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Un viaggio nel lato oscuro della città sabauda. Scopri assieme a Loquis i misteri e gli omicidi che hanno caratterizzato la città di Torino.
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Torino Noir Loquis

    • Society & Culture

Un viaggio nel lato oscuro della città sabauda. Scopri assieme a Loquis i misteri e gli omicidi che hanno caratterizzato la città di Torino.
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    L’omicidio Dei Murazzi

    L’omicidio Dei Murazzi

    E’ il 23 febbraio 2019 e in via Napione Stefano Leo, un giovane ventottenne biellese, sta camminando placidamente verso il suo luogo di lavoro. L’aria spensierata e il passo sicuro danno l’impressione che il ragazzo sia felice e non sa che sarà proprio questo il motivo per cui perderà la vita in quella mattina d’inverno. Proprio lungo il tragitto viene infatti raggiunto da un suo coetaneo, si chiama Said Mechaquat e prima di quella mattina i due non si erano mai incontrati. Non si conoscono, non vi è nessun conto in sospeso, nessun apparente motivo di rancore, eppure Said gli si avvicina sicuro e lo accoltella mortalmente alla gola per poi scappare verso piazza Vittorio.
    A permettere alla giustizia di fare il suo corso è proprio il killer, costituitosi alla polizia un mese dopo il delitto. Lo stesso che fornirà agli inquirenti l’agghiacciante movente dell’omicidio: Said aveva comprato un coltello la sera prema della morte di Stefano, confessa poi di aver deciso di compiere il delitto scegliendo un giovane a caso solo perché camminava con l’aria felice.
    Said aveva inoltre commesso quel barbaro atto proprio a poca distanza dalla casa dell’ex fidanzata, da cui aveva avuto un figlio, e del nuovo compagno di lei. Una situazione, questa, che aveva aggravato la già instabile situazione del giovane marocchino.
    L’atroce gesto costa a Said trent’anni di carcere e il fallimento del tentativo di vendetta verso la città in cui viveva e dove erano cresciute depressione e ossessione verso l’ex compagna.

    Dodici Giovani Spettri Nei Sotterranei De La Cavallerizza

    Dodici Giovani Spettri Nei Sotterranei De La Cavallerizza

    Erano gli anni quaranta del secolo scorso e anche a Torino, come in tante altre città, la popolazione aveva imparato a riconoscere il suono sordo delle sirene che annunciavano possibili bombardamenti. La popolazione scappava allora prontamente in uno dei tanti rifugi appositamente ricavati per trovare riparo e salvezza. Tra questi vi erano anche i sotterranei de la Cavallerizza, il suggestivo edificio costruito nel 1668 per volere di Carlo Emanuele II di Savoia.
    All’epoca la struttura ospitava le abitazioni di numerose famiglie, nonché alcune attività artigianali tra cui un laboratorio di sartoria in cui molte ragazzine del popolo lavoravano dalla sera alla mattina con la schiena china sulle macchine da cucire.
    Ci fu, così, un giorno che dodici di loro, al suono della sirena che presagiva l’ennesimo bombardamento, si precipitarono giù dalle scale de la Cavallerizza per raggiungere i suoi sotterranei che gli avrebbero dovuto dare riparo. In preda alla paura le giovani sbagliarono però scala e rimasero bloccate in una buia cantina dalla quale, al termine del fracasso delle bombe, non riuscirono più a uscire.
    I bombardamenti avevano infatti fatto crollare grossi massi che bloccarono le uscite, lasciando le dodici fanciulle morire di fame, di freddo e di paura in attesa che qualcuno si accorgesse della loro scomparsa.
    Fu solo dopo molto tempo, al termine della guerra, che alcuni operai, a lavoro per sgomberare le macerie dai sotterranei, ritrovarono i cadaveri delle sartine a cui fu finalmente possibile dare degna sepoltura.
    Da allora la leggenda narra, dunque, che gli spettri delle fanciulle vaghino senza pace tra le mura del palazzo in una lamentosa processione e in cerca di un’uscita che possa portarle in salvo.

    Delitto Di Piossasco E Gli Omicidi Seriali Di Torino

    Delitto Di Piossasco E Gli Omicidi Seriali Di Torino

    La sera del 10 novembre 1978, in una villetta di Piossasco, la trentasettenne Maria Teresa Carpinello sta preparando la cena per sé e per il suo figlioletto di sette anni. Un colpo di pistola distrugge però la quiete di quel placido momento di quotidianità, romprendo il vetro della finestra e colpendo la donna che rimane uccisa davanti al proprio piccolo.
    Il movente appare incomprensibile e il panico comincia a serpeggiare tra i torinesi, convinti di non poter stare più tranquilli nemmeno dentro le proprie case.
    Trascorrono quasi vent'anni, quando gli inquirenti, mentre indagavano su alcuni furti, arrestano Franco Fuschi, ex incursore della Marina militare italiana che sembra da sempre aver avuto però un’inquietante doppia vita: nel suo paese di origine è infatti considerato un distinto agricoltore, fervente credente, con però l’hobby delle armi, passatempo che, apparentemente, ama coltivare in solitudine.
    Interrogato, l’uomo decide di collaborare e confessa infine ben quattro delitti fino ad allora archiviati come insoluti, compreso quello della Carpinello. Gli agenti non si fermano alla confessione, cercano prove a sostegno delle parole del Fuschi e concludono come sia nella natura dell’imputato l’alternanza di verità e menzogne.
    Nella sentenza che lo condannò comparvero, infatti, anche otto anni di reclusione per autocalunnia. Nonostante questo, il profilo psicologico che emerge da quello che viene considerato tra i più efferati serial killer torinesi, è quello di una persona a cui «Piaceva ammazzare. Provava piacere soprattutto nel constatare l’efficienza dell’arma, nel prendere la mira con calma, per vedere un uomo che cadeva giù come un fantoccio».

    La Bella Cappelaia Di Piazza Della Libertà

    La Bella Cappelaia Di Piazza Della Libertà

    I torinesi la chiamavano piazza Carlina, dal nome del Savoia a cui era intitolata, e già prima dell’occupazione francese il boia, armato di cappio o ascia, vi giustiziava i condannati. Fu con l’occupazione napoleonica che, dalla Francia, arrivò un nuovo strumento di morte: la ghigliottina, un sistema che rispetto ai precedenti sembrò ben più “misericordioso” e che venne installato in quello stesso luogo. Fu così che, per l’occasione la piazza venne rinominata piazza della Libertà e si dice che la prima ad inaugurarla fu una donna.
    Era conosciuta a Torino come la bella cappellaia, proprio per la bottega che gestiva nella stessa piazza in cui venne poi condannata. Era maritata con un uomo il quale non vedeva di buon occhio i tanti giovani che si intrattenevano a parlare con lei nel suo negozio, tanto da arrivare a minacciarla di chiudere l’attività e di relegarla in casa a occuparsi dei lavori domestici.
    Successe così che, una sera, entrarono nell’abitazione dei due coniugi dei malviventi che immobilizzarono la donna e uccisero l’uomo. Un’altra versione narra che il marito morì dopo aver ingerito la minestra preparata dalla moglie. Qualsivoglia sia la trama a cui credere, l’accusa rivolta alla bella cappellaia fu quella di aver ucciso il marito, sola o in combutta con i suoi numerosi amanti, e fu così condannata al patibolo.
    Intanto il boia, fremente di provare quel nuovo strumento, venne a sapere che in Francia, in segno di massimo disprezzo, solevano schiaffeggiare il capo mozzato del condannato dopo aver eseguito la sentenza poiché la vittima continuava a vivere anche qualche minuto dopo essere stata decapitata. Volle così provare quel macabro rituale sulla donna, dai cui occhi uscirono però copiose lacrime.
    La leggenda vuole allora che il fantasma della cappellaia si aggiri ancora nella piazza, manifestandosi nella propria interezza, con il collo segnato da una riga rossa, o con tenendo sotto il braccio la propria testa mozzata. Il suo spettro vaga ancora senza pace alla ricerca dei lunghi capelli che le furono tagliati poco prima dell’esecuzione.

    Il Portone Del Diavolo In Via Alfieri 15

    Il Portone Del Diavolo In Via Alfieri 15

    Via Alfieri 15. Un imponente portone si staglia sulla via per sbarrare l’ingresso di un palazzo che oggi ospita una banca, ma in cui un tempo si successero alcuni fatti misteriosi.
    Era il 1673 quando il ministro delle Finanze di Carlo Emanuele II, duca di Savoia, commissionò la costruzione di questa architettura. Inizialmente nessuna porta sbarrava il suo ingresso, ma la carica coperta dal ministro di certo non attirava le simpatie del popolo e fu presto costretto a costruire un imponente sbarramento.
    Il portone fu commissionato in gran segreto e venne trasportato e montato in una sola notte nel più assoluto silenzio. Su di essi vennero scolpite figure maligne in grado di intimorire i sudditi. L’opera fu addirittura completata con la rappresentazione del diavolo in persona e tale fu lo sgomento suscitato nelle coscienze del popolo la mattina successiva da instillare la convinzione che il ministro avesse stretto un patto con il demonio in persona, il quale era stato l'artefice della costruzione dell’architettura.
    La struttura è oggi conosciuta come “il portone del diavolo”, ma non solo per la sua singolare storia, bensì anche per i successivi fatti che avvennero dentro le mura del palazzo che difende e che confermarono la sua inquietante aura: verso la fine del diciottesimo secolo, infatti, fu lo scenario dell’omicidio di una ballerina, mentre nel 1817 vi sparì il maggiore Melchiorre du Perril, il cui scheletro fu rinvenuto murato in un anfratto venti anni dopo.
    Oggi quel portone protegge le mura che ospitano una banca e gli appassionati di esoterismo potranno chiedersi se sia solo pura casualità…

    Macabro Delitto In Via Roma

    Macabro Delitto In Via Roma

    1925. In quella che oggi è via Roma sorgeva l’Hotel Gran Cairo, un luogo malfamato e spesso frequentato da prostitute, criminali o artisti in cerca di spunti e suggestioni capaci di stimolare la propria creatività.
    Quello che successe il 2 ottobre di quell’anno in quel luogo, però, lo fece diventare lo scenario di uno dei più cruenti delitti della cronaca nera piemontese: nelle sue stanze, infatti, venne uccisa e depezzata una donna per mano del marito e due suoi complici.
    Le indagini partirono grazie al ritrovamento di un pacco voluminoso posto sui binari di un crocevia poco distante, da parte di un macchinista che aveva appena arrestato il proprio convoglio. Quel sacco conteneva le gambe, con indosso ancora calze e scarpe con il tacco, di Erina Barbero, prostituta ventisettenne sposata con un noto spacciatore e protettore piemontese.
    Gli inquirenti arrivarono presto a scoprire la dinamica dei fatti: la donna era in fuga dal marito, poiché aveva assistito all’omicidio da parte di questo nei confronti di un altro trafficante a cui aveva sottratto un’ingente quantità di merce.
    Proprio perché scomoda testimone oculare del delitto, venne uccisa allo stesso modo nella stanza numero otto dell’hotel. Sempre in quella camera venne fatta a pezzi dal marito e altri due uomini che, per finire, sparpagliarono il suo cadavere in diverse vie della città.
    La giustizia per Erina arrivò solo in parte, poiché il marito venne condannato a trent’anni di carcere, ma solo per cinque anni venne recluso uno dei due complici, mentre il terzo non venne mai trovato.
    Oggi quella fatiscente struttura non esiste più, venne chiusa l’anno seguente questo terribile delitto. Via Roma, invece, è oggi divenuta il salotto bene della città.

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