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Ristoranti, bar e alberghi abbandonati a se stessi: la categoria non ha voce ai piani alti Italia a Tavola - Il punto di Alberto Lupini

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Fra maltempo e polemiche tra i politici, la riapertura di bar e ristoranti non avviene nel migliore dei modi. È vero che si potrebbe traslare il detto “sposa bagnata, sposa fortunata…”, ma in questo momento terribile, con molte imprese ormai in ginocchio, e tante che hanno gettato la spugna, ci saremmo aspettati un clima ben più sereno e all’insegna di certezze. E invece, anche stavolta, la politica ci sa dare solo il peggio di se stessa, incapace di prendere decisioni chiare e tirata per la giacca dalla burocrazia, dai tecnici o dalla demagogia.

Dalla gestione del coprifuoco ai consumi vietati al bancone, è purtroppo tutto un rincorrersi di polemiche, smentite e prese di posizione che lasciano stupiti. Sembrano discorsi fra marziani, oppure litigi fra giocatori di Risiko che considerano i pubblici esercizi come pedine o territori da conquistare a Risiko.

Perché distruggere la poca speranza che si sta ritrovando?
È ben vero che la situazione è ancora più che complicata e qualunque cosa si decida si rischia di sbagliare, ma un po’ di chiarezza e unità d’intenti non guasterebbe. Certo serve prudenza perché fra morti, contagi e ricoveri in ospedale siamo ai livelli di novembre (quando si decise di chiudere, non certo di allentare i vincoli...). Ma è anche vero che andiamo verso la bella stagione e giorno dopo giorno cresce il numero dei vaccinati. Insomma, se si comincia a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel, perché rovinarci anche quel minimo di speranza che possiamo ritrovare?

In gioco non c’è solo il futuro di decine di migliaia di aziende e di centinaia di migliaia di famiglie che in molti casi sono alla disperazione. C’è in ballo un mondo di attività e professionalità che rappresenta, più di ogni altra realtà, lo spirito dello stile di vita italiano. I nostri bar, i ristoranti, le pizzerie o le pasticcerie non sono solo “locali”, sono il simbolo di una nostra cultura antica dell’accoglienza e del vivere “bene”. Sono i terminali della filiera agroalimentare di qualità, i custodi delle nostre tradizioni famigliari o di comunità, i simboli di territori, arte e paesaggio. E insieme agli hotel sono l’esercito di quel turismo che da solo è la più importante “industria” del nostro Paese.

Questo mondo però, come andiamo denunciando da anni, non ha un referente istituzionale. Le sue competenze sono frazionate fra troppi ministeri e amministrazioni regionali, ognuno dei quali pensa più ai divieti o alle sanzioni che non a fare funzionare meglio il comparto. Ne abbiamo avuta la dimostrazione esplicita in questi giorni: oltre ad uno scontro politico fra destra e sinistra su come e quando allentare i vincoli, abbiamo assistito all’esplosione del caos più totale, senza che ci fosse una sola sede in cui definire regole e protocolli. Nessuno si è preso questa responsabilità, nemmeno il ministro del Turismo, la cui nomina aveva acceso tante speranze. Ed ecco che i partiti sguazzano in questa palude, in questa terra di nessuno...

E comunque all’interno i clienti non dovrebbero proprio poter entrare fino al 1° giugno. Che senso avrebbe altrimenti la circolare del ministero degli Interni che vieta ai bar che non hanno dehors di servire al bancone, anche se pochi clienti, distanziati, per evitare che si ammassino sul marciapiede? E ciò ovviamente vale anche per chi ha lo spazio aperto, ma magari piove. E ancora più sconcertante è che non si può servire al bancone nemmeno all’aperto. Sarà curioso capire come potranno lavorare adesso i bar di piscine o stabilimenti balneari... E soprattutto, chi controllerà se lì si rispetta la circolare del Viminale?

Ma nonostante queste aberrazioni ai politici piace litigare sul coprifuoco (in vigore tuttora anche a Londra...). E qui la politica sembra dare il peggio di sé. Salvini e Letta si invitano reciprocamente ad uscire dal governo (quasi che “riaprire” sia obiettivo di destra o di sinistra, assurdo!). La ministra

Fra maltempo e polemiche tra i politici, la riapertura di bar e ristoranti non avviene nel migliore dei modi. È vero che si potrebbe traslare il detto “sposa bagnata, sposa fortunata…”, ma in questo momento terribile, con molte imprese ormai in ginocchio, e tante che hanno gettato la spugna, ci saremmo aspettati un clima ben più sereno e all’insegna di certezze. E invece, anche stavolta, la politica ci sa dare solo il peggio di se stessa, incapace di prendere decisioni chiare e tirata per la giacca dalla burocrazia, dai tecnici o dalla demagogia.

Dalla gestione del coprifuoco ai consumi vietati al bancone, è purtroppo tutto un rincorrersi di polemiche, smentite e prese di posizione che lasciano stupiti. Sembrano discorsi fra marziani, oppure litigi fra giocatori di Risiko che considerano i pubblici esercizi come pedine o territori da conquistare a Risiko.

Perché distruggere la poca speranza che si sta ritrovando?
È ben vero che la situazione è ancora più che complicata e qualunque cosa si decida si rischia di sbagliare, ma un po’ di chiarezza e unità d’intenti non guasterebbe. Certo serve prudenza perché fra morti, contagi e ricoveri in ospedale siamo ai livelli di novembre (quando si decise di chiudere, non certo di allentare i vincoli...). Ma è anche vero che andiamo verso la bella stagione e giorno dopo giorno cresce il numero dei vaccinati. Insomma, se si comincia a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel, perché rovinarci anche quel minimo di speranza che possiamo ritrovare?

In gioco non c’è solo il futuro di decine di migliaia di aziende e di centinaia di migliaia di famiglie che in molti casi sono alla disperazione. C’è in ballo un mondo di attività e professionalità che rappresenta, più di ogni altra realtà, lo spirito dello stile di vita italiano. I nostri bar, i ristoranti, le pizzerie o le pasticcerie non sono solo “locali”, sono il simbolo di una nostra cultura antica dell’accoglienza e del vivere “bene”. Sono i terminali della filiera agroalimentare di qualità, i custodi delle nostre tradizioni famigliari o di comunità, i simboli di territori, arte e paesaggio. E insieme agli hotel sono l’esercito di quel turismo che da solo è la più importante “industria” del nostro Paese.

Questo mondo però, come andiamo denunciando da anni, non ha un referente istituzionale. Le sue competenze sono frazionate fra troppi ministeri e amministrazioni regionali, ognuno dei quali pensa più ai divieti o alle sanzioni che non a fare funzionare meglio il comparto. Ne abbiamo avuta la dimostrazione esplicita in questi giorni: oltre ad uno scontro politico fra destra e sinistra su come e quando allentare i vincoli, abbiamo assistito all’esplosione del caos più totale, senza che ci fosse una sola sede in cui definire regole e protocolli. Nessuno si è preso questa responsabilità, nemmeno il ministro del Turismo, la cui nomina aveva acceso tante speranze. Ed ecco che i partiti sguazzano in questa palude, in questa terra di nessuno...

E comunque all’interno i clienti non dovrebbero proprio poter entrare fino al 1° giugno. Che senso avrebbe altrimenti la circolare del ministero degli Interni che vieta ai bar che non hanno dehors di servire al bancone, anche se pochi clienti, distanziati, per evitare che si ammassino sul marciapiede? E ciò ovviamente vale anche per chi ha lo spazio aperto, ma magari piove. E ancora più sconcertante è che non si può servire al bancone nemmeno all’aperto. Sarà curioso capire come potranno lavorare adesso i bar di piscine o stabilimenti balneari... E soprattutto, chi controllerà se lì si rispetta la circolare del Viminale?

Ma nonostante queste aberrazioni ai politici piace litigare sul coprifuoco (in vigore tuttora anche a Londra...). E qui la politica sembra dare il peggio di sé. Salvini e Letta si invitano reciprocamente ad uscire dal governo (quasi che “riaprire” sia obiettivo di destra o di sinistra, assurdo!). La ministra

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