Rame

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Rame è la serie podcast di una community che vuole sfatare il tabù dei soldi. Nasce all'interno di una piattaforma (www.rameplatform.com) che attraverso i suoi contenuti si pone l’obiettivo di avviare una rivoluzione culturale nella società, che trasformi la finanza personale in un argomento di conversazioni audaci e liberatorie. Annalisa Monfreda, ogni settimana, dialoga con un ospite diverso seguendo il filo della sua storia economica. Parlare di soldi può essere intimo e coinvolgente, rivelatorio ed eccitante. E si finisce sempre per svelare chi siamo e ciò in cui crediamo.

  1. Episodio 96: Ho ereditato i soldi, ma ho respinto l'idea che non andassero goduti

    3 DAYS AGO

    Episodio 96: Ho ereditato i soldi, ma ho respinto l'idea che non andassero goduti

    Elena Valzania ha 57 anni, vive a Ravenna dove è nata, ed è una naturopata. Cresce in una famiglia che non ha problemi economici, ma è poco avvezza a godere della ricchezza. «Sia io che mia sorella abbiamo beneficiato di una situazione in cui i nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano. Infatti, la casa in cui abito l'ho ereditata da loro». A un certo punto, la malattia entra nella storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. La nonna "imprenditrice" muore a 56 anni e il papà di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando Elena ha 20 anni. «A volte si pensa che l’eredità sia solo una fortuna, ma in realtà va gestita sotto molti aspetti, anche da un punto di vista emotivo». Assieme ai soldi, infatti, Elena eredita anche il modo in cui i soldi sono considerati nella sua famiglia. «La pesantezza della gestione, l'equazione lavoro = fatica..., ma all'epoca non riuscivamo a vederlo. È stato più chiaro solo dopo». Elena fin da piccola si interroga sulle malattie che sembrano accanirsi sulla sua famiglia, sul perché colpiscono alcuni e non altri. Così da grande studia Farmacia, e una volta laureata, si appassiona al mondo dell'omeopatia. Quando inizia a lavorare, le sembra facilissimo rispetto allo studio. Ma il fatto di non provare quella fatica di cui sentiva parlare in famiglia, le fa dubitare del valore da attribuire al suo lavoro. E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio. A un certo punto, mentre è alla sua prima maternità, l’azienda viene acquisita da una più grande e si avvia il processo di fusione. Al suo rientro, Elena capisce di essere finita dentro un gioco finalizzato a spingerla alle dimissioni. Nel frattempo, scopre di essere incinta della sua seconda bambina, così decide di non avviare una battaglia legale ma di patteggiare. Chiude la sua carriera aziendale con un licenziamento e un po’ di soldi da parte dell’azienda. Elena non rientrerà più nel mondo ufficiale del lavoro: «Ho continuato a fare molta formazione per me e ho trasformato in vari modi queste conoscenze». I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Io e mio marito abbiamo sempre avuto questa mentalità di investire su di noi: se avevamo mille euro in più, ci facevamo un viaggio. Diciamo che finora è andata bene, però siamo consapevoli che è importante avere un po' più di progettualità. Forse adesso diventeremo più saggi… ci stiamo dando una regola».

    18 min
  2. FEB 4

    Episodio 95: Ero l'avvocatessa dei farabutti. Oggi difendo le vittime di violenza. In gratuito patrocinio

    l gratuito patrocinio è un istituto previsto dalla legge italiana che, dal 2001, consente alle persone con un reddito basso di essere assistite da un avvocato senza dover pagare le sue parcelle, poiché queste sono a carico dello Stato. Dal 2011, questa legge è stata estesa a tutte le donne vittime di violenza, senza alcuna distinzione di reddito. Dietro questa legge, però, ci sono avvocati e avvocatesse che, non solo rinunciano a stipendi stellari, ma a volte aspettano anni per essere pagati dallo stato. Alessia Sorgato è una di loro. Ha 57 anni e abita a Milano. Figlia di un notaio e di una casalinga, viene spinta verso gli studi in Legge, che odia, fino all'incontro col diritto penale. È amore a prima vista e, non appena laureata, inizia subito a lavorare in uno studio molto importante, dove fa una gavetta incredibile. Per dieci anni, si occupa di maxi processi: omicidi, Mani Pulite... A 30 anni è capo del dipartimento e ha una solida esperienza come difensora dei criminali. Quando cambia studio di avvocati, le cose non vanno come sperato. Conscia delle sue possibilità economiche e di uno stipendio fisso, aveva appena acquistato la sua prima casa, quando, dopo un anno, viene licenziata. Indebitata fino al collo e con la pressione di un mutuo da pagare, Alessia prende in affitto un soppalco sopra uno studio di architettura e inizia a esercitare la libera professione. Qui comincia il secondo tempo della sua vita. Per fare cassa inizia a scrivere per alcune riviste del Sole 24Ore: pian piano gli articoli si trasformano in libri. E un giorno, durante la presentazione di un suo libro sullo stalking, la psicologa fondatrice di “Soccorso Rosa”, un centro antiviolenza intraospedaliero di Milano, le chiede di collaborare con lei. Alessia accetta e per la prima volta, si ritrova a difendere le vittime. In dieci anni, assistono più di 400 donne. Alessia si prende l’impegno di informare le donne del loro diritto a essere difese in gratuito patrocinio. «Non tutte le mie colleghe fanno lo stesso. Recentemente, mi hanno raccontato di avvocate che difendono le vittime, ma sconsigliano loro di chiedere il gratuito patrocinio, dicendo che il giudice potrebbe vederle di cattivo occhio.». Eppure, nonostante la grande dedizione e impegno verso la causa, i tempi per ricevere il pagamento dallo Stato sono lunghissimi, con l'attesa che può protrarsi per anni prima che venga riconosciuta una retribuzione per ogni singolo processo. Ma che cosa spinge Alessia ad andare avanti nonostante tutto? «La soddisfazione più grande che ho è che molte donne le salviamo fisicamente, anche se non lo faccio da sola, perché il percorso di presa in carico di una vittima di violenza coinvolge sempre almeno tre o quattro persone: la penalista, la civilista che la fa separare, la psicologa e le volontarie. In alcuni casi, le ho letteralmente afferrate per i capelli e le abbiamo fatte uscire da situazioni pericolosissime, con uomini che le tenevano con le mani al collo. Questo tipo di risultati mi ripaga enormemente».

    22 min
  3. Rituali 09. Flavia Carlini: «Spendo 800 euro al mese per la mia endometriosi. È quasi uno stipendio»

    JAN 28

    Rituali 09. Flavia Carlini: «Spendo 800 euro al mese per la mia endometriosi. È quasi uno stipendio»

    Flavia Carlini è un’autrice e divulgatrice italiana, seguitissima sui social. Per anni, ha condotto l’estenuante ricerca di una diagnosi per i suoi dolori lancinanti, tra consulti medici e terapie inefficaci, arrivando a spendere decine di migliaia di euro senza avere risposte. Ma anche quando è riuscita a ottenere una diagnosi, le difficoltà non si sono affievolite. Il trattamento dell’endometriosi, infatti, rimane interamente a suo carico poiché questa malattia, che colpisce una donna su sette, non è ufficialmente riconosciuta dal sistema sanitario nazionale. «Io spendo mediamente 800 euro al mese per trattare tutte le mie malattie. È quasi uno stipendio. Io ho i miei genitori che mi aiutano a pagare tutto e questo è un privilegio gigantesco perché se loro non avessero avuto la possibilità di pagarmi le medicine o quello che il mio stipendio non mi dava, io sarei finita in mezzo a una strada e questo è un prezzo altissimo che io sto pagando in quanto donna». A questa battaglia per il diritto alla salute si intreccia un ulteriore peso: il costo economico e psicologico del dover aderire alle aspettative sociali imposte alle donne. Conformarsi agli standard di bellezza e comportamento richiesti dall’ambiente lavorativo non è mai stata per lei una scelta, ma una necessità che si traduceva in spese significative per abbigliamento, trucco e cure estetiche: «Troppo corto, troppo lungo, troppo aderente, troppo vistoso, troppo colorato, troppo scollato, troppo sottile, troppo spesso. Questo, ogni mattina. La mia premura era di vestirmi in modo tale da non essere molestata». Nonostante il successo sui social e la scelta di vivere di scrittura, Flavia ammette di non aver raggiunto l’indipendenza economica, rinunciando a collaborazioni pubblicitarie per mantenere la sua integrità. «Nella storia della letteratura, la cultura è sempre venuta dai margini. E voi direte: perché se è sempre venuta dai margini non può ancora venire dai margini? Perché oggi c'è il capitalismo, e se non produco, non mangio. E quindi la cultura rimarrà sempre un privilegio di una classe già privilegiata».

    12 min
  4. Episodio 94: Ho riprogrammato i miei pensieri per imparare a dare importanza ai soldi

    JAN 21

    Episodio 94: Ho riprogrammato i miei pensieri per imparare a dare importanza ai soldi

    Clara Tourres ha 33 anni ed è nata e cresciuta in Francia, in una famiglia di origine spagnola. Da sette anni vive a Napoli, dove lavora come giurista in un’azienda. Fin da quando è adolescente, impara che i soldi si guadagnano con il sacrificio, e così, appena 16enne, inizia a lavorare e non smette più: fa la babysitter, l’hostess, la barista. Mette assieme 1000 euro al mese e nel frattempo, studia Legge. Da sacrificio, i soldi iniziano a significare possibilità, e Clara matura un’importante fiducia sulla sua possibilità di guadagnare e stare al mondo.  All’ultimo anno di università, parte per l’Erasmus a Roma. E qui ha una sorta di epifania circa il luogo in cui vivere: dopo la laurea, infatti, le piacerebbe restare in Italia. Tuttavia, le difficoltà italiane nell’inserimento lavorativo, la costringono a ritornare in Francia, a Parigi, dove  inizia a lavorare come giornalista. Un volta terminato il contratto a tempo determinato, gliene propongono uno a tempo indeterminato. Ma nel frattempo, una sua amica francese che lavora a Napoli, le offre il suo posto in un’associazione che opera nel terzo settore. Lei accetta senza pensarci troppo. Lì guadagna 715 euro al mese e pensa di non aver bisogno di molto di più: «Ero convinta che non avevo bisogno di soldi perché ero una persona che viveva di esperienze, non di cose fisiche». Tre anni dopo, però, Clara la pensa molto diversamente. Si è ormai resa conto che in quell’associazione non avrebbe avuto un aumento ed è andata a lavorare in un’altra, più piccola, dove le cose vanno ancora peggio e per sette mesi non riceve stipendio. Ad aiutarla nel navigare questi mesi difficili c’è il gruzzoletto che aveva messo da parte negli anni. Ma c’è anche un percorso di yoga e meditazione, che sarà fondamentale nella sua storia, perché la aiuterà a darsi il giusto valore.  E infatti, a gennaio 2020, con la pandemia alle porte, Clara riceve un’offerta di lavoro da un’azienda come giurista. E, complice il lavoro fatto sui suoi pensieri, fa una cosa totalmente inaspettata: affronta la sua prima richiesta di aumento salariale. Dai 1.250 euro che le offrono, Clara riesce ad arrivare a 1.600. Arrivata a questo punto del suo percorso, si rende conto di quanto il suo “disinteresse” per i soldi l’avesse portata a doversene preoccupare ancora di più. «Non è detto che, semplicemente perché stai facendo, ce la farai per forza, perché ci sono circostanze esterne che possono essere molto sfidanti e difficili».

    14 min
  5. Episodio 93: Il mio obiettivo è diventare finanziariamente libero a 45 anni

    JAN 15

    Episodio 93: Il mio obiettivo è diventare finanziariamente libero a 45 anni

    Antonello Schiavo nasce a Sulmona, in Abruzzo, in una famiglia molto semplice. I soldi, per lui, sono ciò che lo separa dal suo obiettivo di breve termine: vestire alla moda, come tutti i suoi amici. «Mia madre sceglieva i vestiti al posto mio e questa esperienza ha avuto grandi ripercussioni quando ho iniziato a guadagnare, perché son finito a spendere un po’ troppo in abbigliamento. Però era ciò che mi mancava». Quando Antonello inizia a fare i primi lavoretti, sperimenta il sentimento di indipendenza legato al denaro, ma non riesce ancora a sviluppare una visione a lungo termine per ciò che guadagna. Neanche gli studi di Economia aziendale lo aiutano in questo: impara a gestire il conto economico di un'azienda ma non il suo personale. Dopo un Erasmus in Polonia, decide di trasferirsi a vivere lì e trova lavoro per Google. Continua a spendere tutto il suo stipendio in viaggi e in abbigliamento. Della prima voce non si è mai pentito, ma la seconda viene profondamente messa in discussione da un incontro che fa a Danzica: quella che poi diventerà sua moglie gli fa scoprire che si può vivere bene con molte meno cose, magari di maggiore qualità. E così, Antonello inizia a disfarsi del di più, dandolo spesso in beneficienza. Un secondo cambiamento cruciale nella sua relazione con i soldi, avviene quando riceve il primo aumento: «Fino a quel momento ero abituato a risparmiare sempre per obiettivi a breve termine, ma nel momento in cui mi sono ritrovato con un surplus, mi sono chiesto: "che cosa ci faccio?"». Questa domanda apre per Antonello una sorta di vaso di Pandora. Inizia a leggere libri di crescita personale e a studiare i temi di educazione finanziaria. Scopre che il risparmio è un'azione finalizzata a obiettivi di lungo termine e non è ciò che avanza ogni mese, ma una cifra messa da parte intenzionalmente all'arrivo dello stipendio. Dopo innumerevoli riflessioni arriva a darsi l'obiettivo di diventare finanziariamente libero entro i 45-50 anni: «Per me, l'indipendenza finanziaria non significa smettere di lavorare e trascorrere la giornata in spiaggia a sorseggiare cocktail, ma piuttosto avere la libertà di scegliere come impiegare il mio tempo».

    16 min
  6. Episodio 92: Quando il posto fisso e statale diventa una gabbia di povertà

    JAN 7

    Episodio 92: Quando il posto fisso e statale diventa una gabbia di povertà

    Chiara Fassino abita in provincia di Cuneo ed è la direttrice degli asili nella sua città. Nella mail in cui ci contatta si descrive così: «Io sono il posto fisso statale, quello che per molti è un sogno proibito, per me è diventato una gabbia. Io sono il posto fisso perché mio padre nel '74 ha esperito il grande rifiuto di una posizione alle poste. Ho bevuto col latte le recriminazioni di mia madre e crescendo ho saputo fare una sola cosa: vincere concorsi pubblici».  Quel lavoro alle Poste, rifiutato dal padre nel 1974, influenza profondamente la visione che Chiara ha dei soldi. Per lungo tempo, crede che essi possano arrivare soltanto da un posto fisso. E mossa da questa convinzione, vince il primo concorso pubblico quando ancora sta frequentando l’università, e trova lavoro nell’amministrazione dei Comuni della sua Provincia, dove resta per dieci anni. Nel frattempo, mossa dalla sua passione per la natura, Chiara apre un’associazione e una cooperativa nel settore turistico. Senza mai trovare il coraggio di farne un lavoro vero. Nel frattempo riprende a studiare, si specializza sulla formazione all'infanzia, vince un nuovo concorso pubblico e diventa direttrice degli asili della sua città. Negli anni, però, matura dentro di lei una profonda delusione: «Per me la penna non cade quando finisce l'orario. Il problema, però, è che nel pubblico questa cosa non è valorizzata per niente, perché che io rimanga lì, che faccia progetti, che faccia arrivare centinaia di euro al mio ente, la mia situazione economica resta immutata. E questo mi ha generato molta frustrazione». Chiara infatti, nonostante la doppia laurea e l’impegno nel suo lavoro, percepisce uno stipendio di 1.600 euro al mese. Non solo non riesce a mettere nulla da parte, ma a volte deve intaccare il tesoretto che ha messo da parte e investito prima ancora di iniziare il suo lavoro nel settore pubblico. Questa frustrazione inizia a manifestarsi anche fisicamente, tanto che, a un certo punto, Chiara decide di prendersi un'aspettativa di due mesi per riflettere su quale direzione prendere. «Io rimarrei nel pubblico, perché mi appassiono e ci metto tutta me stessa, ma il prezzo che pago è troppo alto. Perciò, un'idea potrebbe essere quella di optare per un part-time, mentre tento una nuova strada da libera professionista. Fare un salto nel buio è troppo per me. Sto cercando di costruire un puzzle, sperando di comporlo il prima possibile».

    13 min
  7. Episodio 91: E se la soluzione non fosse risparmiare, ma guadagnare di più?

    12/18/2024

    Episodio 91: E se la soluzione non fosse risparmiare, ma guadagnare di più?

    Elisa Pistis ha 38 anni ed è un’attrice. Nasce in Sardegna da un papà ferroviere e una mamma impiegata, che si sono emancipati da contesti molto umili e che le trasmettono l’importanza del risparmio. Elisa capisce subito che ogni desiderio esaudito racchiude il costo di ciò a cui si è dovuto rinunciare per realizzarlo. «Un'educazione di questo tipo ha creato in me una costante ansia che i soldi non bastassero mai e che quindi tutte le spese “superflue” potevano o essere tagliate oppure accuratamente ponderate». A dispetto di questa relazione con il denaro, Elisa sceglie di intraprendere una carriera intrinsecamente instabile, e cioè, quella teatrale. Finita l’università in Beni Culturali, si iscrive all’Accademia d’arte drammatica a Udine e, una volta diplomata, si dedica con passione al suo sogno di diventare attrice, affrontando sacrifici e precariato. «Sono stati dieci anni complessi. Un mese avevo cinque spettacoli, ma il mese successivo non sapevo cosa aspettarmi». Quando la pandemia cancella improvvisamente la tournée in cui era impegnata, Elisa prende consapevolezza della necessità di avere un piano B, e di diversificare le sue fonti di reddito. «Vivo da sola e posso contare solo sulla mia capacità di lavorare come attrice. Se mi tolgono questa possibilità, io non ho paracadute». Così, inizia a cercare un secondo lavoro, conciliabile con i suoi impegni sul palcoscenico. Dopo un po’ di ricerche, trova un impiego in un altro ambito che l’appassiona: quello del benessere, nel campo del network marketing.  Grazie al nuovo lavoro, Elisa guadagna circa 700 euro al mese. Combinando queste entrate con quelle derivanti dal teatro, riesce finalmente a concedersi a regalarsi il lusso di qualche spesa superflua. «Se voglio andare al ristorante una volta in più, ora posso farlo senza troppi pensieri. Tuttavia, trovare un equilibrio non è sempre immediato: dopo una vita passata a risparmiare, liberarsi dall’idea che ciò che è superfluo si debba necessariamente evitare non è semplice. Cambiare mentalità richiede tempo e consapevolezza».

    12 min
  8. Episodio 90: Ho smesso di puntare tutto sul lavoro dipendente

    12/11/2024

    Episodio 90: Ho smesso di puntare tutto sul lavoro dipendente

    Michele Dalla Tezza ha 49 anni ed è sia imprenditore sia dipendente di una multinazionale nel settore marketing. Nato e cresciuto in provincia di Varese, uno dei quadretti familiari impressi nella sua memoria ritrae il padre artigiano e la mamma impiegata intenti a parlare di soldi. «Mia mamma teneva la contabilità della ditta di mio papà, e gli chiedeva i prezzi per poter fare le fatture ai clienti». Michele, nel suo piccolo, replica la stessa ritualità della madre, e con la paghetta mensile che riceve, compila un quaderno delle entrate e delle uscite. Abitudine che perde una volta adulto, quando si accomoda dentro il lavoro dipendente Michele approda in una grande multinazionale, dove costruisce una solida carriera e raggiunge una posizione di rilievo. Un giorno però, a causa di una ristrutturazione, gli viene chiesto o di accettare un nuovo ruolo, o di andarsene con una buona uscita. Nonostante la forte responsabilità che sente nei confronti del mantenimento della famiglia, e nonostante i calcoli economici gli suggeriscano di mantenere il posto dipendente, Michele decide di fare il salto nel vuoto, e di accettare la buonuscita: «La proposta che avevo ricevuto metteva in luce il fatto che, evidentemente, non ero più indispensabile». A quel punto, la prima domanda che si fa è: «Ma quanto posso vivere e mantenere la famiglia senza trovare un lavoro?». Questa domanda lo spinge a riprendere l’abitudine che aveva ai tempi dell’oratorio: fare un’analisi dettagliata delle sue entrate e uscite, e grazie a questo piccolo rituale riscopre il valore di avere il pieno controllo delle proprie finanze, al punto da concedersi più piaceri di prima. In quel periodo di piacevole scoperta, Michele si avventura nel mondo degli investimenti, appassionandosi ai temi delle entrate passive e del cash flow. Ed è proprio girando intorno a questi due concetti che decide di lanciarsi nelle locazioni del settore immobiliare e con un socio fonda una società immobiliare per gestirle. Nel frattempo, trova un altro lavoro in un’azienda, che però prende con tutt'altra mentalità rispetto al passato: «Devo dire che dà molta sicurezza avere il piano B, ti dà più leggerezza. Non investi tutto nel lavoro dipendente che può finire da un momento all'altro». Michele oggi ha trovato l’equilibrio tra attività imprenditoriale e attività dipendente e, anche grazie al percorso di Rame, ha dato risposta a una domanda che non si era mai posto, e cioè, quali sono i suoi obiettivi finanziari.

    13 min

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