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Verso l’inizio del secondo millennio a.C., gli Achei si stabilirono nel Peloponneso, una regione della penisola greca; qui fondarono alcuni importanti centri urbani: Pilo, Argo, Tebe, Atene, Tirinto e Micene, città, quest’ultima, da cui prese il nome l’intera civiltà. Ogni città micenea era dotata di un palazzo fortificato, dove risiedevano il re e alcuni guerrieri. I Micenei affermarono la loro potenza intorno al 1450 a.C., dopo aver occupato l’isola di Creta e distrutto i suoi gloriosi palazzi. Da quel momento, furono i Micenei e non più i Cretesi a dominare sul Mediterraneo. L’architettura micenea
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Attorno al 1250 a.C., i re del Peloponneso, cui la tradizione ha dato un nome, Agamennone e Menelao, strinsero alleanza per una comune spedizione contro Troia, ricca città della costa anatolica che controllava gli accessi al Mar Nero. La difficile conquista e la distruzione di Troia, cantate nell’Iliade e nell’Odissea da Omero, poeta epico greco dell’VIII secolo a.C., furono pagate a caro prezzo dai Micenei: pochi decenni dopo, infatti, ebbe inizio il loro declino, lento ma progressivo. I Micenei subirono infine l’invasione dei Dori, un popolo greco giunto da Nord. Nel 1100 a.C. la loro civiltà fu cancellata ed ebbe inizio la cosiddetta “età oscura” o Medioevo ellenico.
Mura possenti
L’immagine tradizionale che la storia ci ha tramandato dei Micenei è quella di un popolo guerriero e aggressivo. In effetti, l’architettura micenea riflette il carattere di una civiltà chiusa e rigidamente strutturata e la sua prima funzione fu, prima di tutto, difensiva. I palazzi e le città micenee avevano l’aspetto di solide fortezze, difficilmente accessibili, perché circondate da mura spesse e imponenti. A Micene, le mura sono alte 13 m, per uno spessore di 6, e sono costituite da blocchi di pietra che pesano fino a 6 tonnellate; quelle di Tirinto sono spesse 11 m e in alcuni tratti addirittura 20, tanto da essere attraversate al loro interno da un corridoio percorribile. Si stima che i blocchi più grandi delle mura di Tirinto pesino circa 20 tonnellate.
Il palazzo reale
Il tipico palazzo reale acheo, come quello di Tirinto, benché affrescato alla maniera cretese, fu assai diverso dal modello minoico: era, innanzi tutto, molto più semplice e organico, con parecchi ambienti ma ordinati razionalmente. Presentava, nel suo complesso, un aspetto compatto; il centro della sua architettura non era, come nel palazzo cretese, la grande piazza-cortile ma un imponente nucleo di rappresentanza, chiamato nel suo complesso mègaron, che si affacciava su un piccolo cortile porticato. L’architettura micenea
Il mègaron miceneo
Il mègaron propriamente inteso era la sala del trono, di forma rettangolare, munita di focolare circolare al centro e con il tetto sostenuto da quattro colonne. Il mègaron era preceduto da un’antisala, o pròdromos, e questa da un portico d’ingresso, o vestibolo, cioè un vano di passaggio dotato di colonne di legno su basi di pietra. Si accedeva dal vestibolo all’antisala attraverso tre porte e da questa al mègaron per una sola porta. Nel mègaron, splendidamente ornato, il sovrano riceveva gli ospiti e gli ambasciatori, organizzava i pranzi ufficiali e rituali e assisteva agli spettacoli per lui allestiti.
L’area archeologica di Micene
Micene, fondata a nove chilometri da Argo, fu una delle più importanti città della civiltà achea in Grecia. Raggiunse la sua massima fioritura tra il 1600 e il 1100 a.C. Le testimonianze architettoniche più importanti risalgono, comunque, al periodo compreso fra il 1350 e il 1250 a.C. All’epoca, la città contava circa 30.000 abitanti, inclusi quelli che vivevano fuori dalle mura. È a questa fase della storia di Micene che si fa risalire il tracciato definitivo del suo potente sistema difensivo, formato da grandiose mura a strapiombo che facevano apparire il nucleo della città imponente e inaccessibile. Il suo sito archeologico, assieme a quello di Tirinto, è stato proclamato Patrimonio Unesco.
La Porta dei Leoni
Al termine della strada che conduceva alla cittadella, incassata fra mura fortificate, si apre la famosa Porta dei Leoni. Strutturalmente, essa è un poderoso trilite, formato da due piedritti e un grosso architrave dal profilo lievemente incurvato (tutti ricavati da blocchi di pietra monolitici); infatti, ricorda certi monumenti della preistoria. La porta è così chiamata per il bassorilievo che la sovrasta, dove campeggiano, a dispetto del nome, due leonesse rampanti, cioè sollevate sulle zampe posteriori, che simboleggiavano la potenza militare di Micene. Questi animali si affrontano ai lati di una colonna, rastremata verso il basso secondo l’uso cretese, e rappresentano una sorta di protezione nei confronti della città stessa. Il bassorilievo chiude uno spazio triangolare, creato appositamente sopra l’architrave, detto “triangolo di scarico”.
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Il triangolo di scarico
I Micenei sapevano bene che l’architrave fatica a sostenere pesi eccessivi, quali sono quelli della porzione di muro che passa sopra la porta. Per questo, trovarono la soluzione strutturale, semplice ma ingegnosa, del triangolo di scarico sopra l’architrave. Un’apertura triangolare ricavata nella muratura riesce a deviare la forza peso lungo i lati del triangolo. Il risultato è che si alleggerisce il carico di lavoro dell’architrave, facendo ricadere la forza peso sui piedritti della porta e sui tratti di muro che la fiancheggiano. Il triangolo di scarico era solitamente tamponato (ossia chiuso) da una lastra triangolare decorata. L’architettura micenea
Il Tesoro di Atreo
La Tomba 8 di Micene, nota come Tesoro di Atreo è un sepolcro monumentale miceneo certamente edificato per ospitare le spoglie di un dignitario di alto rango. Al momento del ritrovamento fu attribuita al mitico Agamennone, protagonista della Guerra di Troia raccontata dall’Iliade, guerra che però si sarebbe svolta alcuni secoli dopo la costruzione della tomba, datata all’incirca intorno alla metà del XIV secolo a.C. Il Tesoro di Atreo è preceduto da un lungo corridoio di 35 metri, detto dromos, ricavato nella collina e fiancheggiato da mura di pietra. L’architettura micenea
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Il dromos conduce a una porta monumentale, di forma leggermente trapezoidale, sormontata da un triangolo di scarico. Il portale immette in una camera semisotterranea, detta thòlos (plur. thòloi), destinata al corredo funebre. Questo ambiente presenta la pianta circolare e una particolare copertura in pietra detta pseudocupola. Un breve passaggio porta dalla thòlos alla camera funeraria vera e propria, un piccolo ambiente con due fosse scavate nel pavimento.
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La pseudocupola
Lo pseudoarco (o “finto arco”) e la pseudocupola (o “finta cupola”) sono sistemi strutturali, tipici dell’architettura mediterranea, utilizzati, rispettivamente, per la realizzazione di grandi aperture e di grandi coperture. Ricordano le strutture dell’arco e della cupola ma, a differenza di queste, si reggono grazie alla forza di gravità e non per reciproco contrasto dei singoli elementi, i conci, che le compongono. I conci, infatti, sono appoggiati l’uno sull’altro, come a formare un muro, ma sono aggettanti verso l’interno. Nello pseudoarco, i vari conci sono in aggetto progressivo fino alla copertura graduale dell’apertura sottostante. Nella pseudocupola, i diversi anelli concentrici, dal diametro progressivamente minore, si sovrappongono fino alla chiusura superiore (ottenuta con una lastra). Le curvature dello pseudoarco e della pseudocupola possono essere di seguito sagomate, in modo da ricavare superfici interne perfettamente regolari e levigate. L’architettura micenea
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Oltre che nelle thòloi micenee (come, appunto, il Tesoro di Atreo), si ritrovano esempi di pseudocupola nei nuraghi sardi, in alcune sepolture in Mesopotamia, nell’architettura arcaica etrusca e in più recenti architetture popolari, come i trulli della Puglia. Anche gli igloo, le abitazioni in ghiaccio dei popoli eschimesi, sono realizzati con la tecnica della pseudocupola.
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- Publicado17 de outubro de 2024 09:27 UTC
- Duração8min
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