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I pungenti commenti del giornalista Antonio Socci stimolano ad avere uno sguardo critico sulla realtà

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I pungenti commenti del giornalista Antonio Socci stimolano ad avere uno sguardo critico sulla realtà

    Cosa rende i nostri giovani così fragili?

    Cosa rende i nostri giovani così fragili?

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7155

    COSA RENDE I NOSTRI GIOVANI COSI FRAGILI? di Antonio Socci
    Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato Modernità e Libertà. Ma è spesso un deserto inospitale dove soffia un vento di infelicità e di morte.
    Lo attestano anche le drammatiche statistiche sui suicidi dell'Osservatorio suicidi della Fondazione Brf (Istituto per la ricerca in Psichiatria e Neuroscienze).
    Da gennaio ad agosto di quest'anno ci sono stati 351 suicidi e 391 tentativi: un suicidio ogni 16 ore e un tentativo di suicidio ogni 14. Particolarmente grave l'aumento dei casi fra i giovani (in modo speciale nel biennio della pandemia).
    Queste tragedie sono la punta dell'iceberg di una condizione di disagio, di solitudine, di ansia o depressione che fra i giovani è molto ampia e sta crescendo. Naturalmente ognuno è una storia a sé, ognuno ha i suoi problemi e ognuno è un mistero unico. Ma tutti insieme delineano un dramma sociale - o spirituale - che riguarda il nostro tempo.
    Ciò che accomuna tutti noi è il desiderio di felicità o il voler sfuggire all'infelicità.
    Scriveva Pascal: "Tutti gli uomini cercano di essere felici, compresi quelli che stanno per impiccarsi".
    Felicità e infelicità sono sentieri che conducono in una terra misteriosa, quella della nostra anima, che non si esplora con la sociologia.
    Quando si parla di disagio esistenziale ogni volta si tentano spiegazioni sociologiche che però spesso si contraddicono o illuminano solo un pezzo di realtà, ma non vanno alle radici del problema.
    Sono spiegazioni che lasciano insoddisfatti.

    LE GENERAZIONI PRECEDENTI
    Perché le condizioni materiali di vita pesano, ma non sono l'aspetto determinante. Altrimenti non si spiegherebbe perché i nostri genitori - giovani durante la guerra e il dopoguerra - affrontarono la miseria, la fame, i bombardamenti, il durissimo lavoro della ricostruzione, con una forza morale travolgente (che fra l'altro produsse il "miracolo economico" e il "baby boom"), mentre i nostri figli - che hanno una vita enormemente facile - sono così smarriti e fragili.
    Cos'è andato perduto rispetto alle generazioni precedenti che - senza alcun dubbio - sopportavano condizioni di vita molto più dure? Possiamo dire che erano spiritualmente più forti anzitutto per l'atmosfera cristiana in cui erano nate e cresciute?
    Affrontavano le tragedie con maggior resilienza (come si dice oggi).
    C'è una commovente intervista alla poetessa Alda Merini, dopo il terremoto in Abruzzo del 5 aprile 2009, che la televisione trasmise il 9 aprile.
    La Merini, nata nel 1931, si definiva "abbastanza" credente e in quell'occasione disse: "Anch'io sono stata 'terremotata' da un manicomio all'altro.
    Ognuno di noi ha avuto le sue scosse, però è nel momento del dolore che bisogna stringere i denti. Noi adesso partecipiamo a questa tragedia italiana, però non fermiamoci al dolore. Stringiamo i denti e andiamo avanti. Dio guarda tutti, ci vede, guarda i terremotati, vede gli infelici e non abbandona il mondo. Io sono sicura. E uno dei mezzi perché Dio ci ascolti è proprio la poesia, la preghiera, il canto".
    Questo era l'animo delle generazioni che ci hanno preceduto. Le società del passato non erano migliori di oggi. Erano più ingiuste e la vita molto più dura. Ma anche questo dimostra che i nostri vecchi - pur con le loro fragilità e miserie - avevano una solidità ammirabile.

    CLIMA SPIRITUALE CRISTIANO
    Non perché tutti fossero dei devoti. Ma tutti respiravano quel clima spirituale che aveva permeato i secoli in Italia e toccava anche agnostici e atei. Non a caso il padre della cultura laica italiana, Benedetto Croce, scrisse nel 1942 "Perché non possiamo non dirci "cristiani", spiegando che tale qualifica "è semplice osservanza della verità".br...

    • 7 min
    Le metamorfosi della sinistra, dall'Urss alla Nato

    Le metamorfosi della sinistra, dall'Urss alla Nato

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7000

    LA METAMORFOSI DELLA SINISTRA ITALIANA: DALL'UNIONE SOVIETICA... ALLA NATO di Antonio Socci
    Le Metamorfosi di Ovidio? Nulla rispetto alle metamorfosi dei comunisti italici, comprese le più recenti con le quali sono diventati "pasdaran" dell'ortodossia atlantica, severi censori del pacifismo e predicatori umanitari.
    E questo senza mai riconoscere l'errore di essere stati comunisti al tempo dell'Urss di Breznev e Andropov. Anzi ritengono di avere tutti i titoli per dare lezioni oggi di atlantismo e umanitarismo.
    Prendiamo l'editoriale (sul "Corriere della sera" di venerdì) di Walter Veltroni, il quale è una persona gentile, intelligente e piacevole, ma in quel pezzo ha cucinato un confuso minestrone in cui riesce a cantare le lodi del Nord Vietnam comunista che combatteva contro "l'invasione straniera" degli Usa e - al tempo stesso - le lodi dei soldati Usa che sbarcarono in Italia e in Normandia per combattere contro il nazifascismo (non furono due "invasioni" per la libertà?).
    Un inno combattente in cui Veltroni rinfaccia (senza nominarli) a Santoro e compagni il passato, ma dimenticando il suo. E il suo non è il passato di uno qualsiasi: Veltroni - iscrittosi alla Fgci nel 1970 - è stato poi uno dei dirigenti nazionali del Partito Comunista Italiano quando ancora c'era l'Urss e il blocco comunista (la vicenda degli euromissili e di Comiso è degli anni '80 e Veltroni c'era).
    Il Pci era un "partito fratello" di quel Pcus da cui vengono Putin e la classe dirigente russa di oggi. Quel Pcus a cui obbediva il Pci togliattiano, a lungo finanziato da Mosca (per capire quando finirono i finanziamenti bisogna leggere "Oro da Mosca" di Valerio Riva e non solo "L'oro di Mosca" di Gianni Cervetti).
    Da chi è stato parte della storia comunista ci si aspetta una riflessione vera sulla classe dirigente post-comunista che oggi governa a Mosca e sulle macerie lasciate dal comunismo.

    IL PCI E GLI ORRORI DELL'URSS
    Prima di tuonare per tutto un editoriale contro la presunta "indifferenza" che Veltroni imputa a chi non condivide le sue attuali idee "atlantiste" sull'Ucraina, dovrebbe spiegarci quanto fu "indifferente" il suo Pci nei confronti degli orrori dell'Urss e regimi compagni.
    Negli anni Settanta, quando lui era un militante comunista, già sapevamo tutto, già era uscito "Arcipelago Gulag" e sull'Unità e poi su Rinascita, nel febbraio ‘74, Giorgio Napolitano, a nome del Pci, scriveva che l'espulsione del dissidente Solzenicyn era "la soluzione migliore "perché lo scrittore aveva "finito per assumere un atteggiamento di ‘sfida' allo Stato sovietico e alle sue leggi" e "non c'è dubbio che questo atteggiamento - al di là delle stesse tesi ideologiche e dei già aberranti giudizi politici di Solzenicyn - avesse suscitato larghissima riprovazione nell'URSS".
    Napolitano, che allora si scagliava contro "l'antisovietismo", è il simbolo autorevole del passaggio dal Pci filosovietico (lui fu dirigente del Pci al tempo di Togliatti) all'atlantismo più zelante.
    Ma senza mai fare autocritiche. Nella sua "autobiografia politica" del 2005 intitolata "Dal Pci al socialismo europeo" neanche cita mai Solzenicyn.
    Carlo Ripa di Meana, nel 2008, alla morte dello scrittore russo, su "Critica sociale", in un articolo intitolato "Solzenicyn e il silenzio del Quirinale", scriveva:
    "Avevo sommessamente suggerito, qualche mese fa, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel 1974, allora responsabile della cultura del PCI, su l'Unità, aveva rumorosamente applaudito all'esilio comminato a Solzenicyn che, va ricordato, aveva già passato otto anni nel Gulag nell'immediato dopoguerra, che in una prossima occasione, o in forma privata o nel corso di una visita di Stato, chiedesse un incontro a Solzenicyn, ormai molto in là con gli anni e...

    • 8 min
    Il turismo può salvare il bel paese

    Il turismo può salvare il bel paese

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6992

    IL TURISMO PUO' SALVARE IL BEL PAESE di Antonio Socci
    Dopo due anni di pandemia, due anni da incubo, l'Italia del turismo sta ripartendo. Per il 2022 infatti le stime parlano di più di 92 milioni di arrivi e circa 343 milioni di presenze fra stranieri e italiani (un aumento - rispettivamente - del 43 per cento e del 35 per cento rispetto all'anno scorso).
    Non siamo ancora tornati ai dati del 2019, ma la ripresa è forte. Sperando che i venti di guerra che soffiano impetuosi non gelino questa fioritura...
    Con l'inizio di maggio sciameranno verso la Penisola milioni di persone che cercano nella nostra terra una Bellezza sognata e ignota, che tante volte hanno sentito raccontare o che hanno già assaporato e vogliono tornare a gustare.
    La bellezza è - fin dall'antichità - il principale connotato dell'identità italiana. Già Marco Terenzio Varrone (116 a.C. - 27 a.C.), nella più antica delle 'laudes Italiae' che conosciamo, il 'De re rustica', del 37 a.C., celebra l'Italia come il giardino del mondo: "Voi che avete peregrinato per molte e diverse terre, ne avete vista una più coltivata dell'Italia? Io, per conto mio, non credo che ce ne sia".
    Anche la nostra letteratura, ai suoi esordi, canterà questa caratteristica della Penisola. L'Italia è in Dante il "bel paese là dove 'l sì suona" o "l giardin de lo 'mperio". In Petrarca è "il bel paese / ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe".
    In una enciclopedia medievale l'Italia è la "terra pulcherrima, soli fertilitate pabulique ubertati gratissima", la bellissima terra, piacevole per la fertilità del suolo e l'ubertosità dei suoi pascoli.

    BELLEZZA NATURALISTICA E PAESAGGISTICA
    Insomma da secoli dire Italia significa dire bellezza naturalistica e paesaggistica. La quale è sì dovuta - anzitutto - a una fortunata collocazione geografica e a una felice situazione climatica, ma i tanti doni del Creatore si sono combinati con la straordinaria opera degli uominiche fin dall'antichità hanno arricchito la natura con il lavoro e l'ingegno.
    Infatti è grazie agli agricoltori romani che furono introdotte da noi tantissime delle piante che oggi vediamo e coltiviamo e che provengono da altre aree del mondo. Così oggi l'Italia è un paradiso di biodiversità e questo è anche alla base della ricchezza della nostra alimentazione e della nostra cucina, parte non secondaria dell'attrattiva turistica.
    Del resto non c'è solo la bellezza naturale. Il patrimonio culturale italiano non ha eguali nel mondo: più di 4 mila musei, 6 mila aree archeologiche, 85 mila chiese soggette a tutela e 40 mila dimore storiche censite.
    Ma qui cominciano anche le dolenti note: l'incuria, gli scempi, gli abusi sono storia nota. Leonardo Sciascia scriveva nel lontano 1969: "L'Italia è il paese dell'arte ma le opere d'arte che vadano in malora".
    Lo stesso assalto turistico a questo patrimonio e alle città d'arte se - per un verso - è positivo, per altro verso ha qualcosa di angosciante, pare un consumo "mordi e fuggi" che di quella bellezza non comprende nulla, scivola sulla superficie alla velocità di un selfie. E lascia una distesa di cartacce e lattine.
    D'altronde l'Italia è un'unica, immensa, opera d'arte plasmata insieme dalla natura e da generazioni e generazioni di italiani, che sono stati il grande artista collettivo.

    MILLENARIA BELLEZZA
    Se i più geniali figli del nostro popolo - come Michelangelo - seppero dare forma prodigiosa al marmo o alle basiliche, i nostri umili contadini - imparando inizialmente dai monaci medievali che dissodarono un'Italia distrutta dalle invasioni barbariche - hanno dato forma al nostro paesaggio esprimendo in esso il loro sentimento della vita, la spiritualità che come popolo vivevano.
    Franco Rodano, nelle sue "Lettere dalla Valnerina",...

    • 7 min
    Sia l'Ucraina che la Russia hanno fatto clamorosi errori di valutazione

    Sia l'Ucraina che la Russia hanno fatto clamorosi errori di valutazione

    VIDEO IRONICO: Una guerra promessa ➜ https://www.youtube.com/watch?v=Lwl_sZZ2q6w&list=PLolpIV2TSebVSarVSJS-Gy5hJo3_40bhI

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6973

    SIA L'UCRAINA CHE LA RUSSIA HANNO FATTO CLAMOROSI ERRORI DI VALUTAZIONE di Antonio Socci
    Davanti all'atroce spettacolo quotidiano di morti e distruzioni, tutti - a cominciare dal presidente ucraino Zelensky - dovremmo chiederci: era evitabile questa catastrofe?
    L'interesse supremo dell'Ucraina era quello di scongiurare in tutti i modi una guerra sul suo territorio con una superpotenza nucleare come la Russia. Il fatto che il regime di Putin sia regredito a un brutale dispotismo aggressivo doveva indurre Zelensky a considerare l'invasione come il male peggiore. Doveva far di tutto per evitarla, avendo una grande inferiorità militare.
    Nel Vangelo c'è un insegnamento di grande realismo per chi governa: "quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace" (Lc 14, 31-32).
    Zelenskij poteva evitare così questa tragedia al suo Paese? Forse sì. Sappiamo infatti, dal Wall Street journal, che il 19 febbraio scorso (quando già le truppe russe erano ammassate ai confini), il cancelliere tedesco Scholz ha proposto a Zelensky la possibilità di una de-escalation: la condizione era "rinunciare all'adesione alla Nato" e "dichiarare la neutralità come parte di un più ampio accordo europeo di sicurezza tra l'Occidente e la Russia".
    In pratica un'Ucraina neutrale come l'Austria. L'accordo proposto da Scholz "sarebbe stato siglato da Putin e Biden che insieme avrebbero garantito la sicurezza dell'Ucraina". Ebbene, Zelensky ha risposto no. Pur avendo ai confini l'esercito russo.
    Dopo che è iniziata l'invasione, col suo corteo di morte, il presidente ucraino ha dichiarato (il 15 marzo) che era tramontata l'adesione alla Nato e (il 27 marzo) che si poteva ragionare sulla neutralità e pure sul Donbass. Ma ormai era tardi.
    Probabilmente quando la trattativa vera inizierà l'Ucraina dovrà concedere molto più di quanto sarebbe bastato il 19 febbraio. E sarà un Paese devastato, con migliaia di morti. Mi pare un fallimento immane. La vittoria era scongiurare la guerra.
    Oltretutto Zelensky era stato eletto per cercare un accordo con la Russia. Questo volevano gli ucraini.
    Per esempio, la guerriglia in Donbass da anni provocava tanti morti. Perché Zelensky non ha pacificato quella regione imitando ciò che l'Italia ha fatto con l'Alto Adige? Eppure sapeva che da lì poteva partire l'incendio.
    Il presidente ucraino deve chiedersi se le sue scelte sono state buone per il suo Paese o disastrose. Secondo Jean Paul Sartre "si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare".
    Ieri Moni Ovadia, intervistato dalla "Stampa", ha detto: "Zelensky non ha reso un buon servizio agli ucraini. Se hai vicino a te un colosso ringhioso, non fargli i dispetti. A meno che lui sia asservito agli Usa, cosa di cui sono convinto".
    Oggi Biden punta sulla prosecuzione del conflitto per abbattere Putin. Come ha detto l'ex ambasciatore Usa Chas Freeman, gli Stati Uniti "hanno scelto di combattere fino all'ultimo ucraino".
    Non credo che gli ucraini possano gioirne. Ma anche nell'establishment Usa importanti personalità si oppongono a questa strategia di Biden che rischia di creare un asse fra Russia, Cina e India. È disastrosa anche per gli Usa.
    Nel frattempo il conflitto devasta l'economia degli stati europei e può diventare una guerra mondiale con il rischio dell'apocalisse atomica.
    Da Washington ora si illude Zelensky col miraggio di...

    • 12 min
    Il più grosso problema per l'Ucraina non è Putin ma Biden

    Il più grosso problema per l'Ucraina non è Putin ma Biden

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6963

    IL PIU' GROSSO PROBLEMA PER L'UCRAINA NON E' PUTIN, MA BIDEN di Antonio Socci
    È pressoché impossibile trovare qualche statista che abbia collezionato una serie di gaffe come l'attuale presidente americano Joe Biden.
    Gli infortuni sono cominciati fin all'inizio del suo mandato e talvolta hanno avuto aspetti comici (e umanamente comprensibili) come la flatulenza sfuggita - secondo il Daily Mail - davanti al principe Carlo e a Camilla alla Cop26 di Glasgow (dove si discuteva di emissioni nocive nell'atmosfera).
    O come quando - durante un discorso in cui fissava palesemente il gobbo - ha letto pure le parole tra parentesi che non doveva leggere. O quando ha detto che "Putin potrà anche circondare Kiev, ma non potrà mai conquistare i cuori e le anime del popolo iraniano".
    Ma con la guerra Russia/Ucraina la questione si è fatta drammatica. Ora ogni volta che Biden apre bocca ci avvicina alla terza guerra mondiale. Mentre tutti cercano di spegnere l'incendio, Biden, parlando a Varsavia, sabato, ha visto bene di alimentarlo con una cascata di benzina definendo Putin "un macellaio" (dopo averlo chiamato "assassino" e "criminale di guerra").

    BIDEN IMBARAZZANTE
    Questo linguaggio incendiario, del tutto fuori dai canoni, rende molto arduo qualsiasi tentativo di dialogo e trattativa con Mosca. Ma come se non bastasse Biden ha pure aggiunto che Putin "non può rimanere al potere".
    Immediatamente è arrivata una correzione da un funzionario della Casa Bianca il quale ha precisato che il presidente "non stava parlando" di un "cambio di governo" in Russia. Una smentita clamorosa da cui si ricava la convinzione che a Washington non siano in grado di controllare la situazione, oltretutto in un momento così drammatico.
    È la classica toppa peggiore del buco. Del resto Biden ha dichiarato apertis verbis quello che era già chiaro dai comportamenti, ovvero che gli americani non lavorano per la pace in Ucraina, ma soffiano sul fuoco e spediscono armi perché vogliono che la guerra prosegua e la Russia si impantani: cioè usano l'Ucraina per abbattere Putin (a spese degli ucraini e degli europei le cui economie saranno devastate).
    L'autogol è doppio perché Biden ha apertamente confessato che vuole fare a Mosca esattamente quello che Putin voleva fare a Kiev: rovesciare il governo. E gli Stati Uniti hanno una certa esperienza nell'andare a rovesciare governi a loro sgraditi (come pure nel bombardare altri paesi).
    La sortita di Biden - che voleva resuscitare il disastroso fantasma dello "scontro di civiltà" con cui gli americani hanno portato guerre e devastazioni in tante zone del mondo - ha sconcertato molte cancellerie e ha costretto un membro della Nato come la Turchia (importantissimo in quella regione) a prendere le distanze.
    Il portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalin, ha dichiarato ieri: "Se tutti bruciano i ponti con la Russia chi parlerà con loro alla fine della giornata?". In pratica ha spiegato che con il metodo Biden si perde ogni speranza di negoziato che metta fine alla guerra.

    UNA PROSPETTIVA AGGHIACCIANTE
    Già prima era stato il presidente francese a prendere le distanze. Macron ha detto che non userebbe il linguaggio di Biden e ha aggiunto che, se si vuole raggiungere un cessate il fuoco, non si deve alimentare "una escalation né di parole né di azioni".
    Che è esattamente quello che Biden sta facendo. Del resto - secondo il Wall Street Journal - fonti interne dell'amministrazione Usa sostengono che, nel contesto della guerra in Ucraina, la Casa Bianca adesso prevede addirittura il "first nuclear strike", cioè "l'attacco nucleare preventivo" in "circostanze estreme".
    Una prospettiva agghiacciante che Biden, in campagna elettorale, aveva sempre rifiutato.
    Peraltro questo atteggiamento incendiario...

    • 15 min
    Lo "strano" fanatismo bellico del Corriere della sera nella guerra in Ucraina

    Lo "strano" fanatismo bellico del Corriere della sera nella guerra in Ucraina

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6928

    LO ''STRANO'' FANATISMO BELLICO DEL CORRIERE DELLA SERA NELLA GUERRA IN UCRAINA di Antonio Socci
    Come ha scritto Tomaso Montanari, un intellettuale di sinistra, è tragicomico vedere "ex comunisti, operaisti, esponenti di Lotta Continua" che, per far dimenticare il loro passato, oggi sull'Ucraina sono "passati all'occidentalismo fanatico". Sembrano Luttwak.
    La devozione alla Casa Bianca, per alcuni ex, è granitica come ieri quella del Pci verso il Cremlino rosso.
    Non pensano all'interesse degli europei (italiani compresi) i quali non vogliono sprofondare in un guerra duratura e nella catastrofe economica. Loro sognano di abbattere Putin (come vorrebbe Biden).
    Un esempio? Il Corriere della sera. Da un po' è diventato "l'Unità del terzo millennio": vengono infatti dall'Unità sia il direttore, sia i principali editorialisti come Walter Veltroni e Antonio Polito (Paolo Mieli viene addirittura da "Potere operaio"…).
    L'editoriale di ieri, firmato da Polito, aveva un titolo militaresco: "Il fronte interno". Calzato gagliardamente l'elmetto degli artiglieri da salotto, Polito inizia stentoreo: "Il 'partito della resa' ha gettato la maschera. È ancora minoritario, ma punta ormai al bersaglio grosso: portare l'Italia nel campo di Mosca, confermando così l'antico pregiudizio per cui non finiamo mai una guerra dalla parte in cui l'abbiamo cominciata".
    Qualcuno dovrebbe informare Polito che l'Italia non è entrata in guerra (un piccolo dettaglio). Ma il virile richiamo politesco fa ricordare un triste passato (che speriamo non torni).
    Era il giugno 1940 e la prima pagina del "Corriere della sera" quel giorno tuonava: "Popolo italiano corri alle armi! Folgorante annunzio del Duce: la guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Dalle Alpi all'Oceano Indiano un solo grido di fede e di passione: Duce! Vinceremo!".
    Fu una catastrofe. Si dirà che c'era il fascismo e i giornali dovevano allinearsi. Certo, ma è un'aggravante: quando si beneficia dell'eredità di un'antica testata bisogna anche ricordarne la storia e i drammi (onori e oneri).

    MANDARE ARMI PER FERMARE ARMI NON HA SENSO
    E bisogna pensarci quattro volte, oggi che siamo liberi, prima di carezzare di nuovo l'idea della guerra con leggerezza, gettando benzina sulla follia incendiaria di Putin. Invece il Corriere se la prende con i panciafichisti.
    È grottesco che uno che viene dall'Unità, su un giornale diretto da un collega che viene anch'egli dall'Unità, accusi chi invita Zelensky a trattare e cedere qualcosa, per mettere fine alla strage, di voler "portare l'Italia nel campo di Mosca".
    Siccome Vittorio Feltri è stato il primo a prospettare (su queste colonne) tale idea, ne deriva che Feltri sarebbe uno che vuol "portare l'Italia nel campo di Mosca".
    Il concetto fa già ridere così. Ma appare surreale se si pensa che è espresso da un collega che viene dall'Unità, giornale che, per la morte di Stalin, aveva titolato: "Stalin è morto. Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità".
    Forse un minimo senso del ridicolo e del tragico aiuterebbe Polito e i colleghi del Corriere a ritrovare quella saggia moderazione che si addice a un giornale liberale e borghese.
    Ieri anche il premier israeliano Bennet, a quanto pare, ha suggerito al leader ucraino ciò che Feltri ha scritto giorni fa: trattare e cedere qualcosa per salvare la vita della sua gente e risparmiare loro tante sofferenze. Anche il suo è da ritenere un "sostegno esplicito al tiranno"?
    Sempre sul Corriere della sera, Paolo Mieli se l'è presa con chi dice che non bisogna prolungare la carneficina mandando armi all'Ucraina, ma sarebbe meglio trattare con Putin. Per lui questo è "pacifismo cinico". Però anche una testimone della Shoah come Edith Bruck...

    • 15 min

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