Pietre Parlanti

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Pietre Parlanti

Visitare Roma con lo sguardo all’insù, ascoltando le storie che si nascondono dietro le targhe sui muri. Pietre che parlano di palazzi, chiese, alberghi, case e dei loro ospiti molto, ma molto speciali. - Scarica l'app Loquis per iOS e Android.

  1. 22/07/2020

    Wilhelm Waiblinger

    Questa è la storia di un poeta estinto mentre andava cercando libertà, da chiuso morbo combattuto e vinto. Questa è la pietra parlante di Wilhelm Waiblinger, consunto dalla tisi al primo piano di via del Mascherone 62, angolo via Giulia. Era il 1826 e l’inquieto studente di Tubinga aveva davvero bisogno di sognare. Passeggiatore solitario e fashion victim, piccola anima smarrita tra donne e poesia, si era fatto cacciare da scuola. Non bastava a consolarlo quell’amico folle che viveva in una torre e si riempiva le tasche di sassi. Spacciandosi per corrispondente letterario, Waiblinger fuggì a Roma dove: -diede fondo a tutte le sue ghette, vagando sempre più inquieto tra città e campagna. -incontrò un nuovo amico, il poeta Auguste Von Platen, che invidiava perché si vestiva meglio di lui ma che gli diede anche una mano a sopravvivere. -incontrò la colonia tedesca a Roma, gentaglia stupida, pettegola, meschina, come quei Nazareni, che deliravano sui Nibelunghi e Pinturicchio. -incontrò Nazarena di Olevano Romano, musa di un Parnaso contadino che gli ispirò i “Canti di Nazarena” e i “Canti dell’infedeltà”. -incontrò altre contadine, cameriere, cittadine, pazze di quella faccia d’angelo caduto tra le osterie, i caffè, i teatri. L’ultima fu Nena, una focosa trasteverina, detta “Cornacchia”. Gli diede due figli e tutto l’amore necessario per accompagnarlo sereno nei suoi campi elisi. Prima di morire Waiblinger scrisse altre poesie, corrispondenze di viaggio, una fiaba e una modernissima satira sul turismo inglese. Ma la sua opera più grande è aver capito che dentro l’amico folle chiuso nella torre con le tasche piene di sassi si nascondeva un genio, Friedrich Hölderlin.

  2. 18/07/2020

    Santa Brigida di Svezia

    In piazza Farnese, il palazzo omonimo vi aspetta con Sangallo e Michelangelo. A destra, al numero 96, c’è una chiesa e una pietra che parla di Santa Brigida di Svezia. Quando arrivò a Roma, nel 1350, era una principessa, vedova e madre, che aveva avuto una visione, fondare un ordine monastico. Ma aveva bisogno del papa così, da questa casa, cominciò a: -scrivere al papa, “prigioniero” ad Avignone, che tornasse nell’Urbe per approvare l’Ordine del Santissimo Salvatore. -scrivere al papa che tornasse subito, perché a Roma stava andando tutto a rotoli, strade di fango ed erbacce, vipere e rospi, anche nel clero. -richiamare i romani ad una maggiore moralità, solo che qualcuno la prese male e una notte stava per darle fuoco. -richiamare i potenti all’ordine, perché non se ne poteva più di quell’Europa divisa e sempre in guerra. -studiare il latino, darsi ad opere di carità, chiedere l’elemosina alle porte delle chiese. -offrire la sua casa ai pellegrini svedesi, che, grazie a lei, arrivavano sempre più numerosi. -pellegrinare lei stessa tra Assisi, Amalfi, Bari, Napoli, fino al cammino estremo, il Santo Sepolcro a Gerusalemme, dove si ammalò. Di ritorno dalla Terrasanta, nel 1373, Brigida lasciò questa terra proprio in questa casa, che ancora oggi ospita pellegrini e turisti di ogni confessione. Ma ce l’aveva fatta. Il papa era tornato a Roma, anche se poco, e aveva approvato l’Ordine del Santissimo Salvatore. Il corpo della santa venne portato in Svezia che tuttora la venera come patrona. E senza di lei, a Lamporecchio non avrebbero saputo come chiamare quei dolcetti tanto buoni.

  3. 15/07/2020

    Gioachino Rossini

    Al primo piano di un palazzo storico, di via dei Leutari 35, Gioachino Rossini trovò le armonie sempre nuove del Barbiere di Siviglia, dice una targa. E una delle più grandi delusioni della sua vita, disse lui. Era il novembre del 1815, triste era Roma, in pugno ad un papa che io i teatri li chiuderei tutti. Fortuna che il cardinale segretario di Stato la pensava diversamente, voleva allegria e dunque la stella dell’opera buffa. In cambio di un ottimo ingaggio Rossini promise “Il Barbiere”, ma: -fece a botte con i tempi di consegna, un precipitoso crescendo che neanche i suoi. -fece a botte con l’impresario del Teatro Argentina, dove l’opera andava in scena, per la scelta di cantanti e librettista. -fece a botte con la sera della prima, quando leggenda dice che tutto quel che poteva andare a rotoli rotolò: un gatto nero sul palcoscenico, un cantante per terra, la pancia di Rossini dentro la ridicola zimarra. -fece a botte col pubblico della prima che non smise mai, tranne che per qualche aria, di fischiare l’opera. -fece a botte con sè stesso perché proprio non capiva quel fiasco, e neanche noi. -fece a botte col Barbiere, tagliando lo spartito per la seconda rappresentazione, alla quale, dandosi malato, nemmeno si presentò. Almeno fu un trionfo, la sera dopo uguale e così sempre, per duecento e tre anni. Rossini lasciò Via dei Leutari nel marzo del 1816, ma tornò a Roma per altre prime, divertendosi un po’ di più. Tipo una sera di Carnevale quando, travestito da donna, chiese l’elemosina suonando la chitarra per le strade del centro. Con lui, un altro pazzo en travesti che da come strapazzava il violino era sicuro quel suo amico, sì, dai, Niccolò Paganini.

  4. 11/07/2020

    Costanza Monti Perticari

    Una targa tutta per te no, eh? Dovevi essere la figlia di, la moglie di e di chi poi... E allora, cara Costanza, questa pietra parlante è per te e per tutte quelle che furon lì lì ma non furono. -Sei nata in questa casa di via dei Prefetti 22, nel 1792, da Teresa Pikler, attrice chiacchierata che ti amò ben poco e da papà Vincenzo, Monti, il poeta. T’adorava, ma sempre a caccia di un potente da adulare non aveva tempo per te. Così ti mandò in Romagna, a studiare dalle Orsoline. -Crescevi bene, piena di grazia, dottissima, un gioiello. Poi, come sempre accade, perle ai porci. A 20 anni convolasti a nozze con un conte pesarese scelto da mamma, che al solito scelse per te il peggio. -Pretese una cospicua dote, in cambio ti offrì titoli e corna e se provavi a prenderti i tuoi spazi la macchina del fango in moto andava. -Ma tu volevi solo essere qualcuno perchè sapevi fare tutto, prosa, poesia, teatro, per poi non dire del tuo amato Dante, che commentavi con perizia vera. Oltre la siepe volevi volare, così convincesti il conte a trasferirvi a Roma, la tua città, che tua, però non era più. –Gente oziosa, ladra e peggio se vi è, qual contrasto fra Roma antica e Roma ora meschina scrivevi disperata. Nella Biblioteca Vaticana non potevi entrare, nei salotti del Papa non volevi, il signor conte continuava a rincorrere sottane, ebbe anche un figlio, mentre il tuo morì neonato. -Tornaste a Pesaro, più lontani che mai. Il conte si ammalò, i medici non capirono, morì. Contro di te l’inferno, dicevano perfino l’avessi avvelenato. Fu tutto un combattere, per discolparti, per la tua dote. E quando, finalmente, dalle tue Orsoline, ti rifugiasti a tirare il fiato, nel petto un sussulto: il primo segnale del tumore che ti portò via, a nemmeno 50 anni.

  5. 08/07/2020

    Adelaide Ristori

    Capita che una targa si divida in due. Aldo Palazzeschi e Adelaide Ristori, coinquilini separati dal tempo, nel palazzo di Via dei Redentoristi 9, il palazzo di Adelaide marchesa Capranica del Grillo, l’attrice italiana più famosa dell’800. Nata letteralmente su un palco, ci diventò grande, fino a quando una sera, a Roma, chiese di lei il proprietario del Teatro Metastasio, Giuliano Capranica del Grillo: voleva sposarla. Un marchese e un’attrice, quando mai. Invece Giuliano si mise a servizio perché lei potesse: -oltrepassare le Alpi e conquistare Parigi, e George Sand, e de Lamartine, con Dumas che le rubò la ricetta dei maccheroni. -oltrepassare la Manica e conquistare Londra, con la regina Vittoria che la trovò “una cosa sublime”. -oltrepassare l’Europa e conquistare San Pietroburgo, con lo zar che l’ascoltò in missione diplomatica per Cavour. -oltrepassare l’Oceano e conquistare New York, e il generale Grant, e Pedro II del Brasile. -oltrepassare ogni confine e conquistare il mondo, con le sue regine tragiche, i vestiti che le faceva Worth, i suoi attori, la sua interpretazione. -oltrepassare i tempi, con il suo essere marchesa, lavoratrice, moglie/madre devota. Dopo la morte del marito, Adelaide Ristori si ritirò a Palazzo Capranica, dove ogni giorno qualcuno andava a renderle omaggio. Il 29 gennaio del 1902 entrò Vittorio Emanuele III, un onore mai reso ad altro artista. La struttura originaria di Palazzo Capranica risale al Cinquecento e ci deve essere un certo non so che se il 7 settembre del 1791 ci nacque anche Giuseppe Gioachino Belli. La targa la trovate nella vicina via Monterone.

  6. 04/07/2020

    Pablo Picasso

    Davanti a un cortile di Via Margutta 53/B, una targa ricorda che da un marchese di 102 anni fa Pablo Picasso affittò un atelier. L’impresario Diaghilev stava preparando a Roma Parade, il primo balletto cubista della storia. Squadra da paura, libretto di Cocteau, musica di Satie, coreografo Massine. Mancava qualcuno per scene e costumi, Cocteau pensò a Picasso e per convincerlo si travestì da Arlecchino. Lui, che stava in un periodo nero, sorrise. In questo atelier dipinse: -Villa Medici, più volte, di sbieco, strizzando l’occhio ai puntini di Severini. -Le ragazze di piazza di Spagna, che venivano dalla Ciociaria per far da modelle e nacquero L’Italiana e Arlecchino e donna con collana. -Le scene, i costumi e il grandioso sipario di Parade, cubisti sì ma di un cubista che alla finestra aveva Roma e il suo passato. Poi non è che Picasso passasse le ore qui dentro. C’era una guerra da dimenticare e i colleghi eran gente da baracca. Quindi chiudeva bottega e andava: -a visitare musei, specie la Galleria Borghese e il suo Bernini. -al caffè, al ristorante, specie la Basilica Ulpia al Foro di Traiano. -a teatro e al dopo teatro, per incontrare quell’opera d’arte vivente della marchesa Casati. -a puttane, o almeno si era segnato l’indirizzo del bordello, via Tomacelli 140. Picasso rimase a Roma tre mesi. Le Parade andò in scena a Parigi, tre mesi dopo e fu un fiasco. Non per Picasso, però, che dal suo soggiorno nell’Urbe si portò a casa una moglie, la ballerina Olga Kokhlova, testimoni Guillaume Apollinaire e Jean Cocteau. Ma non durò molto.

  7. 01/07/2020

    La peste

    Nella Basilica di Santa Maria del Popolo, nella piazza del, c’è più di una targa, ma questa storia comincia in una locanda di Trastevere, dove, nel 1656, scese un pescajuolo napoletano. Era malato, finì allo spedale, morì. Vedendo un pomfo sul tapino, qualcuno pensò: “E’ peste”. Qualcun altro pensò di no e si scelse di tacere. Ma quando il pomfo colse anche la locandiera, tutti convennero: “E’ peste”. Il papa convocò una task force d’emergenza, che ogni mattina si riuniva per: -approntare cordoni sanitari, nelle zone di mare e di confine; chiudere le strade secondarie; lasciare aperte solo 8 porte della città, presidiando ciascuna con le armi; disinfettare i soldi nell’aceto; punire i trasgressori. Ma il morbo penetrò lo stesso. Il papa allora: -allestì un lazzaretto di primo soccorso sull’Isola Tiberina, dove si poteva arrivare solo via fiume. -ne allestì altri due a San Pancrazio e a Casale Pio V, per le convalescenze. -ne allestì un quarto dentro via Giulia, post convalescenza e un quinto a Sant’Eustachio, per i soggetti a rischio. -impedì a medici, chirurghi e compagnia di uscire da Roma, pena la morte e la confisca dei beni. -indisse un giubileo per chiedere aiuto in alto, ma la gente aveva paura a uscire e a giubilare rimasero i prelati. -corresse il tiro con digiuni e preghiere, sospese le processioni, le prediche di piazza, feste e consessi civili e letterari. Ma la peste continuò, fino all’agosto dell’anno dopo. Il papa venne a celebrarne la fine in Santa Maria del Popolo, con un solenne Te Deum. I morti furono quasi 15mila, a fronte di 100mila abitanti. Eppure, furono meno che in altre città.

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