte con la cessazione di tutte le funzioni del cervello equivale...

    • 7 min

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