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La storia di KEVIN GARNETT ||| L’UOMO che ha RIVOLUZIONATO l’NBA Cronache di basket

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I nostri occhi si sono abituati a vedere il basket Nba in un certo modo. Un lungo di 2 metri e 10 che mette palla per terra come un esterno e arriva al ferro, o che tira dall’arco come uno specialista, non ci sorprende più. Siamo passati attraverso una rivoluzione dei corpi quasi senza accorgercene. Il concetto di ruolo resiste, ma i confini sono sempre più labili, confusi, impercettibili. Ammiriamo notte dopo notte degli atleti che non sono solamente dei freak atletici, ma anche portatori sani dei “sacri” fondamentali. Pensate al pallone che lascia la mano di Kevin Durant al momento del tiro: quanti gesti tecnici più puliti avete visto nel corso della vostra vita? Pensiamo alla sua struttura fisica, alla sua altezza, e portiamola indietro nel tempo, fino all’inizio degli anni Novanta. Che giocatore sarebbe stato? Come sarebbe stato incasellato? Una delle prime cose che ho letto sul conto di KD, in quelle schede pre-draft che ogni tanto spuntano sul web, era una frase lapidaria sul suo “best case scenario”, un giochino che molti analisti fanno per provare ad azzardare un paragone per un giocatore che sta entrando nella lega. Da una parte il “worst case”, ossia chi e cosa può diventare quel determinato atleta nel caso in cui tutto vada storto, e dall’altra il best case, l’allineamento perfetto dei pianeti. Quello di KD era “Tracy McGrady meets Kevin Garnett”. Ora, il titolo del video è già abbastanza chiaro, e non mi dilungherò oltre su Durant: non è lui il Kevin che ci interessa, non oggi almeno, ma vi garantisco che all’epoca immaginare una fusione tra KG e T-Mac era qualcosa di insensato. Quello che posso dirvi è che la storia che sto per raccontarvi, la storia di chi è stato e cosa ha rappresentato Kevin Garnett per l’Nba, racchiude tutto ciò che la lega più bella del mondo è diventata negli anni che hanno seguito il suo sbarco in Nba. Ha avuto tanti soprannomi, ma uno più di tutti ci aiuta a capire l’essenza reale di Kevin Garnett. The Revolution. KG nasce il 19 maggio del 1976 a Greenville, South Carolina. Prende il cognome da mamma Shirley, vista la rottura della relazione con il padre. Ma non è l’unica cosa che gli viene trasmessa dal sangue materno. Kevin cresce nel culto della disciplina, del rispetto delle regole, di una determinazione sconfinata. «Non era una madre affettuosa, non era brava negli abbracci o nel tenerti la mano. Ma era incredibile nel trasmettere un concetto: “Devi imparare a fare le cose per poi farcela da solo”. Era una leonessa che mi ha reso un leone». Il piccolo Kevin tiene in ordine la casa, falcia l’erba, taglia la legna. Tutto al suo posto, tutto nel massimo rispetto delle regole di mamma Shirley. Ancora oggi, entrare in casa di Garnett pare sia un’esperienza da “malati del pulito”. Impara tutto dalla donna che ne forgia il carattere. Le uniche fughe concesse a KG sono quelle della fantasia: è un bambino vivace, con una fervida immaginazione, e la sua camera da letto può essere il rifugio nel quale inventare storie fantastiche. Poi però c’è la realtà. Mamma Shirley, in alcuni fine settimana, prende Kevin e le sue due sorelle e porta tutta la famiglia ad Atlanta. Mostra loro le case più belle, le piante, gli alberi, la cura sopraffina di quelle case di città. È un altro modo per indicare la via ai suoi figli. «Kevin lavora duro, diventa intelligente, e riuscirai ad avere una casa come quella. La gente come noi può permettersi queste case, il comfort e il lusso non sono un privilegio unico dei bianchi». che io sentivo di avere.».

I nostri occhi si sono abituati a vedere il basket Nba in un certo modo. Un lungo di 2 metri e 10 che mette palla per terra come un esterno e arriva al ferro, o che tira dall’arco come uno specialista, non ci sorprende più. Siamo passati attraverso una rivoluzione dei corpi quasi senza accorgercene. Il concetto di ruolo resiste, ma i confini sono sempre più labili, confusi, impercettibili. Ammiriamo notte dopo notte degli atleti che non sono solamente dei freak atletici, ma anche portatori sani dei “sacri” fondamentali. Pensate al pallone che lascia la mano di Kevin Durant al momento del tiro: quanti gesti tecnici più puliti avete visto nel corso della vostra vita? Pensiamo alla sua struttura fisica, alla sua altezza, e portiamola indietro nel tempo, fino all’inizio degli anni Novanta. Che giocatore sarebbe stato? Come sarebbe stato incasellato? Una delle prime cose che ho letto sul conto di KD, in quelle schede pre-draft che ogni tanto spuntano sul web, era una frase lapidaria sul suo “best case scenario”, un giochino che molti analisti fanno per provare ad azzardare un paragone per un giocatore che sta entrando nella lega. Da una parte il “worst case”, ossia chi e cosa può diventare quel determinato atleta nel caso in cui tutto vada storto, e dall’altra il best case, l’allineamento perfetto dei pianeti. Quello di KD era “Tracy McGrady meets Kevin Garnett”. Ora, il titolo del video è già abbastanza chiaro, e non mi dilungherò oltre su Durant: non è lui il Kevin che ci interessa, non oggi almeno, ma vi garantisco che all’epoca immaginare una fusione tra KG e T-Mac era qualcosa di insensato. Quello che posso dirvi è che la storia che sto per raccontarvi, la storia di chi è stato e cosa ha rappresentato Kevin Garnett per l’Nba, racchiude tutto ciò che la lega più bella del mondo è diventata negli anni che hanno seguito il suo sbarco in Nba. Ha avuto tanti soprannomi, ma uno più di tutti ci aiuta a capire l’essenza reale di Kevin Garnett. The Revolution. KG nasce il 19 maggio del 1976 a Greenville, South Carolina. Prende il cognome da mamma Shirley, vista la rottura della relazione con il padre. Ma non è l’unica cosa che gli viene trasmessa dal sangue materno. Kevin cresce nel culto della disciplina, del rispetto delle regole, di una determinazione sconfinata. «Non era una madre affettuosa, non era brava negli abbracci o nel tenerti la mano. Ma era incredibile nel trasmettere un concetto: “Devi imparare a fare le cose per poi farcela da solo”. Era una leonessa che mi ha reso un leone». Il piccolo Kevin tiene in ordine la casa, falcia l’erba, taglia la legna. Tutto al suo posto, tutto nel massimo rispetto delle regole di mamma Shirley. Ancora oggi, entrare in casa di Garnett pare sia un’esperienza da “malati del pulito”. Impara tutto dalla donna che ne forgia il carattere. Le uniche fughe concesse a KG sono quelle della fantasia: è un bambino vivace, con una fervida immaginazione, e la sua camera da letto può essere il rifugio nel quale inventare storie fantastiche. Poi però c’è la realtà. Mamma Shirley, in alcuni fine settimana, prende Kevin e le sue due sorelle e porta tutta la famiglia ad Atlanta. Mostra loro le case più belle, le piante, gli alberi, la cura sopraffina di quelle case di città. È un altro modo per indicare la via ai suoi figli. «Kevin lavora duro, diventa intelligente, e riuscirai ad avere una casa come quella. La gente come noi può permettersi queste case, il comfort e il lusso non sono un privilegio unico dei bianchi». che io sentivo di avere.».

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