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Caravaggio e Carracci nella Cappella Cerasi a Roma Arte Svelata

    • Arte

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Nel luglio del 1600, monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere di Clemente VIII e amico del cardinale Borromeo, acquistò una piccola cappella nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, a sinistra dell’altare maggiore, destinandola alla propria sepoltura. Cerasi incaricò l’architetto Carlo Maderno dell’ampliamento e della risistemazione della cappella.

Per la decorazione, contattò i due pittori più famosi della città: Annibale Carracci (1560-1609) e Caravaggio (1571-1610). Ad Annibale commissionò la pala d’altare con l’Assunzione della Vergine, mentre a Caravaggio richiese i due quadri per le pareti laterali, con la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo.

I due artisti si trovarono dunque, per la prima volta, ad operare nello stesso ambiente e furono posti in condizione di confrontarsi direttamente. Senza dubbio, il cardinale Cerasi era ben consapevole che la sua illuminata commissione avrebbe fatto incontrare le due tendenze fondamentali dell’arte romana del primo Seicento: da un lato il naturalismo di Caravaggio, dall’altro l’idealismo classicheggiante di Carracci, che già anticipava, con vivissima sensibilità, successivi traguardi del Barocco.

Le doppie versioni del Caravaggio

Nel 1601, Cerasi morì senza vedere le tavole di Caravaggio ultimate. Intorno a questi due dipinti si è creato una sorta di giallo storiografico. Come attestano i documenti, Caravaggio venne incaricato di dipingere sia la Crocifissione di Pietro sia la Conversione di Paolo su tavola. In effetti, l’artista consegnò regolarmente al committente le opere ultimate e dipinte su tavole di cipresso. È tuttavia certo che tali quadri non furono mai appesi alle pareti cui erano destinati: al loro posto si trovano due tele con il medesimo soggetto, che lo stesso Caravaggio realizzò in sostituzione delle prime tavole.

A lungo, sulla scorta della malevola testimonianza di Giovanni Baglione, primo biografo dell’artista, si è creduto che le prime versioni siano state rifiutate dai committenti, rimasti insoddisfatti dal lavoro del pittore. Oggi, l’ipotesi prevalente è che il pittore medesimo abbia chiesto all’Ospedale della Consolazione, erede del Cerasi, il permesso di ridipingere i due quadri, che egli stesso giudicò superati o inadeguati, avendo considerato più attentamente la loro sfavorevole posizione (molto scorciata, essendo la cappella assai stretta) e, forse, dopo aver visto la pala già ultimata del Carracci. I dipinti vennero infine collocati al loro posto nel 1605, mentre Caravaggio vendette le precedenti tavole a Francesco Sannesio.

La Crocefissione di San Pietro

La prima versione della Crocefissione di San Pietro è andata purtroppo dispersa ma è stata individuata una sua possibile copia, opera di Lionello Spada e oggi conservata all’Ermitage di San Pietroburgo. Sulla parete sinistra della Cappella Cerasi si può invece ammirare la seconda versione. L’episodio, pur seguendo l’iconografia tradizionale dell’apostolo crocifisso a testa in giù, è interpretata da Caravaggio con una sensibilità realistica quasi estrema. Il dipinto mostra soltanto Pietro e i tre aguzzini racchiusi nello spazio ridotto della tela, senza paesaggio.

Sconcerta, di quest’opera, la lentezza e la concretezza dell’operazione, che l’osservatore contempla comprendendo quanto fosse complicato, e soprattutto faticoso, uccidere un uomo in quel modo. I carnefici sono concentrati, professionali come qualunque falegname o muratore, indifferenti al destino del vecchio. Il primo afferra il palo della croce con le gambe di Pietro per stabilizzarla, il secondo tira la fune per issarla, il terzo, inginocchiato, la sorregge con la spalla, offrendo in primo piano al pubblico la parte posteriore della sua figura e la pianta sporca dei suoi piedi.

L’anziano apostolo, un vecchio rugoso e dalla pelle cascante, già inchiodato al patibolo, ha un’espressione sofferente e sembra risentire di un certo d

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Nel luglio del 1600, monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere di Clemente VIII e amico del cardinale Borromeo, acquistò una piccola cappella nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, a sinistra dell’altare maggiore, destinandola alla propria sepoltura. Cerasi incaricò l’architetto Carlo Maderno dell’ampliamento e della risistemazione della cappella.

Per la decorazione, contattò i due pittori più famosi della città: Annibale Carracci (1560-1609) e Caravaggio (1571-1610). Ad Annibale commissionò la pala d’altare con l’Assunzione della Vergine, mentre a Caravaggio richiese i due quadri per le pareti laterali, con la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo.

I due artisti si trovarono dunque, per la prima volta, ad operare nello stesso ambiente e furono posti in condizione di confrontarsi direttamente. Senza dubbio, il cardinale Cerasi era ben consapevole che la sua illuminata commissione avrebbe fatto incontrare le due tendenze fondamentali dell’arte romana del primo Seicento: da un lato il naturalismo di Caravaggio, dall’altro l’idealismo classicheggiante di Carracci, che già anticipava, con vivissima sensibilità, successivi traguardi del Barocco.

Le doppie versioni del Caravaggio

Nel 1601, Cerasi morì senza vedere le tavole di Caravaggio ultimate. Intorno a questi due dipinti si è creato una sorta di giallo storiografico. Come attestano i documenti, Caravaggio venne incaricato di dipingere sia la Crocifissione di Pietro sia la Conversione di Paolo su tavola. In effetti, l’artista consegnò regolarmente al committente le opere ultimate e dipinte su tavole di cipresso. È tuttavia certo che tali quadri non furono mai appesi alle pareti cui erano destinati: al loro posto si trovano due tele con il medesimo soggetto, che lo stesso Caravaggio realizzò in sostituzione delle prime tavole.

A lungo, sulla scorta della malevola testimonianza di Giovanni Baglione, primo biografo dell’artista, si è creduto che le prime versioni siano state rifiutate dai committenti, rimasti insoddisfatti dal lavoro del pittore. Oggi, l’ipotesi prevalente è che il pittore medesimo abbia chiesto all’Ospedale della Consolazione, erede del Cerasi, il permesso di ridipingere i due quadri, che egli stesso giudicò superati o inadeguati, avendo considerato più attentamente la loro sfavorevole posizione (molto scorciata, essendo la cappella assai stretta) e, forse, dopo aver visto la pala già ultimata del Carracci. I dipinti vennero infine collocati al loro posto nel 1605, mentre Caravaggio vendette le precedenti tavole a Francesco Sannesio.

La Crocefissione di San Pietro

La prima versione della Crocefissione di San Pietro è andata purtroppo dispersa ma è stata individuata una sua possibile copia, opera di Lionello Spada e oggi conservata all’Ermitage di San Pietroburgo. Sulla parete sinistra della Cappella Cerasi si può invece ammirare la seconda versione. L’episodio, pur seguendo l’iconografia tradizionale dell’apostolo crocifisso a testa in giù, è interpretata da Caravaggio con una sensibilità realistica quasi estrema. Il dipinto mostra soltanto Pietro e i tre aguzzini racchiusi nello spazio ridotto della tela, senza paesaggio.

Sconcerta, di quest’opera, la lentezza e la concretezza dell’operazione, che l’osservatore contempla comprendendo quanto fosse complicato, e soprattutto faticoso, uccidere un uomo in quel modo. I carnefici sono concentrati, professionali come qualunque falegname o muratore, indifferenti al destino del vecchio. Il primo afferra il palo della croce con le gambe di Pietro per stabilizzarla, il secondo tira la fune per issarla, il terzo, inginocchiato, la sorregge con la spalla, offrendo in primo piano al pubblico la parte posteriore della sua figura e la pianta sporca dei suoi piedi.

L’anziano apostolo, un vecchio rugoso e dalla pelle cascante, già inchiodato al patibolo, ha un’espressione sofferente e sembra risentire di un certo d

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