Famelici

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Famelici è un blog di contaminazioni ed esplorazioni. Quelle tra il cibo e il sociale, l’arte, la storia, l’attualità, la tecnologia e tutto quello che è sulla tavola di ieri, oggi e domani. Famelici vuole solleticare la vostra fame anche con un po’ di sana follia, come ci insegna Tommy Marinetti: “Usciamo dalla saggezza e diamoci in pasto all’Ignoto”. ( Famelici) Famelici - Scarica l'app Loquis per iOS e Android.

  1. ٠٢‏/١٠‏/١٤٤١ هـ

    Andare in brodo di giuggiole ad Arquà Petrarca

    Passeggiare per le vie di Arquà Petrarca, in provincia di Padova, sui Colli Euganei, è una vera esperienza culturale. A patto che lo si faccia con il desiderio di conoscere un luogo ricco di storia, di colori, di leggende come quella della gatta nera della casa del Petrarca. La conoscete? Avrebbe intenerito il cuore del poeta negli ultimi giorni della sua vita. Qui, alla ricerca dell’eccellenza dell’ingrediente, si può conoscere la giuggiola, in dialetto veneto “zisoa“, e il brodo di giuggiole della la Società Agricola Scarpon. La famiglia Callegaro, da oltre trent’anni si dedica alla coltivazione di cereali e uva, più di recente, alla trasformazione di diversi prodotti agricoli e alla raccolta di erbe spontanee e frutta selvatica del Parco dei Colli Euganei. Giuggiole, sparasine, cipolle selvatiche, germogli di pungitopo sono solo alcune delle proposte offerte a chi vuole proporre una cucina autenticamente regionale e gourmet. Ma che cosa è il brodo di giuggiole? E’ un liquore, dalle origini antichissime, dal sapore dolce, dal colore rosso e dal profumo intenso, che si ottiene dall’infusione della giuggiola. Nell’Enciclopedia della Crusca del 1600, se ne parla raccontando che la frutta utilizzata è quella autunnale: giuggiole (l’ingrediente principale), mele cotogne, uva, melograni messi in infusione nell’alcool per almeno qualche mese. Successivamente il composto viene filtrato, e, dopo aver portato il grado alcolico a 24 °C, si imbottiglia. Se lo assaggiate, vedrete che andrete in brodo di giuggiole!

  2. ٢٥‏/٠٩‏/١٤٤١ هـ

    Storia di una via milanese: Giangiacomo Mora

    Quante volte a Milano vi sarà capitato di passeggiare nei pressi delle Colonne di San Lorenzo? Avete mai posato lo sguardo su quella scultura seminascosta e sulla targa che recita: “Qui sorgeva un tempo la casa di Gian Giacomo Mora, ingiustamente torturato e condannato a morte come untore durante la pestilenza del 1630?" La scultura, realizzata dal Menegon nel 2005, raffigura una colonna che ricorda la Colonna Infame, che ha ispirato al Manzoni il saggio la Storia della colonna infame. Milano nell’estate del 1630 era afflitta dalla peste. Si iniziò la caccia degli untori, accusati di aggirarsi con unguenti per diffondere la peste. Lo storico Ripamonti ci narra di un anziano che, prima di sedersi su una panca della chiesa di S. Antonio, passò il mantello per pulirla. Fu ucciso senza pietà. Stessa sorte toccò anche a tre viaggiatori francesi affascinati dal Duomo, tanto da non resistere alla tentazione di toccare il marmo. Impavido gesto! Senza capire perché, furono uccisi. La mattina del 21 giugno 1630 venne trovata dell’unguento giallastro in Corso di Porta Ticinese. Fu accusato il commissario della Sanità, Guglielmo Piazza. Dopo essere stato torturato, confessò che l’unguento gli era stato dato da un barbiere: Gian Giacomo Mora. L’ignaro barbiere fu immediatamente arrestato e condannato a morte. Al posto della casa del barbiere fu innalzata una colonna di granito come monito per la popolazione. Solo nel 700 la colonna fu distrutta: da monito si era trasformato in onta per la giustizia.

  3. ١٨‏/٠٩‏/١٤٤١ هـ

    Wine Tourism: Suvereto

    Il mondo del vino non si circoscrive ad un bicchiere di vino: è cultura, tradizione, innovazione, sorprese inaspettate. Un modo per conoscere i piccoli borghi italiani è quello di percorrere i sentieri che ci portano a conoscere le cantine che producono ottimi vini. In Toscana, in provincia di Livorno, il piccolo borgo medievale di Suvereto è conosciuto anche per questo: dal Suvereto DOCG: Cabernet Sauvignon e Merlot, al Suvereto Sangiovese DOCG, dal Suvereto Merlot DOCG, al Suvereto Cabernet Sauvignon DOCG. Ma quali sono le caratteristiche principali dei vini di Suvereto, vini simbolo della Val di Cornia? Sono caratterizzati da un modesto tenore di acidità. Il colore è rosso, intenso, un colore che nei vini invecchiati si trasforma in granato. Il profumo è intenso, aperto ed elegante. Il gusto è asciutto, tannico, con note speziate e nei vini invecchiati si sente il legno. La cantina Bulichella di Hideyuki Miyakawa ha una particolarità : rappresenta l’incontro della cultura occidentale con quella orientale. Qui si può anche dormire: il biologico Agriturismo Tenuta Vitivinicola Bulichella è un punto di partenza ideale per visitare i borghi medievali e i siti archeologici della zona. Nei dintorni il complesso termale del Calidario, le spiagge del Golfo di Baratti, di San Vincenzo di Carbonifera e di Rimigliano. Il borgo medievale di Suvereto fa parte della percorribile “Strada del Vino Costa degli Etruschi”, strada che porta nella Val di Cornia, a Terratico di Bibbona, a Montescudaio, a Bolgheri fino all’ isola d’Elba. E per mangiare? Il ristorante la “Locanda delle Stelle”, il regno dello chef Gian Maria Margelli, esperto di enologia. Che cosa si può degustare? Piatti tipici della cucina toscana, rivisitati in chiave moderna.

  4. ١١‏/٠٩‏/١٤٤١ هـ

    Ristorante San Domenico di Imola, la nascita della cucina italia

    Il 2020 è una data importante per il San Domenico di Imola, il monumento della cucina italiana: compie 50 anni. Per capirne la storia vi dobbiamo raccontare chi è Nino Bergese. Nei primi anni del 900, in un’epoca in cui non esistevano i ristoranti, Nino entrava nelle cucine dei nobili e dei ricchi che avevano bisogno di personale per  organizzare ricevimenti. La Seconda Guerra Mondiale spazza via tutto. L’intuizione di dare vita al moderno ristorante è proprio di Bergese che apre a Genova, La Santa, dove porta in tavola la sua esperienza acquisita nelle case nobili: una cucina con ingredienti italiani, ma con influenza francese. Ed è subito successo. Qui arrivano intellettuali, artisti, buone forchette – gli attuali gourmet – tanto che Giangiacomo Feltrinelli gli chiede di scrivere un libro di ricette. Nel 1969 conquista due stelle Michelin. Nino incontra il San Domenico negli anni 70, quando Gianluigi Morini, cultore d’arte, appassionato di cibo e cultura, oltre che di vini, è alla disperata ricerca di un cuoco e l’amico Luigi Veronelli gli consiglia proprio Nino Bergese. Morini vuole una cucina che rappresenti l’Italia, capace di competere con la blasonata cucina francese. Nasce così il primo ristorante italiano che impone la cucina italiana in tutto il mondo. I piatti proposti oggi vanno dalla tradizione all’innovazione, dalla Torta Fiorentina, preparata per la prima volta nel 1926 per festeggiare il compleanno del principe Umberto di Savoia, all’iconico uovo in raviolo “San Domenico” burro di malga, parmigiano dolce e tartufo bianco, fino ai tortellini fritti alla spuma di patate affumicate e caviale. E per confermare che cibo è cultura si mangia fra opere d’arte di Alberto Burri, Mario Schifano e Giuseppe Capogrossi.

  5. ٠٣‏/٠٩‏/١٤٤١ هـ

    La colonna del Verziere

    Quante volte siete passati a Milano in Largo Augusto? Quanti di voi si sono accorti della momentanea assenza per i lavori della M4 della Colonna del Verziere? Eretta nel 1580, per fare cessare un’epidemia di peste che mieteva migliaia di vittime,  subì due crolli, tanto che fu terminata quasi cento anni dopo il suo inizio. Nel 1673 si aggiunse sulla sommità della colonna la statua del Cristo Redentore, realizzata dall’architetto Francesco Maria Richini e da Giovanni Battista Vismara. Usata, durante la pestilenza anche come altare per celebrare la messa, ebbe una vita travagliata. Superate le pestilenze, nel 1860, le venne consegnato il compito di ricordare i caduti delle Cinque Giornate. Ancora oggi, sui lati del basamento, sono visibili i loro nomi. Qui un tempo, quando la via non aspirava all’eleganza, si svolgeva il mercato, da cui il monumento prende il nome. Nello slargo cittadino, circondato da edifici del 600 e del 700, i venditori di cibi pronti, di formaggi, di frutta e di verdura vivacizzavano un luogo assai affollato e frequentato anche da perditempo e piccoli criminali. Poteva mancare una figura popolare a rallegrare il mercato? No di certo. Ecco allora la Ninetta del Verzee, il più grande personaggio creato dalla penna di Carlo Porta. Ninetta è un’ex venditrice di pesce al mercato Verziere che, dopo una travagliata storia d’amore, è costretta a prostituirsi. Un’esistenza difficile quella dell’orfana Ninetta, crescita dalla zia pescivendola. Si innamora del Pepp, figlio del pasticciere, con cui la zia ha una relazione, ma, dopo un primo momento di felicità, il giovane amante si dimostra un cinico calcolatore che le estorce somme di denaro fino a costringere Ninetta alla fame e alla prostituzione per sopravvivere.

  6. ٢٨‏/٠٨‏/١٤٤١ هـ

    A Pescara un cocktail dedicato a Fellini

    Nella dannunziana Pescara, in via Cesare Battisti, c’è il primo vero cocktail bar della città, La Nuova Lavanderia, nato dalla passione per la mixology di Alessandro di Fabrizio. Qui viene servito “8 e 1/2”, il cocktail ispirato al capolavoro di Federico Fellini. Il film è un susseguirsi di flashback e parti oniriche, incubi che sembrano strade senza uscita, sogni megalomani, voglia di purezza e di fuga. Un omaggio alla romanità, che il carattere del gin porta con fierezza mixandosi tra assenzio, camomilla, cardamomo, genziana, tonica al melograno e succo di mandarino e di limone. Perché un cocktail dedicato a Fellini? Perché il cibo non manca nei suoi film. Il cibo è nostalgia, ma anche tentazione, peccato. In 8 e ½ una procace Sandra Milo divora un pollo, aiutandosi con le mani, in modo sensuale, in Boccaccio 70 il latte si trasforma in una vera ossessione per il Dottor Antonio che lo associa alla prosperosa Anita Ekberg che in un manifesto pubblicitario ricorda di berlo in nome del benessere. In Satyricon, tratto dal libro di Petronio, il cibo paradossalmente assume forme grottesche: teste di toro o bulbi oculari serviti in grandi piatti, un maiale svuotato dalle interiora tra convinti applausi, donne che si pettinano con seppie. In Roma le vie, che accolgono il provinciale Fellini, vestito di bianco, sono trasformate in ristoranti all’aria aperta. I camerieri servono lumache, fettuccine alle vongole e scampi alle acciughe. Il giovane si unisce ai commensali e un vicino di tavolo, estraendo una lumaca dal guscio gli ricorda: “Sei quello che mangi”.

  7. ٢٨‏/٠٨‏/١٤٤١ هـ

    Le ceramiche di Grottaglie

    Se Grottaglie oggi è conosciuta nel mondo lo deve molto all’arte delle ceramiche e agli artigiani che hanno creato uno stile. Che cosa è di più elegante che arredare una casa o apparecchiare una tavola con i "bianchi di Grottaglie" che esaltano la forma, o con la quadrocromia - verde marcio, giallo ocra, blu e manganese – che celebrano il colore? E allora perdiamoci nel quartiere delle ceramiche, in dialetto "Camenn'ri", cioè "camini", presso la gravina di S. Giorgio, ai piedi del castello di Grottaglie. La particolarità di Grottaglie, diventata l'atelier delle ceramiche, sta tutta nell'aver trasformato un'arte contadina -ruagnara o arte faenzara - in ceramica decorativa destinata ai salotti borghesi. Le ceramiche più tradizionali? Il piatto con il galletto, la ciaria, un vaso a due anse, e il capasone per la conservazione del vino. Ma quelle che attirano maggiormente l’attenzione sono le strane anfore dal corpo di donna...ma con evidenti baffi! La loro origine ricorda il medievale "ius primae noctis" e un'antica leggenda. Nel 700 una fanciulla di Grottaglie sposò un vignaiolo di Martina Franca. Il signorotto del luogo, come voleva la tradizione, pretese che la giovane trascorresse la sua prima notte di nozze con lui. Il marito deciso ad evitarlo si travestì da donna per sostituirsi alla moglie. Ma commise un errore: si dimenticò i baffi. Il feudatario in un primo momento lo condannò a morte, poi trasformò la condanna nell'obbligo di consegnargli il vino che produceva in anfore che riproducessero le fattezze del travestito.

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