9 episodi

Le grandi firme del giornalismo e le grandi voci della lirica raccontano l’eterno spettacolo dell’opera. Una serie podcast del Corriere della Sera e della Fondazione Arena di Verona in otto puntate (ogni giovedì). Con Roberta Scorranese.

Sull'ali dorate Corriere della Sera

    • Arte
    • 4,8 • 4 valutazioni

Le grandi firme del giornalismo e le grandi voci della lirica raccontano l’eterno spettacolo dell’opera. Una serie podcast del Corriere della Sera e della Fondazione Arena di Verona in otto puntate (ogni giovedì). Con Roberta Scorranese.

    8. L’opera, la moda, il costume e i costumi

    8. L’opera, la moda, il costume e i costumi

    I costumi sontuosi dell’Aida e quelli raffinati della Bohème: l’opera è anche un grande laboratorio di moda. Una piccola storia che cuce – letteralmente – le star della voce e della musica, gli stilisti e gli scenografi, i registi e i sarti, da sempre dietro le quinte ma ben presenti negli occhi di chi affolla i palchi. E forse è stato anche grazie a loro che alcune cantanti sono diventate delle icone della modernità. Per esempio, Maria Callas, che fece il suo debutto all’Arena di Verona nel 1947, nella Gioconda di Ponchielli. Da New York l’aveva portata il direttore artistico, lo stesso Giovanni Zenatello che aveva fondato il Festival nel 1913. Ma, dagli spalti dell’Arena, molti ricorderanno dive come Carla Fracci, che nella Carmen di Zeffirelli del 1995 non sopportava un abito che faceva difetto. Il tutto fu risolto da un repentino colpo di forbici bene assestato dalla caposarta. Ma che cosa lega l’opera, i grandi allestimenti e la moda? Ne parlo in questo ottavo e ultimo episodio con Giuseppina Manin (che ha raccontato per il nostro quotidiano centinaia di opere) e Matteo Persivale, che si occupa di moda e tendenze per il Corriere della Sera. Sono loro a spiegarci come si sono evoluti il design, la ricerca dei materiali e la tecnologia delle messe in scena.

    • 16 min
    7. L’opera a tavola

    7. L’opera a tavola

    Presto il patrimonio immateriale dell’Unesco potrebbe arricchirsi di due nuove presenze, molto significative per l’Italia: l’arte del canto lirico e la cucina del nostro Paese. Le due candidature sono state presentate di recente e l’accostamento non è sorprendente, come dimostrano la tavola di Scarpia attorno a cui si svolge gran parte dell’azione di Tosca, ma anche alcune ricette che hanno reso celebre Gioacchino Rossini quasi quanto le sue opere più note, come Cenerentola. Per non parlare della passione di Giuseppe Verdi per pranzi e cene che si ritrova nell'aria finale del Falstaff, come racconta Angela Frenda, editor in chief di Cook, la sezione dedicata al food del Corriere della Sera.
    Ma se la musica è da sempre un simbolo dell’Italia, la cucina si è imposta a livello internazionale in tempi più recenti. Merito di chi ha saputo attualizzare la tradizione, anche passando attraverso alcuni show televisivi di successo. E proprio uno di questi programmi ha permesso di scoprire il talento di Tracy Eboigbodin, nigeriana trasferitasi da ragazzina proprio a Verona, dove ha imparato che la cucina italiana è ben diversa da quella che immaginava. E ora si diverte a studiare contaminazioni tra piatti e culture.

    • 24 min
    6. L'opera e l'Italia

    6. L'opera e l'Italia

    «Noi italiani siamo convinti di avere una grande letteratura», dice Aldo Cazzullo, vice direttore del Corriere della Sera e grande narratore della storia d’Italia, moderna e contemporanea. «In effetti, nell’Ottocento grandi italiani hanno scritto grandi romanzi: Alessandro Manzoni, Ippolito Nievo... Tutti autori, però, che al di fuori dei nostri confini sono molto meno noti: forse l’unico grande romanziere italiano che ha avuto un pubblico internazionale è stato Carlo Collodi, il papà di Pinocchio. A essere davvero internazionale, invece, è l’opera».
    E non è soltanto un fenomeno dell'Ottocento. L’opera è viva e vera. La conoscono tutti, la amano in Giappone, in Cina, in Corea, in Sudamerica. È uno dei simboli dell’Italia nel mondo, perché fenomeno fortemente italiano (siamo il “Paese del melodramma”, secondo la definizione di Bruno Barilli), che parlava innanzitutto alle menti e ai cuori degli italiani. Quando, nel 1842, per la prima volta alla Scala e poi nei grandi teatri italiani, risuonò il Va’, pensiero, il coro del Nabucco, molti pensarono che “la patria bella e perduta” cui si riferiva Giuseppe Verdi non era soltanto la patria del popolo ebraico prigioniero a Babilonia. Era anche l'Italia (probabilmente al di là delle intenzioni stesse dell’autore…).
    L’Arena, un monumento che si riaccende ogni anno da oltre un secolo nel cuore di Verona, è parte integrante e fondamentale di tutto questo, parte della nostra identità e del nostro immaginario: il maestro Marco Armiliato, che nell’estate 2023 ha diretto l’orchestra nell’inaugurazione della stagione numero 100 dell’Arena Opera Festival, spiega quali sono le peculiarità della musica italiana, in particolare di quella pensata e composta per l’opera lirica.

    • 19 min
    5. L’opera in tv e al cinema

    5. L’opera in tv e al cinema

    Sul grande schermo, l’opera lirica veniva rappresentata quando ancora non esisteva il sonoro. Su quello piccolo, compare fin dalle prime trasmissioni, nel 1954. È da sempre strettissimo il rapporto tra lirica, cinema e televisione. I due critici del Corriere della Sera, Aldo Grasso e Paolo Mereghetti, ripercorrono da principio le modalità con cui una forma antica d’espressione come il melodramma è stata immediatamente accolta e rielaborata dai mezzi di comunicazione di massa che hanno caratterizzato il Novecento: dai film opera alle dirette tv, dai film biografici alle produzioni ad hoc per il pubblico degli appassionati.

    • 24 min
    4. L’opera e la politica

    4. L’opera e la politica

    Il deforme buffone di corte che si ribella all’arroganza e agli eccessi del Duca di Mantova nell’esercizio del potere sulla vita dei membri della sua corte nel Rigoletto di Verdi. Il conte d’Almaviva che nel Barbiere di Siviglia di Rossini, travestito da soldato e ubriaco, evita l’arresto dichiarando la sua identità con il più tipico dei «Lei non sa chi sono io!» (tanto che il capo dei gendarmi si inchina) e poi sposa Rosina obbligando Don Basilio a far da testimone sotto la minaccia di una pistola. Ecco due simboli perfetti dell’Italia, il Paese delle cento città e dei mille campanili, dove una posizione di privilegio locale (ufficiale o meno, non importa) si dimostra molto più potente di ogni potere centrale, come racconta il presidente emerito della Corte costituzionale (e grande appassionato di lirica) Sabino Cassese.

    L’opera racconta anche la politica, in modo diretto. Ma spesso lo fa anche indirettamente, nel momento in cui è la politica stessa a tentare un’operazione vecchia come il melodramma: appropriarsene per ragioni di consenso, come ricorda (archivi del nostro quotidiano alla mano) la vicedirettrice del Corriere Fiorenza Sarzanini.

    • 23 min
    3. L'italiano, la lingua dell'opera

    3. L'italiano, la lingua dell'opera

    Diva, crescendo, allegro, bravo, sottovoce, Maestro, finale, e naturalmente opera: sono alcune delle parole italiane entrate nel vocabolario inglese (e non solo). Derivano tutte dalla musica e dal canto, a dimostrazione della capacità della lirica di essere universale pur adoperando una lingua arcaica. E quante espressioni sono diventate per noi di uso comune, magari senza sapere che provengono da un libretto d’opera, come quello di Traviata o di Tosca o del Barbiere di Siviglia: «Croce e delizia», «bugia pietosa», «un bel dì vedremo», per esempio. Beppe Severgnini le dedica ad alcuni personaggi della politica (da Carlo Calenda a Elly Schlein), mentre il peruviano Juan Diego Florez, uno dei più grandi tenori al mondo, spiega in che modo l’italiano dell’opera lo abbia aiutato a meglio conoscere il nostro Paese, che è diventata di fatto la sua seconda patria.

    • 25 min

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