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Tutto quello che è successo dopo alcuni dei più noti casi di cronaca nera italiana. Una storia ogni mese, il primo del mese. Un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.

  1. 1 DAY AGO

    Carbonia, 28 giugno 1989 – Prima parte

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post. Gisella Orrù, 16 anni, scomparve a Carbonia, in Sardegna, la sera del 28 giugno 1989. Nonostante la denuncia di scomparsa non furono avviate ricerche da parte di polizia e carabinieri. Il suo corpo venne ritrovato il 7 luglio in fondo a un sifone collegato alla condotta idrica, nella campagna di San Giovanni Suergiu. Era stata assassinata con una stilettata al cuore, l’autopsia rivelò i segni di una brutale violenza sessuale. Anche come avvenne realmente il ritrovamento non è mai stato del tutto chiarito. Tutta l’indagine fu accompagnata da telefonate anonime, soprattutto da parte di una donna. Incredibilmente i nastri di quelle telefonate furono persi o forse sovrascritti. In seguito ad alcune di quelle telefonate furono arrestate quattro persone: una di loro, Salvatore Pirosu, amico della famiglia Orrù, ammise di essere stato presente la sera del delitto ma disse di non aver partecipato all’omicidio. Accusò le altre tre persone e in particolare un uomo, Licurgo Floris. Le dichiarazioni di Pirosu furono però spesso contraddittorie, piene di "non ricordo", con importanti particolari inverosimili. L’arma delitto non venne mai trovata e i risultati dell’autopsia si scontrarono con la sua ricostruzione. La famiglia di Gisella Orrù è sempre stata convinta, così come lo sono giornalisti che seguirono la vicenda, che Pirosu coprisse altri nomi, personaggi di Carbonia che avevano sequestrato o attirato con l’inganno Gisella Orrù così come avevano già fatto altre volte, secondo questa ipotesi, con altre ragazze. Salvatore Pirosu e Licurgo Floris furono condannati rispettivamente a 24 e 30 anni di reclusione. Floris si è ucciso in carcere nel 2007 dopo 14 anni di detenzione. Si era sempre dichiarato innocente. Salvatore Pirosu dopo la sua liberazione è invece scomparso. A Carbonia, e in generale in Sardegna, tutti ricordano l’omicidio di Gisella Orrù. Molti sono tuttora convinti che tanti aspetti di quella vicenda non siano stati in realtà scoperti. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    47 min
  2. 1 DAY AGO

    Carbonia, 28 giugno 1989 – Seconda parte

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post. Gisella Orrù, 16 anni, scomparve a Carbonia, in Sardegna, la sera del 28 giugno 1989. Nonostante la denuncia di scomparsa non furono avviate ricerche da parte di polizia e carabinieri. Il suo corpo venne ritrovato il 7 luglio in fondo a un sifone collegato alla condotta idrica, nella campagna di San Giovanni Suergiu. Era stata assassinata con una stilettata al cuore, l’autopsia rivelò i segni di una brutale violenza sessuale. Anche come avvenne realmente il ritrovamento non è mai stato del tutto chiarito. Tutta l’indagine fu accompagnata da telefonate anonime, soprattutto da parte di una donna. Incredibilmente i nastri di quelle telefonate furono persi o forse sovrascritti. In seguito ad alcune di quelle telefonate furono arrestate quattro persone: una di loro, Salvatore Pirosu, amico della famiglia Orrù, ammise di essere stato presente la sera del delitto ma disse di non aver partecipato all’omicidio. Accusò le altre tre persone e in particolare un uomo, Licurgo Floris. Le dichiarazioni di Pirosu furono però spesso contraddittorie, piene di "non ricordo", con importanti particolari inverosimili. L’arma delitto non venne mai trovata e i risultati dell’autopsia si scontrarono con la sua ricostruzione. La famiglia di Gisella Orrù è sempre stata convinta, così come lo sono giornalisti che seguirono la vicenda, che Pirosu coprisse altri nomi, personaggi di Carbonia che avevano sequestrato o attirato con l’inganno Gisella Orrù così come avevano già fatto altre volte, secondo questa ipotesi, con altre ragazze. Salvatore Pirosu e Licurgo Floris furono condannati rispettivamente a 24 e 30 anni di reclusione. Floris si è ucciso in carcere nel 2007 dopo 14 anni di detenzione. Si era sempre dichiarato innocente. Salvatore Pirosu dopo la sua liberazione è invece scomparso. A Carbonia, e in generale in Sardegna, tutti ricordano l’omicidio di Gisella Orrù. Molti sono tuttora convinti che tanti aspetti di quella vicenda non siano stati in realtà scoperti. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    56 min
  3. Milano, 12 dicembre 1969

    10/12/2024

    Milano, 12 dicembre 1969

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post. Se hai già un abbonamento, puoi regalare il Post: significa regalare i podcast, le newsletter e tutto il sito senza pubblicità. Per un anno intero. Il Post lo facciamo insieme, e più siamo meglio è. Il 12 dicembre 1969 alle 16:37 una bomba esplose all’interno della Banca nazionale dell’agricoltura, in piazza Fontana, a Milano. Un uomo aveva posizionato una valigetta contenente l’ordigno sotto il grande tavolo al centro del salone. Morirono 13 persone, altre tre nei giorni successivi. Un uomo morì un anno dopo, per le conseguenze di quell’esplosione. Fu l’inizio di quella che poi venne chiamata strategia della tensione. Lo stesso giorno altri ordigni esplosero a Roma mentre a Milano fu rinvenuto un ordigno inesploso in una banca di piazza della Scala. Già poche ore dopo l’esplosione la polizia eseguì molti fermi di persone appartenenti all’area anarchica, in particolare militanti del circolo milanese Ponte della Ghisolfa. Tra i fermati, trattenuto in questura per oltre 70 ore senza che ci fosse alcun provvedimento da parte dei magistrati, ci fu il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli. La sera del 15 dicembre, Pinelli precipitò dal quarto piano della questura, dalla finestra dell’ufficio dove lo stavano interrogando. Ci furono anni di processi, nell’ultima sentenza fu scritto che Pinelli era precipitato per quello che venne definito «un malore attivo».Lo stesso giorno della morte di Pinelli, il 15 dicembre, fu arrestato un altro anarchico, Pietro Valpreda. Fu indicato da subito come l’uomo che aveva messo la bomba. I giornali lo descrissero, senza che venisse avanzato nessun dubbio, come “il mostro”. Contro di lui c’era la testimonianza di un tassista, Cornelio Rolandi, che disse di averlo caricato in piazza Beccaria, a poco più di 200 metri dalla banca nazionale dell’agricoltura, e di averlo lasciato in una via anch’essa molto vicina al luogo dell’attentato. Secondo questa ricostruzione l’attentatore avrebbe quindi preso un taxi per non percorre a piedi meno di cinque minuti di strada. Il confronto tra Valpreda e il tassista avvenne in maniera grottesca e falsata.Solo nel 1972, a tre anni dalla strage, emersero gli elementi che portarono a individuare come presunti autori dell’attentato di piazza Fontana un gruppo di neofascisti padovani e in particolare Franco Freda e Giovanni Ventura. Emerse anche la figura di Guido Giannettini, giornalista, neonazista, e agente del servizio segreto militare: secondo gli inquirenti veneti aveva svolto il compito di collegamento tra i neofascisti e i servizi segreti, ma vennero assolti al termine di un lungo processo. Anni più tardi un giudice milanese, Guido Salvini, riaprì le indagini e individuò come responsabili della strage gli appartenenti alla cellula veneta del movimento fascista Ordine Nuovo, tra questi anche Franco Freda e Giovanni Ventura che non poterono essere processati in base al principio del ne bis in idem: non può essere processato chi è già stato condannato o assolto per lo stesso fatto.La sentenza finale stabilì però che pur non essendoci prove sufficienti a condannare gli autori materiali dell’attentato, la strage del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana era stata programmata e attuata dai neofascisti di OrdineNuovo, e le indagini depistate dei servizi segreti e di altri apparati dello Stato. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    10 min
  4. 01/12/2024

    Chiavenna, 6 giugno 2000 - Prima parte

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post. La sera del 6 giugno 2000 a Chiavenna, in provincia di Sondrio, venne assassinata una suora, Maria Laura Mainetti. Fu colpita violentemente alla testa più volte, con una pietra, e poi accoltellata. Dopo meno di un mese vennero arrestate e incriminate tre ragazze, due di 17 anni e una di 16. Confessarono velocemente. Fu difficile cercare di comprendere il movente, capire perché tre adolescenti fossero diventate assassine. Sia nel corso delle indagini sia nei processi che seguirono si parlò di satanismo, in particolare di satanismo giovanile, o acido, inteso come massima forma di trasgressione. Furono le tre ragazze a parlare di sedute spiritiche, fascinazione, patti di sangue, riti improvvisati, feroci e grotteschi. Ma parlarono soprattutto di noia, di mancanza di progetti, di ricerca a ogni costo di emozioni, anche le più distruttive e violente. I processi alle tre ragazze di Chiavenna furono seguitissimi e la conclusione provocò notevoli polemiche. La giustizia minorile ha presupposti, modalità e anche entità delle pene diverse dalla Giustizia ordinaria. Al centro delle polemiche furono soprattutto le perizie psichiatriche a cui furono sottoposte le tre indagate. Mentre per gli adulti la capacità di intendere e di volere è presunta, e al limite va dimostrato che non ci sia stata, per la Giustizia minorile avviene di fatto il contrario: la capacità di intendere e di volere va preventivamente dimostrata. Ed è su questo che si incentrarono i processi, con risultati molto diversi tra primo e secondo grado. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    49 min
  5. 01/12/2024

    Chiavenna, 6 giugno 2000 - Seconda parte

    La sera del 6 giugno 2000 a Chiavenna, in provincia di Sondrio, venne assassinata una suora, Maria Laura Mainetti. Fu colpita violentemente alla testa più volte, con una pietra, e poi accoltellata. Dopo meno di un mese vennero arrestate e incriminate tre ragazze, due di 17 anni e una di 16. Confessarono velocemente. Fu difficile cercare di comprendere il movente, capire perché tre adolescenti fossero diventate assassine. Sia nel corso delle indagini sia nei processi che seguirono si parlò di satanismo, in particolare di satanismo giovanile, o acido, inteso come massima forma di trasgressione. Furono le tre ragazze a parlare di sedute spiritiche, fascinazione, patti di sangue, riti improvvisati, feroci e grotteschi. Ma parlarono soprattutto di noia, di mancanza di progetti, di ricerca a ogni costo di emozioni, anche le più distruttive e violente. I processi alle tre ragazze di Chiavenna furono seguitissimi e la conclusione provocò notevoli polemiche. La giustizia minorile ha presupposti, modalità e anche entità delle pene diverse dalla Giustizia ordinaria. Al centro delle polemiche furono soprattutto le perizie psichiatriche a cui furono sottoposte le tre indagate. Mentre per gli adulti la capacità di intendere e di volere è presunta, e al limite va dimostrato che non ci sia stata, per la Giustizia minorile avviene di fatto il contrario: la capacità di intendere e di volere va preventivamente dimostrata. Ed è su questo che si incentrarono i processi, con risultati molto diversi tra primo e secondo grado. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    1 hr
  6. 01/11/2024

    Chiavari, 6 maggio 1996 – Prima parte

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post. Il 6 maggio 1996 a Chiavari, in provincia di Genova, fu assassinata una ragazza, Nada Cella. Aveva 24 anni. Fu uccisa nello studio di commercialista dove lavorava da cinque anni. Ai soccorritori fu comunicato che si era trattato di un incidente, il luogo dove era avvenuto il delitto non fu preservato, la scena del crimine fu irrimediabilmente contaminata, addirittura furono pulite con straccio e spazzolone le macchie di sangue trovate sul pianerottolo e sulle scale. L’arma del delitto non è mai stata trovata. L’omicidio di Nada Cella presentava molte caratteristiche in comune con quello di Simonetta Cesaroni, avvenuto in via Poma, a Roma, sei anni prima. Le indagini a Chiavari si concentrarono sul datore di lavoro della ragazza, il commercialista Marco Soracco, ma l’inchiesta non portò a nulla. Altre piste, e soprattutto una, furono sottovalutate o non considerate. L’omicidio di Nada Cella divenne così un cold case, un caso freddo, irrisolto. Solo nel 2021 l’inchiesta è stata ufficialmente riaperta. È stato chiesto il rinvio a giudizio di una donna, già indagata nel 1996, ma la richiesta è stata respinta dalla giudice per le indagini preliminari. Contro quella decisione la pubblico ministero che ha condotto la nuova indagine ha presentato appello. Il caso dell’omicidio di Nada Cella è ancora, ufficialmente, aperto. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    45 min
  7. 01/11/2024

    Chiavari, 6 maggio 1996 – Seconda parte

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post. Il 6 maggio 1996 a Chiavari, in provincia di Genova, fu assassinata una ragazza, Nada Cella. Aveva 24 anni. Fu uccisa nello studio di commercialista dove lavorava da cinque anni. Ai soccorritori fu comunicato che si era trattato di un incidente, il luogo dove era avvenuto il delitto non fu preservato, la scena del crimine fu irrimediabilmente contaminata, addirittura furono pulite con straccio e spazzolone le macchie di sangue trovate sul pianerottolo e sulle scale. L’arma del delitto non è mai stata trovata. L’omicidio di Nada Cella presentava molte caratteristiche in comune con quello di Simonetta Cesaroni, avvenuto in via Poma, a Roma, sei anni prima. Le indagini a Chiavari si concentrarono sul datore di lavoro della ragazza, il commercialista Marco Soracco, ma l’inchiesta non portò a nulla. Altre piste, e soprattutto una, furono sottovalutate o non considerate. L’omicidio di Nada Cella divenne così un cold case, un caso freddo, irrisolto. Solo nel 2021 l’inchiesta è stata ufficialmente riaperta. È stato chiesto il rinvio a giudizio di una donna, già indagata nel 1996, ma la richiesta è stata respinta dalla giudice per le indagini preliminari. Contro quella decisione la pubblico ministero che ha condotto la nuova indagine ha presentato appello. Il caso dell’omicidio di Nada Cella è ancora, ufficialmente, aperto. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    1h 12m
  8. Giarre, 17 ottobre 1980

    10/10/2024

    Giarre, 17 ottobre 1980

    Ogni due mesi c’è Altre Indagini: altre storie di Stefano Nazzi per le persone abbonate al Post. Per ascoltare Altre Indagini, abbonati al Post. Il 17 ottobre 1980 due ragazzi scomparvero a Giarre, in provincia di Catania: in città li chiamavano “gli ziti”, i fidanzati. Erano Giorgio Agatino Giammona, di 25 anni, e Antonio Galatola, di 15. I loro corpi vennero ritrovati il 31 ottobre in una zona, la Vigna del Principe, che era stata perlustrata nei giorni precedenti senza risultati. I giornali parlarono inizialmente di un doppio suicidio con il veleno. Dall’autopsia emerse che invece erano entrambi morti per colpi di pistola alla testa. Si parlò allora di omicidio-suicidio: il più grande, Giorgio Agatino Giammona, che in città era definito "puppu cu bullu", e cioè omosessuale patentato, aveva, secondo le cronache, ucciso Antonio Galatola per poi spararsi. La pistola venne però ritrovata distante dai corpi, parzialmente interrata. Dovette essere esclusa quindi anche l’ipotesi dell’omicidio-suicidio. Il giorno dei funerali, separati per volere delle famiglie, ci fu una confessione: Ciccio Messina, tredicenne, nipote di Galatola, disse di aver sparato ai due ragazzi e che erano stati loro stessi a chiedergli di farlo. Poi Messina ritrattò, disse che era stato obbligato a confessare ma le indagini vennero comunque dichiarate chiuse. Anche se lo stesso magistrato a cui per primo era stato assegnato il caso aveva molti dubbi sulla sua ricostruzione. Ciccio Messina aveva meno di 14 anni e quindi non era imputabile. Quel delitto provocò una forte reazione del movimento per i diritti delle coppie omosessuali e proprio dopo i fatti di Giarre nacque, in Sicilia, l’Arcigay che divenne più tardi movimento nazionale. In città, invece, di Giorgio Agatino Giammona e di Antonio Galatola non si parlò più. Solo recentemente è emersa fortemente una nuova ipotesi. Quello dei due ragazzi sarebbe stato un delitto omofobo ma anche d’onore. Qualcuno, all’interno delle due famiglie, non sopportava che Giorgio e Antonio si comportassero come una coppia, addirittura andando in giro mano nella mano, gettando così disonore sulle famiglie stesse. E Ciccio Messina sarebbe stato solo il capro espiatorio da sacrificare, perché non processabile. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

    10 min

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