88 episodi

Calcio, cuore, passione, orgoglio, appartenenza. In un'unica parola: emozioni.

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    • 4,7 • 78 valutazioni

Calcio, cuore, passione, orgoglio, appartenenza. In un'unica parola: emozioni.

    La TRISTE storia di ADRIANO l'imperatore

    La TRISTE storia di ADRIANO l'imperatore

    La TRISTE storia di ADRIANO l'imperatore


    “Adriano! O garoto de 17 anos entrou no jogo e no primeiro lance empata a partida no Morumbi!”. Il telecronista brasiliano si esalta perché sul prato del Morumbi di San Paolo è nata la classica stella, il diamante grezzo ma purissimo, i cui margini di miglioramento si vedono a occhio nudo, e uno s'immagina il massimo. Qualcosa che forse può andare persino oltre Ronaldo il Fenomeno, che nel 2000 si trova nel pieno del suo personale calvario e qualcuno inizia a sospettare che ormai sia il passato. Il 6 febbraio 2000 Adriano debutta con la maglia rubro-negra del Flamengo in una partita valida per il Torneo Rio-Sao Paulo, lanciato in campo al posto di Mauro Fonseca detto Maurinho – con la A. L'idea dell'allenatore Paulo Cesar Carpegiani si ripaga all'istante, dopo pochi minuti, con il primo gol della carriera da professionista del non ancora Imperatore. Gli addetti ai lavori già lo conoscono, perché tre mesi prima, novembre 1999, ha fatto parte dei 18 convocati del Brasile ai Mondiali Under 17, in Nuova Zelanda, Mondiali vinti proprio dal Brasile in finale contro l'Australia: lui non ha mai segnato, ma è stato l'attaccante titolare della Seleçao in semifinale e in finale, in un'edizione senza grosse stelle, in cui il capocannoniere, il ghanese Ishmael Addo, avrà una carriera anonima spesa tra Israele, Cipro e India. E il numero 10 del Brasile si chiama Cacà, ma non è quello che pensate voi: si scrive con due C, c-a-c-a, e nemmeno lui farà grossa strada.

    Questo Adriano lo conosce anche l'Inter, che in Nuova Zelanda ha spedito un osservatore, Adelio Moro, che l'ha prontamente segnalato alla società. Potrebbe arrivare già nel gennaio 2001, su spinta ulteriore di Salvatore Bagni, ma la crisi economica in Sudamerica rallenta le operazioni e a quel punto l'Inter di Marco Tardelli, piuttosto male in arnese, preferisce puntare sull'usato sicuro, Marco Ferrante. Ma adesso, per immaginare i primi sei mesi dell'anno solare 2001, pensate a un montaggio alternato in cui, mentre il convalescente Ronaldo non gioca un solo minuto in partita ufficiale, e mentre l'Inter arranca tra risultati umilianti, contestazioni e motorini lanciati dal secondo anello, Adriano scala alla velocità della luce il suo personale Pan de Azùcar, il Pan di Zucchero che domina Rio de Janeiro. Sulla panchina del Flamengo è seduto ora una leggenda come Mario Zagallo, 70 anni, che addestra Adriano a diventare qualcosa di spaventoso. Al Mondiale Under 20 in Argentina, estate 2001, fa cose eccezionali: segna due gol all'Iraq, uno al Canada, due all'Australia, uno al Ghana. L'Inter capisce che non si può più aspettare e impalca col Flamengo un'operazione di fantasia carioca: una triangolazione con il Paris Saint Germain con cui detiene le due metà del brasiliano Vampeta, un pacco epocale che nell'Inter ha fatto in tempo a giocare otto partite ufficiali prima di sprofondare nell'oblio. Ma ecco che Vampeta torna utile: il Flamengo lo acquista scambiandolo con due giocatori. Così al PSG va l'attaccante Reinaldo, 22 anni, e all'Inter, appunto, va Adriano.

    • 30 min
    Inter-Borussia: LA LATTINA IN TESTA a Boninsegna che cancellò l’1-7

    Inter-Borussia: LA LATTINA IN TESTA a Boninsegna che cancellò l’1-7

    Nell'autunno del 2020, quando l'Inter di Antonio Conte li ha incontrati nel girone di Champions League, i tifosi del Borussia Monchengladbach hanno tenuto un comportamento un po' insolito, quasi eccessivo per i luoghi comuni di una curva del Nord Europa. Si sono radunati sotto l'hotel dell'Inter fino alle 4 del mattino, cantando cori e sparando fuochi d'artificio per tenerli svegli, e a un certo punto hanno esposto uno striscione: “Ricordati Inter: things go better with Coke”. Le cose vanno meglio con una Coca-Cola. Che strano. Guerrilla marketing? Pubblicità nemmeno tanto occulta? O è una battuta? E dov'è la battuta? Per capire l'inside joke, bisogna conoscere la storia. Una storia di quasi 50 anni prima.

    Nell'ottobre del 1971 il mondo ascolta per la prima volta “Imagine” di John Lennon, ma poi non sempre si comporta di conseguenza. Anche il mondo del calcio, anzi l'Europa del calcio, che si fa avvelenare da una battaglia legale senza precedenti. Il 20 ottobre 1971 l'Inter va a giocare a Monchengladbach la partita d'andata degli ottavi di Coppa dei Campioni, contro un Borussia
    travolgente che trionfa 7-1: ma l'Inter di fatto si è fermata dopo mezz'ora, quando Boninsegna è stato colpito da una lattina di Coca Cola lanciata dagli spalti, è stato portato fuori in barella e naturalmente è stato sostituito. Convinti di avere già partita vinta a tavolino, i giocatori dell'Inter hanno alzato le braccia dal manubrio e si sono lasciati sommergere. Ma a fine partita, con grande sorpresa, i dirigenti nerazzurri scoprono che i codici europei non funzionano come quelli italiani, e che non c'è alcun punto del regolamento che norma una situazione del genere. Insomma, varrà il risultato del campo: e l'Inter si è inconsapevolmente lasciata andare. 7-1. Bel guaio. E come si dice in questi casi?


    Ah sì: Better Call Prisco.

    • 22 min
    La magia del PESCARA di Galeone ||| Dal nulla al SOGNO

    La magia del PESCARA di Galeone ||| Dal nulla al SOGNO

    È esistito un tempo, prima dello streaming e di Livescore, prima degli spezzatini e delle Dirette Gol, prima di Sky e Tele+, in cui le partite di campionato si potevano seguire solo in tre modi: allo stadio, alla radio - Tutto il Calcio Minuto per Minuto - oppure al Televideo. E qui magari ai più giovani di voi dovrei spiegare che cos'è il Televideo, ma per non farla troppo lunga do per assodato che lo sappiate: si andava a pagina 202 e si rimaneva lì a fissare lo schermo, aspettando che i risultati delle varie partite si mettessero a lampeggiare, segno che era stato appena segnato un gol. Poi, per scoprire il marcatore, si andava nella pagina apposita della partita, e così via per tutto il pomeriggio. Bene, quel pomeriggio del 13 settembre 1992 il Televideo sembrava impazzito: lampeggiava di continuo come il cielo di un temporale estivo, e soprattutto una partita su nove sembrava fuori controllo.
    Pescara-Milan: l'unico primo tempo della storia della Serie A a essere finito 4-4.
    Metodo classico di sceneggiatura: si parte dal fondo, e poi si risale. Nel giugno del 1986, mentre in Messico un Diego sta trascinando l'Argentina al titolo Mondiale, in Abruzzo un altro Diego fa retrocedere il Pescara in Serie C all'ultimo minuto dell'ultima giornata: si chiama Diego Zanin ed è il numero 16 della Triestina, che vince all'Adriatico al 90' e fa sprofondare il povero Delfino in un futuro incertissimo, lontano dalla magia della Serie A che aveva assaporato sul finire degli anni Settanta. Però, per fortuna del Pescara, l'estate 86 non è solo l'estate di Maradona, ma anche del Totonero-bis, che travolge un pezzo di Serie A e mezza Serie B, compreso il Palermo, finito quintultimo e inoltre minato da una grave crisi economica che non gli farà superare l'estate. Il Pescara vive in apnea tutto luglio e agosto; formalmente è in Serie C, ma fissa speranzoso quella X inserita nei calendari di Serie B. Il direttore generale Franco Manni non vuole farsi troppe illusioni e ha allestito una rosa di ragazzini, con pochi reduci dall'ultima disgraziata stagione e un allenatore di 45 anni, pescato dalla SPAL, serie C1 girone A, dove allena da due anni e ha concluso la stagione al sesto posto, molto lontano dal Parma di Arrigo Sacchi che ha vinto il campionato. Ma di Giovanni Galeone c'è un dettaglio che ha colpito Manni: il primo anno a Ferrara aveva fatto due punti in sei partite, era stato esonerato, ma dopo un mese e mezzo i giocatori l'avevano rivoluto. I giocatori non stanno mai dalla parte dei silurati, quindi questo Galeone doveva avere dei numeri. Tre, in particolare: 4-3-3, il sistema di gioco con cui diverte e si distingue in una categoria paludata come la serie C, con il tridente Gustinetti-Bresciani-Trombetta in leggero anticipo di qualche anno sul Foggia di Zeman: “L'unico da cui ho copiato”, ammetterà sempre lui, “è stato il maestro Liedholm”.

    • 26 min
    La TRAGEDIA che sconvolse il mondo del calcio italiano ||| Il caso RE CECCONI

    La TRAGEDIA che sconvolse il mondo del calcio italiano ||| Il caso RE CECCONI

    “Ricordo il primo lancio col paracadute, a Pisa: eravamo affacciati dal portellone di un C-119, “Il vagone volante”. In cielo, a 500-600 metri d'altezza, prima di buttarci, Luciano si gira e mi fa: “Gigi, e se non si apre?”.

    (Luigi Martini)


    Un uragano biondo, travolgente: in campo un vulcano di dinamismo e intensità, un centrocampista all'olandese nella Lazio di Tommaso Maestrelli campione d'Italia 1974. Fuori dal campo una delle anime più forti e riconoscibili di uno spogliatoio spaccato anche fisicamente: lui fa parte della fazione di Gigi Martini e Mario Frustalupi, in fermissima opposizione a quella di Pino Wilson e Giorgio Chinaglia; e come tutti i calciatori del mondo, anche Luciano Re Cecconi ha mille soprannomi. Il più immediato è “Cecco”, la contrazione del cognome, che nella fantasia del giornalista del Corriere della Sera Franco Melli diventa “Cecco-Netzer”, per la somiglianza con Gunther Netzer, sublime fantasista della Nazionale tedesca. Il più gratificante è quello che gli ha regalato padre Antonio Lisandrini, il frate francescano che accompagna la squadra e ha celebrato il suo matrimonio con Cesarina. Lo chiama “il Saggio”, perché Re Cecconi è portatore sano di quella follia che scorre lungo la Lazio anni Settanta come un fiume in piena, ma in più ha conosciuto la vita vera: calzolaio fruttivendolo elettricista, assistente nell'autoofficina di suo cugino, prima di fare il salto nel calcio dei grandi, uno scudetto, due presenze in Nazionale, una convocazione pur senza mai scendere in campo ai Mondiali 1974. La pistola ce l'ha avuta anche lui, s'intende, come quasi tutti in quello spogliatoio in cui si spara un colpo di calibro 38 anche per spegnere la luce senz'alzarsi dal letto. “Alzati tu”. “No, alzati tu”. “Non mi va”. “Aspetta... bum”. “Buonanotte, domani mattina quando ti alzi fai attenzione ai vetri”. Il presidente Lenzini ha un conto aperto con l'hotel per i rimborsi di arredi e lampioni spaccati a colpi di arma da fuoco. Poi una sera Re Cecconi ha fatto finta di averne una in tasca, per fare uno scherzo, forse, non è chiaro, è tutto confuso, anzi non ha proprio senso. L'ultima sera di Luciano Re Cecconi è un pasticciaccio brutto che ha teatro non in via Merulana, come il romanzo di Gadda, ma in via Francesco Saverio Nitti, quartiere Fleming, una zona molto signorile di Roma Nord dove abitano calciatori, politici, giornalisti, funzionari pubblici, imprenditori. La Lazio ci respira le giornate, iniziandole e finendole al Caffé Fiocchetti, prima e dopo gli allenamenti a Tor di Quinto: qualche giorno a preparare il cappuccino ci puoi trovare persino Chinaglia. È lì che è stata scattata una delle foto di culto della Lazio anni Settanta: Chinaglia a capo chino che sta leggendo il giornale, e alle sue spalle una scritta sul muro: “Laziali Bastardi”.

    • 16 min
    L'incredibile TRIONFO all'ULTIMO SECONDO dell'Arsenal 1989 ||| Febbre a 90'

    L'incredibile TRIONFO all'ULTIMO SECONDO dell'Arsenal 1989 ||| Febbre a 90'

    Questa è una storia di uomini. Non per forza grandi uomini; ma uomini d'azione, che seppero farsi trovare pronti quando passò il treno, al posto giusto nel momento giusto. Sicuramente non grandi campioni: buonissimi giocatori sì, ma nessun fuoriclasse. Del resto l'Arsenal 1988-89 non ha aperto un ciclo – anzi, l'anno dopo non partecipò nemmeno alla Coppa dei Campioni, perché eravamo nel pieno dei cinque anni di squalifica che l'UEFA aveva inflitto al calcio inglese dopo la strage dell'Heysel. E nei 22 convocati dal ct Bobby Robson ai Mondiali di Italia 90 non ci sarà alcun giocatore dell'Arsenal. Una squadra che è riuscita a diventare generazionale per incredibile effetto di una sola notte, che poi è diventata un libro, che poi è diventato un film. E pensare che l'aggettivo che veniva in mente pensando all'Arsenal galleggiante tra gli anni 80 e i 90 era uno solo, sempre lo stesso: “boring”. E bisognerà aspettare il 1994 affinché i tifosi dell'Arsenal possano affinare la propria autoironia, e cantare loro il coro definitivo sul gioco forse cattivo ma terribilmente efficace di quei Gunners, sull'aria di “Go West” dei Village People: “One-nil, to the Arsenal”, 1-0 per l'Arsenal.

    • 22 min
    Alessandro Del Piero ||| Storia di una bandiera

    Alessandro Del Piero ||| Storia di una bandiera

    Stiamo dominando. Palo di Gilardino, traversa di Zambrotta: tutto nel giro di 90 secondi. Stiamo schiacciando i tedeschi in casa loro, a Dortmund, dove la Germania non ha mai perso nella sua storia, e Lippi decide che è il momento di osare: al minuto 104 fuori Perrotta e dentro Alex Del Piero, la quarta punta insieme a Gilardino, Totti e Iaquinta. Del Piero si sistema subito nella sua zona preferita, sull'esterno sinistro, e aspetta fiducioso che il pallone... arrivi. E siccome in mezzo al campo detta legge Andrea Pirlo, il pallone arriva. Sono le stesse zolle dello stesso prato su cui undici anni prima, il 13 settembre 1995, il 20enne Alex da San Vendemiano aveva segnato il primo gol “alla Del Piero” su suolo internazionale, in faccia al numero 3 del Borussia, uno dei più irriducibili mastini in circolazione in Europa: Jurgen Kohler, ex juventino. E il tavolo è apparecchiato per ripetere la stessa giocata, in faccia a un altro numero 3, Arne Friedrich, tra l'altro molto meno spigoloso di Kohler. Ma sono passati undici anni, Del Piero ha 31 anni, è entrato da meno di due minuti ma gli manca lo spunto, la freschezza nelle gambe, non riesce nemmeno a tirare. Troppi muscoli? Troppa polvere? Forse come sempre ha ragione Fabio Capello, che ormai ne ha fatto una riserva della Juventus, solo 17 partite da titolare nel campionato appena concluso, e poi panchine su panchine? Forse Alex Del Piero deve rassegnarsi all'autunno?
    Poche ore prima, nel tardo pomeriggio di quello stesso 4 luglio 2006, è andata in scena la requisitoria dell'accusa nel processo di primo grado a Calciopoli: e il procuratore federale Stefano Palazzi ha chiesto che la Juventus venga retrocessa in serie C1, con sei punti di penalizzazione. Si respira l'aria pesantissima della fine di un'era, e il dolore e la fatica di quei giorni pesano di più, se sei da anni il capitano di quella Juventus. Basta questo per giustificare quel mancato spunto? Forse no, forse stiamo facendo troppa poesia: in fondo Del Piero con la Nazionale se n'è sempre rimasto un po' in disparte, mai capitano, oscurato prima da Baggio, poi da Totti, senza più nemmeno la numero 10, e soprattutto senz'aver mai vinto niente. Però aspettiamo. Perché dovete sapere che una volta, Marcello Lippi ha detto: “Per buttare giù Del Piero, non basterebbe una mandria di tori”.

    • 33 min

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golli1177 ,

Ciao bro

Molto bello

ernesto pippomRia ,

La voce è tutto!

Top!!

Gianlu2104 ,

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