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Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo

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Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo

    Arte moderna, il culto del nonsenso e del brutto

    Arte moderna, il culto del nonsenso e del brutto

    VIDEO: Alberto Sordi alla Biennale ➜ https://www.youtube.com/watch?v=lj438bBpX9w

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7688

    ARTE MODERNA, IL CULTO DEL NONSENSO E DEL BRUTTO
    L'opera dei critici diventa uno strumento per cambiare lo sguardo nelle masse nella realtà (VIDEO IRONICO: Alberto Sordi alla Biennale)
    di Valentina Sessa
    Oggigiorno dilaga un vero e proprio culto del nonsenso e del brutto, che oscilla tra il banale e il volgare o lo squallido, sia estetico che morale. La produzione artistica purtroppo non fa eccezione, in particolare dal secondo dopo guerra a oggi: costituisce esperienza diffusa non solo una certa fatica a comprenderne il significato, ma molto spesso, anche l'impressione che essa sia banale, fastidiosa, laida, "brutta". Alcuni esempi di famose opere discutibili sono: La fontana (orinatoio) di Marcel Duchamp, le tavole monocrome di Yves Klein, la Merda d'artista di Piero Manzoni, le Marylin o le Zuppe Campbell's di Andy Warhol, gli animali imbalsamati e immersi in formaldeide di Damien Hirst, i tagli di Lucio Fontana, i bambini impiccati di Maurizio Cattelan, i telai di Maria Lai. Altrettanto può dirsi per le innumerevoli installazioni fatte con oggetti di qualsiasi tipo.
    GLI INTERPRETI DEL BELLO
    Eppure la critica giudica molte di queste opere "capolavori", sollevando nel pubblico la sensazione di non avere gli strumenti culturali per comprendere tali "opere". Ma è corretto questo giudizio? Non dovremmo riuscire tutti a comprendere il significato di quanto vediamo, soprattutto quando l'opera non è espressione di una cultura diversa dalla nostra? E il senso della bellezza non è innato, così che ciascuno abbia titolo di esprimere un giudizio estetico pur non essendo uno storico o un critico dell'arte? Queste domande sono fondamentali per valutare tante opere - esaltate come produzione di "artisti" eretti a icone del nostro tempo - che, in realtà non sono capolavori come si vorrebbe far credere.
    Negli ultimi decenni, infatti, l'enorme potenziamento dei mezzi di comunicazione ha consentito a una élite di imporre una vera e propria dittatura culturale attraverso strumenti di comunicazione sofisticatissimi, con cui viene corrotta la concezione di cosa sia "bello" e cosa "brutto", di cosa sia di valore e cosa banalità.
    Nei bambini esiste una capacità giudicare se l'opera che vedono sia bella o meno: questa capacità nel tempo può essere sviluppata o, al contrario, annichilita dal contesto culturale.
    Nella nostra società, molti perdono il senso critico o, anche qualora lo mantengano, davanti a un'opera che non trasmette alcun significato o che è brutta, stentano a dare un giudizio negativo. Infatti, la dittatura culturale attiva a livello psicologico una serie di meccanismi che inducono a non esprimere un giudizio o ad acquistare una percezione corretta scorretta del valore delle opere. Tale atteggiamento remissivo o acritico viene generato istillando nelle persone un complesso di inadeguatezza culturale, attraverso la persuasione che l'arte moderna e contemporanea, prevalentemente concettuale, sia qualcosa di troppo alto per essere alla portata di chiunque: cosi l'osservatore, anziché esprimere un eventuale giudizio negativo sull'opera, finisce per credere di essere semplicemente inadeguato a capirla.
    Chi resiste all'idea della superiore comprensione dei critici rispetto agli altri, della necessaria correttezza dei loro giudizi, subisce dalla comunità indottrinata e plagiata una forma di "isolamento sociale": facendo leva sulla paura inconscia delle persone di restare sole, essa accorda l'integrazione nel contesto dei "colti" in cambio del tributo di valore che il singolo renda alle opere proposte.
    Si tratta...

    • 9 min
    Non basta istruire, bisogna educare

    Non basta istruire, bisogna educare

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7681

    NON BASTA ISTRUIRE, BISOGNA EDUCARE di Maurizio Schoepflin
    Nel 41° paragrafo dell'Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975), il santo Pontefice Paolo VI scrisse: "l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni". Con queste parole papa Montini, oltre a porre l'accento su un'evidenza indiscutibile, andò deliberatamente a toccare una delle questioni più importanti e delicate dell'educazione nel suo complesso, quella relativa alla figura della persona investita del compito di insegnare.
    LA FIGURA DEL MAESTRO NELL'ANTICHITÀ
    Fin dall'antichità il ruolo del maestro è stato costantemente al centro dell'attenzione, in quanto si comprese subito che tale ruolo si situava al cuore di quella che i greci chiamavano paideia con humanitas, volendo significare in tal modo un'attività indirizzata alla trasmissione dei valori che esaltano la dignità dell'uomo. In merito all'educazione dei giovani, famoso è rimasto lo scontro tra i Sofisti e Platone: i primi interessati a insegnare le tecniche utili a ottenere il successo politico ed economico, il secondo preoccupato di costruire personalità orientate verso la verità, la bellezza e la bontà, fonti di quella felicità autentica che è punto di approdo della vera educazione. In questo contesto si situa La figura di Socrate, il maestro di Platone, che affascinò i discepoli non solo per le sue abilità e competenze, ma anche per la limpida coerenza di vita, che li fece affrontare con serenità persino la morte con cui la città di Atene lo condannò ingiustamente. La grande cultura classica comprese bene la decisiva rilevanza del maestro, e tutte le maggiori correnti filosofiche dell'antichità - dal Platonismo all'Aristotelismo, dall'epicureismo allo stoicismo - ebbero alla loro origine una personalità di rilievo che suscitò ammirazione e ottenne la fiducia dei discepoli, sia in ragione della propria sapienza, sia a motivo di una condotta di una vita virtuosa e coerente. Non va dimenticato, a tale proposito, che quasi tutti i filosofi greci ritennero che soltanto il sapiente fosse in grado di fare il bene.
    LA NUOVA CONCEZIONE CRISTIANA DELL'EDUCAZIONE
    Anche nell'ambito dell'educazione, l'avvento del cristianesimo comportò alcune significative novità, sebbene i cristiani seppero conservare e rinvigorire ciò che di buono avevano ereditato dal mondo classico. Tra i diversi elementi innovativi introdotti nella cultura del tempo dal nascente cristianesimo, ve n'è uno che condizionò in maniera particolare la teoria e la prassi educativa: si tratta della speciale accentuazione e dello straordinario risalto che i cristiani dettero al valore della coerenza personale, ovvero della corrispondenza fra professione di fede e testimonianza di vita. Riguardo a ciò, i credenti in Cristo ravvisarono in una parte della concezione classica della cultura e dell'educazione il pericoli della vacuità e dell'esteriorità, nonché il rischio di privilegiare gli aspetti formali rispetto a quelli sostanziali: per loro, il nodo cruciale di ogni discorso educativo risiedeva non tanto nella ripetizione di formule e concetti, quanto piuttosto nella capacità di testimoniare una verità e di suscitare, mediante questa testimonianza, un'autentica volontà di cambiamento e di conversione da parte degli ascoltatori. Di qui l'importanza attribuita all'esempio personale, quell'esempio che trovò nelle figure dei martiri, uomini e donne morti pur di non rinnovare il proprio credo, la più fulgida dimostrazione. Facendo tesoro di alcune riflessioni dei compianti Antonio Quacquarelli, noto patrologo, e Gino Corallo, importante storico della pedagogia, possiamo affermare che i cristiani non accettarono che esistesse alcuna cesura tra intelligenza e...

    • 8 min
    La regola di san Benedetto vale anche nel rapporto genitori-figli

    La regola di san Benedetto vale anche nel rapporto genitori-figli

    VIDEO: Salviamo i nostri figli dalla scuola di Stato ➜ https://www.youtube.com/watch?v=6MsQNTL6IQc

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7672

    LA REGOLA DI SAN BENEDETTO VALE ANCHE NEL RAPPORTO GENITORI-FIGLI di Loredana Basili e Maurizio Bertoni
    L'inizio dell'anno è tempo di primi bilanci per i genitori con figli che da poco hanno intrapreso il percorso scolastico. Se questo discorso è vero per coloro con bambini che hanno da poco iniziato a frequentare la scuola pubblica, è tanto più urgente per i genitori che hanno deciso di intraprendere il percorso dell’istruzione parentale.
    Spesso, quando si inizia un percorso simile, si è portati a mettersi in discussione e a porsi diverse domande: sarò un bravo insegnante per mio figlio? Da cosa è necessario partire? Quali sono gli obbiettivi che mi prefiggo? Che tipo di formazione voglio dare? Come conciliare il ruolo di genitore con quello di insegnante? È meglio essere un genitore/insegnante particolarmente rigido e severo o meglio amorevole e paziente?
    Come genitori di bambini che da poco tempo hanno iniziato la scuola parentale, desideriamo condividere questa nostra, seppur breve esperienza, con l’auspicio di poter essere di aiuto per altri che si pongono o si sono posti gli stessi interrogativi, perché non "si accende una lucerna per metterla sotto il moggio" (Mt, 5,15) e perché anche altri, confrontandosi "vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt. 5,16).
    Essendo una famiglia molto legata e devota di San Benedetto, ci è venuto naturale trovare una risposta alle nostre domande nel testo della Regola: quello che possiamo dire, è, che a nostro avviso, essa costituisce davvero un valido strumento di partenza, una sorta di prontuario, capace di rispondere alle nostre domande, semplicemente sostituendo alla voce "abate", quella di "maestro o genitore" e a quella di "monaci" la parola "figli". Non a caso il termine "regula" indicava in latino "l’asticella per misurare": essa risulta quindi un modo per misurare il proprio lavoro, per comprenderne i limiti e la portata.
    La scelta della Regola è stata per noi però anche legata ad un aspetto pragmatico: essa ha finito per eliminare tutte le altre regole del mondo antico, in quanto più equilibrata e meno dura e allo stesso tempo ci è parsa una scelta "vincente", non perché debba dimostrare, in un futuro più o meno prossimo, dei risultati, ma perché ha già vinto, confermandosi "ricetta" di una religiosità, modo di vivere e di lavorare che ha attraversato i secoli, consegnandoci le nostre radici: quelle del mondo classico e del mondo cristiano.
    LA REGOLA
    Percorrere tutto, non sarebbe possibile in poche righe, ma basterà scorrerne pochi passi, in particolare l’inizio del Prologo e il secondo capitolo.
    Già dall’incipit, infatti, appaiono chiari i soggetti coinvolti nell’educazione, i loro ruoli e il fine: "Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell’obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato".
    Non è un caso che il Prologo si apra proprio con un invito all’ascolto, rivolto da un padre/maestro ad un figlio ("Ascolta, figlio"!), seguito da un’esortazione a quest’ultimo ad aprire "docilmente il tuo cuore". Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la parola "abate" richiama proprio l’ebraico "abbà", "padre" e che l’apprendimento passa innanzitutto dal... cuore e non dalla testa, proprio perché vincolato ad un forte legame affettivo. Quante volte, al contrario, nel mondo di oggi sentiamo la negazione del ruolo di...

    • 12 min
    Gesù Maestro, il libro di don Stefano Bimbi sulla scuola parentale cattolica

    Gesù Maestro, il libro di don Stefano Bimbi sulla scuola parentale cattolica

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7637

    GESU' MAESTRO, IL LIBRO DI DON STEFANO BIMBI SULLA SCUOLA PARENTALE CATTOLICA di Fabio Piemonte
    «La scuola dell'obbligo non esiste, mentre esiste il diritto da parte dei genitori di dare un'istruzione ai propri figli. È l'istruzione a essere obbligatoria, afferma l'articolo 34 della Costituzione, non la scuola. L'istruzione è in primis una responsabilità dei genitori». È quanto afferma don Stefano Bimbi nel suo volume Gesù Maestro, giunto recentemente alla seconda edizione. Collaboratore della Nuova Bussola con la rubrica "Schegge di Vangelo", don Bimbi ha fondato a Staggia Senese una scuola parentale cattolica che accoglie bambini dalle elementari alle medie per farli diventare uomini e donne maturi, radicati in Cristo, pronti a dare ragione della propria fede attraverso una risposta generosa alla propria vocazione.
    A Staggia don Stefano arriva nel 2003. In un paesino di neanche tremila anime il gruppo giovani ha solo quattro ragazze. Ma il tenace sacerdote non si dà per vinto; anzi, rispolverando un po' di sana apologetica su temi storici e d'attualità, riesce a ridestare la fede e l'interesse nei parrocchiani per la Verità. Di qui fiorisce il centro culturale "Amici del Timone"; sorgono iniziative quali gli esercizi spirituali; nascono famiglie anche con più di tre figli che all'indottrinamento di Stato preferiscono l'insegnamento della Chiesa. Alla scuola fondata da don Stefano gli alunni sono molto seguiti, massimo dieci per classe, in modo da consentire a ciascuno «di sviluppare tutte le sue qualità, e aiutarlo nelle difficoltà». C'è poi lo "zaino leggero", ossia si lavora sostanzialmente in classe, così da avere tempo libero al pomeriggio per coltivare talenti e interessi e vivere la dimensione familiare. La giornata scolastica, dal lunedì al venerdì, è così suddivisa: ingresso alle ore 8:20, preghiera; lezioni 8:30-10:30; intervallo di mezz'ora; lezioni 11-13.
    MACCHÈ CAMPANA DI VETRO!
    Don Bimbi sfata poi alcuni falsi miti legati alle scuole parentali. In primo luogo l'accusa mossa dai suoi detrattori di far crescere i figli in delle "bolle" per l'eccessiva protezione che genererebbe una chiusura verso il mondo esterno. La realtà però dimostra il contrario: «I bimbi sono più socievoli crescendo in un ambiente sano in cui ciascuno è riconosciuto e apprezzato per le sue qualità. Non si formano gruppetti perché, essendo pochi, sono un unico gruppo». Insomma, di bullismo e standardizzazione del metodo alla scuola di don Bimbi non c'è traccia, perché ciascuno è invitato a fiorire nella propria dimensione personale. Senza troppa burocrazia, poi, gli alunni di "Gesù Maestro" fanno almeno una gita al mese, per cui a scuola ci vanno più che volentieri.
    La maestra unica è anche mamma perché non c'è relazione educativa che non sia generata dall'amore. Inoltre, la divisione in classi omogenee consente di rispettare le caratteristiche di apprendimento differenti tra maschi e femmine, favorendo risultati migliori. Di qui i bambini, dati i tempi d'attenzione decisamente più ridotti rispetto alle bambine, possono finire prima la lezione e andare a giocare a pallone, mentre le ragazze hanno modo di intrattenersi con la maestra per far domande con serenità. Inoltre se «l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il buono e il bello, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo». Non si può perciò fare storia dimenticando che si divide in prima o dopo Cristo e il ruolo della Chiesa; letteratura; storia dell'arte o persino matematica senza tener conto che essa è il linguaggio col quale il Creatore ha progettato e realizzato il mondo. D'altra parte non bisogna dimenticare che le scholae le ha inventate proprio la Chiesa.
    Don Bimbi evidenzia gli ingredienti fondamentali per la riuscita di una scuola parentale...

    • 6 min
    Studenti devastati da schermi e mezzi digitali: la soluzione è tornare al libro

    Studenti devastati da schermi e mezzi digitali: la soluzione è tornare al libro

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7491

    STUDENTI DEVASTATI DA SCHERMI E MEZZI DIGITALI: LA SOLUZIONE E' TORNARE AL LIBRO di Manuela Antonacci
    Negli ultimi anni, l'impiego del digitale a scuola, ha avuto una forte accelerazione: si credeva che tutti ciò che era digitale potesse costituire il miglior mezzo di apprendimento, ma ultimamente è cominciato un graduale dietrofront sulla questione.
    Inizialmente la politica educativa, soprattutto in Spagna, era basata sul sistema "one-to-one": un computer o tablet per ogni studente. Indicazione che però non si è mai concretizzata veramente e questo costituisce un dato non da poco. Se infatti, per anni, si è sempre detto che l'uso e l'abuso della televisione non favorisse certo l'apprendimento, ma anzi portasse a sviluppare un atteggiamento di passività, non si capisce come mai i colossi del Big Tech (Apple, Amazon, Microsoft, Google e Facebook -Meta-) ad un certo punto abbiano invaso le scuole. Forse per creare, semplicemente, un nuovo canale di business molto redditizio?
    IL SUCCESSO INIZIALE DEI DISPOSITIVI DIGITALI
    Inizialmente le scuole erano ossessionate dai dispositivi digitali che aprivano infinite possibilità di ludicizzazione che, in teoria avrebbero dovuto accrescere la motivazione negli studenti. Il libro sembrava un mezzo ormai relegato nel passato. La digitalizzazione della scuola, invece, sembrava indiscutibile. E anche a casa: i bambini hanno giocato e imparato davanti agli schermi. Tuttavia, la questione era più complessa di quanto sembrasse. Infatti man mano è emersa tutta una serie di possibili ostacoli all'apprendimento che una massiccia digitalizzazione delle scuole comporta. Si è progressivamente scoperto che i dispositivi digitali in classe ostacolano l'attenzione. È come se lo studente scomparisse dietro lo schermo sviluppando, peraltro, conoscenze limitate e superficiali. L'Hi-tech diminuirebbe anche il gusto per la lettura e la comprensione del testo scritto.
    Ma più di ogni altra cosa, due sono i problemi principali che emergono dall'uso delle nuove tecnologie: nei bambini gli schermi producono isolamento e danneggiano la salute provocando un aumento di ansia e depressione e ingenerando una serie di problematiche legate al sonno. Ciò emerge da molte ricerche, una tra tutte, lo studio di Jean Twenge professore di psicologia alla San Diego State University, da cui risulterebbe che in età scolare, l'attivazione del sistema di anticipazione del piacere generato dalla dopamina darebbe origine a comportamenti di dipendenza. Di conseguenza, gli schermi non contribuiscono pienamente all'apprendimento, ma anzi distraggono e diminuiscono l'attenzione in classe, durante lo studio e la lettura. E ovviamente nella vita in generale.
    ANSIA, DEPRESSIONE & CO.
    I danni derivanti dall'uso eccessivo del tablet e dello smartphone, nei bambini, è documentato da un altro importante studio The Use of Social Media in Children and Adolescents: Scoping Review on the Potential Risks (2022) Si tratta di una rassegna di numerosi lavori in cui questi temi sono stati studiati a livello internazionale negli ultimi anni e che vengono analizzati dal mondo della pediatria italiana. Elena Bozzola, Giulia Spina e Rino Agostiniani hanno riscontrato sintomi di ansia, depressione e problemi del sonno, dipendenze, problemi legati al sesso, problemi comportamentali, problemi alla vista che colpiscono i minori che fanno un uso eccessivo degli schermi.
    C'è anche un secondo studio del 2021 che è una comparazione tra la lettura su libri stampati e la lettura in formato digitale: A Comparison of Children's Reading on Carta. In esso May Irene Furenes, Natalia Kucirkova e Adriana G. Bus (dell'università della Norvegia e della Gran Bretagna) passano in rassegna numerose ricerche che dimostrano scientificamente la...

    • 5 min
    Troppa scuola fa male

    Troppa scuola fa male

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=617
    TROPPA SCUOLA FA MALE di Mario Palmaro
    Si, avete letto bene: troppa scuola può far male ai nostri ragazzi, ed è pura illusione pensare che più ore trascorse dentro l'edificio scolastico siano sempre un bene. Non è così e, in un certo senso, non è mai stato così nemmeno in passato.
    PRIMI IN EUROPA
    Ma andiamo con ordine e partiamo dai fatti. Oggi l'Italia si ritrova in testa a una classifica molto particolare: le scuole Primarie del Bel Paese - quelle che i comuni mortali e le persone di buon senso continuano a chiamare "elementari" - impegnano i bambini in una maratona di 980 ore per anno scolastico. è il dato più alto di tutta Europa. In Germania - dove la gente è notoriamente tutt'altro che pigra e men che meno ignorante - i kinder stanno in classe 698 ore. Qualche cosa come 300 ore in meno dei coscritti italiani, circa 60 giorni di differenza. La media europea per le scuole Primarie è di 755 ore all'anno, nettamente al di sotto della prassi italica. L'unico Paese con un monteore molto simile al nostro è la Francia (958), ma è notizia di queste settimane - invero clamorosa - che oltralpe si prepara una controrivoluzione dell'orario: il governo Sarkozy ha deciso di ridurre i giorni di scuola da 5 a 4, lasciando i fanciulli a casa il mercoledì, oltre che il sabato. Fra l'altro, è curioso notare che la "vacanza centrale" fu inventata proprio in Francia da Jules Ferry (1832-1893), il padre dell'insegnamento pubblico e gratuito, che volle la chiusura delle scuole il giovedì con lo scopo di "permettere ai genitori di dare ai figli un'istruzione religiosa fuori dagli edifici scolastici". Insomma: un curioso "giorno del catechismo" che nasceva dal giacobinismo francese, ma che alla fine conteneva anche aspetti positivi per la Chiesa e i cattolici.
    IL CASO ITALIANO
    Intendiamoci: non è detto che l'Europa sia sempre un modello, e nessuno ci obbliga ad allinearci con le abitudini del vecchio continente, che spesso sono lontane anni luce dal buon senso e dalla tradizione cristiana. Ma, in questo caso, è l'Italia a essere in errore. E a pagare un prezzo altissimo al peso enorme che la cultura marxista ha giocato - e continua a giocare - nella nostra società. [...]
    TUTTO NELLA SCUOLA, NIENTE AL DI FUORI DELLA SCUOLA
    Il tutto avviene sotto l'abile regia del Partito comunista italiano e nella sostanziale indifferenza del partito dei cattolici, la Democrazia cristiana. Anzi, il modello pedagogico marxista viene progressivamente assunto come valido anche in larghe fette del mondo cattolico. I "miti" della scuola progressista conquistano il cuore e la mente di politici, intellettuali, presidi di formazione cattolica. E fra questi miti, su tutti trionfa il "tempo pieno". Esso si fonda sull'idea - di impronta tipicamente hegeliana - che l'intera crescita umana e culturale del bambino debba essere guidata e gestita dallo Stato attraverso la scuola, e che il resto - a cominciare dalla famiglia - abbia un ruolo residuale, accidentale, sostanzialmente inadeguato, insufficiente. Come disse il filosofo Umberto Galimberti, columnist di Repubblica, «i genitori non sono in grado di educare i propri figli». È il capovolgimento della dottrina cattolica della "sussidiarietà", in base alla quale l'uomo, la famiglia e la società debbono essere liberi dì fare da sé tutto ciò che è buono e lecito, lasciando allo Stato il compito di intervenire solo dove il cittadino non ce la fa da solo. In questa visione la scuola non è il fulcro della crescila del bambino, ma un supporto al padre e alla madre, che non possono delegare. Per ragioni evidenti, il pensiero comunista e, in seguito, progressista e liberal-radicale, ha attaccato frontalmente questa idea, per strappare alla famiglia il timone dell'educazione dei figli. Non è un caso che la pur discutibile "Riforma Moratti" avesse introdotto la "straordinarietà" della scuola al pomeriggio, e che invece...

    • 8 min

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