Il covid e la partita di football americano della dottoressa Malara Storiacce

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Ormai, ci siamo dentro da un anno. Ormai, da 12 mesi esatti, siamo tutti costretti a fare i conti con i nostri limiti, con le nostre paure. Con l'impossibilità di riuscire a controllare tutto. Da un anno cioè, il mondo intero convive con un forte- e forse prima di allora quasi sconosciuto- senso di imprevedibilità. Un anno dopo la scoperta in Italia del coronavirus, dopo 92mila morti e una gigantesca crisi economica e sociale, "possiamo imparare solo dalle nostre cicatrici", dice Annalisa Malara, l'anestesista che un anno fa, nell'ospedale di Codogno, forzando protocolli e regole, fece fare il tampone anti-covid a Mattia Maestri, il paziente uno. Venne così certificata la presenza del virus in Occidente. "C'era tanto scetticismo intorno a me: "ecco la giovane dottoressina che vuole fare la diagnosi eclatante", ecco cosa sentivo", racconta a Storiacce."Spero che da questa storia abbiamo tutti imparato a riportare il rapporto medico/paziente al centro, prima di protocolli e burocrazia", dice, parlando anche dei "tanti soffitti di cristallo incontrati nelle corsie, dove è una sfida col tempo per riacciuffare vite. È una come una partita di football americano", aggiunge la dottoressa Malara. Mentre le inchieste stanno ancora cercando di stabilire cosa non abbia funzionato nella gestione della prima ondata dell'epidemia - tra piani pandemici non aggiornati e protocolli sbagliati - ora si cerca di far fronte a tutte le carenze emerse nel sistema sanitario. E il punto di partenza è proprio quella notte di un anno fa a Codogno...

Ormai, ci siamo dentro da un anno. Ormai, da 12 mesi esatti, siamo tutti costretti a fare i conti con i nostri limiti, con le nostre paure. Con l'impossibilità di riuscire a controllare tutto. Da un anno cioè, il mondo intero convive con un forte- e forse prima di allora quasi sconosciuto- senso di imprevedibilità. Un anno dopo la scoperta in Italia del coronavirus, dopo 92mila morti e una gigantesca crisi economica e sociale, "possiamo imparare solo dalle nostre cicatrici", dice Annalisa Malara, l'anestesista che un anno fa, nell'ospedale di Codogno, forzando protocolli e regole, fece fare il tampone anti-covid a Mattia Maestri, il paziente uno. Venne così certificata la presenza del virus in Occidente. "C'era tanto scetticismo intorno a me: "ecco la giovane dottoressina che vuole fare la diagnosi eclatante", ecco cosa sentivo", racconta a Storiacce."Spero che da questa storia abbiamo tutti imparato a riportare il rapporto medico/paziente al centro, prima di protocolli e burocrazia", dice, parlando anche dei "tanti soffitti di cristallo incontrati nelle corsie, dove è una sfida col tempo per riacciuffare vite. È una come una partita di football americano", aggiunge la dottoressa Malara. Mentre le inchieste stanno ancora cercando di stabilire cosa non abbia funzionato nella gestione della prima ondata dell'epidemia - tra piani pandemici non aggiornati e protocolli sbagliati - ora si cerca di far fronte a tutte le carenze emerse nel sistema sanitario. E il punto di partenza è proprio quella notte di un anno fa a Codogno...

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