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Il Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria: Canova, Foscolo, i Sepolcri Arte Svelata

    • Arts

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Nel 1798, quando a Roma s’instaurò la Repubblica romana, lo scultore Antonio Canova (1757-1822), il più autorevole esponente del Neoclassicismo europeo, compì un viaggio in Austria e in Germania. Fu a Vienna che lo scultore ricevette dal duca Alberto di Sassonia la commissione di un mausoleo per la moglie, Maria Cristina d’Austria (figlia dell’imperatrice Maria Teresa), morta quello stesso anno. I lavori per questo complesso monumento, che fu collocato nella Chiesa degli Agostiniani, durarono ben sette anni e terminarono solo nel 1805.

Il Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria è l’opera che, in modo più efficace, esprime l’ideale canoviano di monumento funebre. Riprendendo un’idea che aveva già elaborato dal 1790 al 1795 per un mausoleo in onore di Tiziano, poi non realizzato, l’artista propose una composizione semplice, con una serie di simboli immediatamente comprensibili.

Una piramide e un corteo

Davanti a una piramide bianca, alta più di cinque metri, si snoda un gruppo di figure che si dirige verso una porta, aperta e oscura, che dà sul niente, in un vuoto al di là della forma. Sull’architrave dell’ingresso possiamo leggere: uxori optimae Albertus (‘Alberto alla sua ottima moglie’).

In alto, la figura della Felicità, accompagnata da un putto alato con un ramo di palma, regge un ritratto a bassorilievo di Maria Cristina incorniciato da un uroburo, ossia un serpente che si morde la coda, simbolo dell’eternità e del continuo rigenerarsi della vita.

A destra, il Genio della morte si appoggia sconsolato a un leone, simbolo della forza morale. Sul lato opposto, una dolente processione sale una breve gradinata e si appresta a varcare la buia apertura. Tale corteo è composto dalla Pietà (o forse la Virtù), accompagnata da due fanciulle, che porta nel sepolcro le ceneri della defunta, contenute entro un’urna.

In coda, la Beneficenza conduce un vecchio cieco dalle gambe incerte, affiancato a sinistra da una bambina seminascosta. Un sottilissimo drappo collega l’interno con l’esterno e simboleggia il fluire del tempo, l’unico che può trascorrere al di là della soglia della morte.

Una metafora sulla morte

Il monumento offre due chiavi di lettura. I personaggi che stanno entrando fisicamente dentro la piramide costituiscono un corteo che accompagna le ceneri della donna nella tomba (conservate nell’urna che la donna in primo piano tiene fra le mani): essi, insomma, stanno compiendo una cerimonia funebre, per rendere omaggio alla defunta. Al contempo, la scena si può leggere come un’allegoria della morte in sé; in questo caso il gruppo, che procede lentamente verso la soglia dell’eterno riposo, rappresenterebbe le tre età dell’uomo, quindi l’umanità in sé stessa.

L’opera affronterebbe, insomma, un tema universale, sarebbe un lamento stoico, ma emotivamente toccante, sulla morte che coinvolge ogni uomo e ogni donna. La sequenza dei personaggi che costituiscono il corteo, fornisce, inoltre, una occasione per riflettere sul criterio per noi incomprensibile con cui la Morte agisce. La prima a varcare la soglia dell’Oltretomba è una ragazzina, mentre il vecchio, che avanza stanco e malato, chiaramente giunto al termine della sua esistenza, probabilmente desideroso di porvi fine al più presto, è obbligato a rimanere più a lungo su questo mondo, nella propria condizione di dolore e patimento.

Una visione laica della morte

Canova riconobbe alle tombe e al loro culto devoto un compito prima di tutto umano, morale, civile e patriottico. Per questo, egli evitò, quando poté, di adottare i tradizionali simboli cristiani di morte, così largamente usati durante la precedente età barocca: la croce, per esempio, e soprattutto il motivo dello scheletro, tanto caro al Bernini, che Canova sostituisce, nel monumento a Maria Cristina, con Thanatos, la personificazione greca della Morte.

Anche il poeta e drammaturgo tedesco Friedrich Schiller (1

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Nel 1798, quando a Roma s’instaurò la Repubblica romana, lo scultore Antonio Canova (1757-1822), il più autorevole esponente del Neoclassicismo europeo, compì un viaggio in Austria e in Germania. Fu a Vienna che lo scultore ricevette dal duca Alberto di Sassonia la commissione di un mausoleo per la moglie, Maria Cristina d’Austria (figlia dell’imperatrice Maria Teresa), morta quello stesso anno. I lavori per questo complesso monumento, che fu collocato nella Chiesa degli Agostiniani, durarono ben sette anni e terminarono solo nel 1805.

Il Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria è l’opera che, in modo più efficace, esprime l’ideale canoviano di monumento funebre. Riprendendo un’idea che aveva già elaborato dal 1790 al 1795 per un mausoleo in onore di Tiziano, poi non realizzato, l’artista propose una composizione semplice, con una serie di simboli immediatamente comprensibili.

Una piramide e un corteo

Davanti a una piramide bianca, alta più di cinque metri, si snoda un gruppo di figure che si dirige verso una porta, aperta e oscura, che dà sul niente, in un vuoto al di là della forma. Sull’architrave dell’ingresso possiamo leggere: uxori optimae Albertus (‘Alberto alla sua ottima moglie’).

In alto, la figura della Felicità, accompagnata da un putto alato con un ramo di palma, regge un ritratto a bassorilievo di Maria Cristina incorniciato da un uroburo, ossia un serpente che si morde la coda, simbolo dell’eternità e del continuo rigenerarsi della vita.

A destra, il Genio della morte si appoggia sconsolato a un leone, simbolo della forza morale. Sul lato opposto, una dolente processione sale una breve gradinata e si appresta a varcare la buia apertura. Tale corteo è composto dalla Pietà (o forse la Virtù), accompagnata da due fanciulle, che porta nel sepolcro le ceneri della defunta, contenute entro un’urna.

In coda, la Beneficenza conduce un vecchio cieco dalle gambe incerte, affiancato a sinistra da una bambina seminascosta. Un sottilissimo drappo collega l’interno con l’esterno e simboleggia il fluire del tempo, l’unico che può trascorrere al di là della soglia della morte.

Una metafora sulla morte

Il monumento offre due chiavi di lettura. I personaggi che stanno entrando fisicamente dentro la piramide costituiscono un corteo che accompagna le ceneri della donna nella tomba (conservate nell’urna che la donna in primo piano tiene fra le mani): essi, insomma, stanno compiendo una cerimonia funebre, per rendere omaggio alla defunta. Al contempo, la scena si può leggere come un’allegoria della morte in sé; in questo caso il gruppo, che procede lentamente verso la soglia dell’eterno riposo, rappresenterebbe le tre età dell’uomo, quindi l’umanità in sé stessa.

L’opera affronterebbe, insomma, un tema universale, sarebbe un lamento stoico, ma emotivamente toccante, sulla morte che coinvolge ogni uomo e ogni donna. La sequenza dei personaggi che costituiscono il corteo, fornisce, inoltre, una occasione per riflettere sul criterio per noi incomprensibile con cui la Morte agisce. La prima a varcare la soglia dell’Oltretomba è una ragazzina, mentre il vecchio, che avanza stanco e malato, chiaramente giunto al termine della sua esistenza, probabilmente desideroso di porvi fine al più presto, è obbligato a rimanere più a lungo su questo mondo, nella propria condizione di dolore e patimento.

Una visione laica della morte

Canova riconobbe alle tombe e al loro culto devoto un compito prima di tutto umano, morale, civile e patriottico. Per questo, egli evitò, quando poté, di adottare i tradizionali simboli cristiani di morte, così largamente usati durante la precedente età barocca: la croce, per esempio, e soprattutto il motivo dello scheletro, tanto caro al Bernini, che Canova sostituisce, nel monumento a Maria Cristina, con Thanatos, la personificazione greca della Morte.

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