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La chiamano "dolce morte", ma in realtà è l'uccisione di innocenti

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La chiamano "dolce morte", ma in realtà è l'uccisione di innocenti

    Evitare l'eutanasia per gli animali, ma non per le persone

    Evitare l'eutanasia per gli animali, ma non per le persone

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7757

    EVITARE L'EUTANASIA PER GLI ANIMALI, MA NON PER LE PERSONE di Fabio Piemonte
    Ha 5 anni la cagnolina Mila e se ne sta tutto il giorno con il muso a terra, triste, in un canile di Los Angeles. Caduta in depressione era stata condannata all'eutanasia ma, grazie all'impegno e alla sensibilizzazione sui social della stessa volontaria del canile Lorrena, è stata sottratta a tale triste sorte. Lorenna infatti l'ha presa in affido temporaneo e portata a casa sua, le sta curando un'infezione all'orecchio con l'antibiotico e Mila ha presto ripreso a scodinzolare e correre felice. I video condivisi da Lorenna sui social hanno commosso tante persone e dai commenti si evince che diverse persone si sono rese disponibili per adottare Mila.
    Certamente se da un lato è bello vedere come una società civile si mobiliti per salvare un cane “depresso” dall'eutanasia; dall'altro è decisamente triste vedere come non ci si muova allo stesso modo quando si tratta di essere umani. E in effetti all'annuncio (che è in realtà un grido d'aiuto) della ventottenne olandese depressa Zoraya, alla quale dovrebbe esser concessa a breve (tra maggio e giugno) l'eutanasia dietro sua esplicita richiesta, non c'è stata alcuna levata di scudi da parte dell'opinione pubblica per difenderne la dignità e supportarla attraverso un'autentica compassione per aiutarla a superare questo difficile momento che sta attraversando.
    Insomma se da una parte si è opportunamente docili all'indignazione nei confronti degli animali quando vessano in condizioni degradanti, dall'altra non ci si sdegna parimenti né si combatte, come invece sarebbe doveroso, per difendere e promuovere la dignità dell'uomo, a maggior ragione quando viene a trovarsi in condizioni di particolare fragilità quali sono quelle di un figlio nel grembo materno, di un giovane depresso o di un anziano. È questo chiaramente un altro segno lampante del “mondo alla rovescia” nel quale stiamo vivendo.
    Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "In Olanda basta la tristezza per scegliere l'eutanasia" racconta perché a 28 anni Zoraya ha programmato di farla finita a maggio. Il motivo? Troppo depressa, anche per il suo psichiatra. Da ultima risorsa il suicidio diventa un'opzione normale, purché a norma di protocollo.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 11 aprile 2024:
    Una scelta triste nata da una vita triste. L'olandese Zoraya ter Beek, 28 anni, ha deciso che morirà a maggio. Non ha un tumore allo stadio terminale, non soffre di patologie neurodegenerative come la Sla, ma è depressa, triste fino alla morte. Una depressione che va a braccetto con tratti di autismo e con un disturbo borderline di personalità. Innamorata del suo ragazzo, una bella casa, due gatti, ma niente di tutto questo le è bastato per riempire un vuoto che è talmente vuoto da non avere nome.
    Ne ha parlato con The Free Press. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Quando il suo psichiatra le disse: «non c'è più niente che possiamo fare per te. Non migliorerà mai». L'eutanasia della speranza clinica, del codice deontologico ed anche della ricerca scientifica che guarda al futuro. Una medicina arrendevole. Zoraya ha tatuato un albero della vita capovolto: «Sta perdendo le foglie, sta morendo - ha detto - Non vedo [la mia morte] come la partenza della mia anima, ma più come la liberazione di me stessa dalla vita». Il corpo come carcere dell'anima.
    Morirà a casa sua: «Nella maggior parte dei casi c'è prima una tazza di caffè a calmare i nervi e a creare un'atmosfera soft. Poi [la dottoressa] mi chiederà se sono pronta. Prenderò posto sul divano. Mi chiederà ancora una volta se sono sicura, avvierà la procedura e mi augurerà buon viaggio. O, nel mio caso, un bel...

    • 8 min
    Per risparmiare un miliardo di sterline l'anno, l'Inghilterra decide di decimare gli anziani

    Per risparmiare un miliardo di sterline l'anno, l'Inghilterra decide di decimare gli anziani

    VIDEO: L'eutanasia di Hitler ➜ http://www.youtube.com/watch?v=Bk-Wm588S1M

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2536

    PER RISPARMIARE UN MILIARDO DI STERLINE L'ANNO, L'INGHILTERRA DECIDE DI DECIMARE GLI ANZIANI di Elisabetta Del Soldato
    Il sistema Sanitario nazionale della Gran Bretagna sta facendo i conti con la recessione e i primi a rimetterci sono i più vunerabili: gli anziani, i malati terminali, le persone dichiarate morte ancor prima che lo siano, perché cercare di salvarle o di farle stare meglio costa troppo. Qualche giorno fa uno dei sottosegretari alla Sanità, il liberaldemocratico Norman Lamb, non ha esitato a invitare i medici di base a compilare una lista dei loro pazienti che potrebbero morire entro un anno. Una volta identificati, i malati terminali saranno chiamati a un incontro col medico che gli chiederà dove preferiscono morire e se vogliono scrivere o dettare un testamento biologico in cui danno il permesso ai medici di sospendere medicinali e nutrizione quando si annuncerà la fine.
    Lamb, che ha annunciato il progetto del governo a una recente conferenza sul fine vita, ha detto di aspettarsi che per ogni medico almeno un paziente su cento entri nella lista dei 'terminabili'. I motivi sono molto pragmatici: «Un quarto dei letti negli ospedali sono occupati da malati terminali – ha spiegato –, e tra loro quattro su dieci non richiedono cure mediche. Se queste persone fossero ammesse una volta in meno al pronto soccorso la Sanità risparmierebbe un miliardo e 350 milioni di sterline l'anno», circa un miliardo e mezzo di euro.
    L'esponente del governo conservatore­liberale non ha specificato quale sarà il destino dei malati finiti in quella che vari giornali britannici hanno ribattezzato «lista della morte». Ma è molto probabile che saranno destinati al «Liverpool Care Pathway», un protocollo adottato per la prima volta negli anni Novanta in un ospedale della città portuale, e che dal 2004, dopo essere stato raccomandato dal National Institute for Health and Clinical Excellence, è diventato pratica comune nelle istituzioni sanitarie del Regno. Sulla carta «Lcp» si presenta come un programma di fine vita per rendere l'ultimo periodo di un paziente più tollerabile, nel Paese che è culla delle cure palliative. In realtà il protocollo ha finito col tradursi anche nella sospensione di cure e nutrizione e nella somministrazione di forti sedativi a persone classificate «vicine alla morte».
    Ogni anno il sistema sanitario nazionale registra 450mila decessi nelle sue strutture; di questi, 130 mila sono di persone sottoposte al «Lcp» in modo proprio o improprio. Il Ministero della Sanità, dopo le molteplici controversie sollevate dal programma, ha più volte tenuto a ribadire che il Liverpool Care Pathweay non è equiparabile all'eutanasia, che i pazienti che vi sono sottoposti vengono monitorati e possono essere tolti dal protocollo se mostrano un miglioramento. Ma negli ultimi mesi sono fioccate sempre più insistenti e numerose le denunce di famiglie che accusano i medici di aver introdotto i loro cari nel programma quando in realtà questi non stavano affatto morendo e di averne accelerato il decesso a causa della sospensione di cure e nutrizione.
    Mary Cooper, 79 anni, uno dei tanti esempi, è morta in giugno pochi giorni dopo il ricovero al Queen Elizabeth Hospital di King's Lynn, nel Norfolk. La sua famiglia sostiene di non essere mai stata avvisata del fatto che la donna fosse stata inserita nel programma.
    «Ci hanno informati – denuncia il marito – quando ormai per Mary era troppo tardi».
    L'ospedale dice di aver discusso la questione con la famiglia e che questa era d'accordo.
    Ma secondo la figlia l'ospedale non è mai stato...

    • 6 min
    Giudice inglese decide la morte di una bimba di 7 mesi contro la volontà dei genitori

    Giudice inglese decide la morte di una bimba di 7 mesi contro la volontà dei genitori

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7582

    GIUDICE INGLESE DECIDE LA MORTE DI UNA BIMBA DI 7 MESI CONTRO LA VOLONTA' DEI GENITORI di Manuela Antonacci
    «Con il cuore pesante sono giunto alla conclusione che gli svantaggi di cure cosi invasive non giustificano i benefici di queste stesse cure». Con questa "sentenza", nel vero senso della parola, il giudice dell'Alta Corte britannica, Justice Peel, ha deciso che è "nel migliore interesse" di Indi Gregory, una neonata di sette mesi, affetta da una malattia rara del Dna mitocondriale, staccare i supporti vitali che permettono alla piccola di continuare a vivere. La piccola è ricoverata al Queen's Medical Centre di Nottingham I genitori di Indi, Claire Staniforth e Dean Gregory del Derbyshire, sono sostenuti dall'associazione Christian Concern, per i diritti umani, il cui braccio legale, il Christian Legal Center sta assistendo nel tentativo di ricorrere in appello.
    La decisione dell'Alta Corte è stata presa in seguito all'udienza privata che il Nottingham University Hospitals NHS Trust ha richiesto e sostenuto presso il tribunale stesso. Dean Gregory, il padre di Indi, ha espresso il suo sgomento per la decisione del giudice. «Siamo devastati dalla sentenza e ricorreremo in appello». Ha inoltre criticato la descrizione delle condizioni mediche in cui versa la piccola, fatta durante il processo. «Quella immagine era così fuorviante che, dopo aver ascoltato il discorso in tribunale, i media hanno riferito che Indi doveva essere rianimata nove volte in un giorno. Questo è completamente falso», ha detto Gregory.
    Secondo lui, la piccola è una vera combattente che merita cure migliori da parte del servizio sanitario nazionale. «Durante la sua breve vita Indi ha dimostrato a tutti che si sbagliavano e merita più tempo e cure possibili, piuttosto che il tentativo di porre fine alla sua vita al più presto». Ha inoltre fatto notare che la bambina prova gioia e piange come un qualunque neonato.
    Inoltre, sua madre Claire sottolinea: «Non soffre e trae un evidente conforto dalla presenza della sua mamma e del suo papà, perché il battito cardiaco è stabile e calmo quando viene coccolata tra le nostre braccia». Tutto ciò che Dean Gregory e sua moglie chiedono è avere più tempo affinché le condizioni della bimba si stabilizzino, così da poterla riportare a casa e farla vivere serenamente in un ambiente che per la prima volta nella sua vita finalmente non sia una camera d'ospedale.
    Di fronte a tutto questo dolore, Gegory ha anche sottolineato quanto la battaglia legale abbia fatto sentire a loro genitori, tutto il peso di un intero sistema che si muove contro di loro. Dal canto suo, l'amministratore delegato del Christian Legal Center, Andrea Williams, ha dichiarato: «La vita è preziosa e deve essere protetta dalla legge. Dobbiamo dare alle persone, tutte le possibilità di vivere piuttosto che solo quelle di porre fine alla propria vita prematuramente, dicendo che è nel loro interesse morire». Altro trattamento disumano ricevuto dai genitori è stato l'essere stati informati con sole 48 ore di preavviso dell'udienza che avrebbe determinato il destino di Indi.

    Nota di BastaBugie: Patricia Gooding-Williams nell'articolo seguente dal titolo "Così i medici britannici hanno fatto morire mia sorella Sudiksha" riporta gli scioccanti dettagli della morte della 19enne, affetta da una grave malattia genetica (nota come ST), che medici e giudici inglesi avevano deciso di far morire contro la sua volontà. Ecco l'intervista alla sorella.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 ottobre 2023:
    «I medici hanno negato a mia sorella le medicine di cui aveva bisogno (...) Si sono rifiutati di darle un antibiotico per curare un'infezione contratta in ospedale, solo quando i miei...

    • 13 min
    L'agghiacciante comunicato dell'ospedale di Alfie ricorda quelli del nazismo

    L'agghiacciante comunicato dell'ospedale di Alfie ricorda quelli del nazismo

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5157

    L'AGGHIACCIANTE COMUNICATO DELL'OSPEDALE DI ALFIE RICORDA QUELLI DEL NAZISMO

    Storia maestra di vita. Non sempre, però, perché l'uomo non impara dai suoi errori. Il piccolo Alfie ha appena ricevuto il più grottesco e sadico degli attestati di condoglianze. Arriva direttamente dalla direzione dell'ospedale Alder Hey che ha pervicacemente voluto, provocato e ottenuto la sua morte. Un comunicato che non può non risultare ipocrita e diabolicamente provocatorio.
    "Desideriamo esprimere le nostre sentite condoglianze alla famiglia di Alfie in questo momento estremamente doloroso - si legge in un comunicato pubblicato sul sito dell'ospedale dove Alfie ha concluso la sua vita terrena a seguito di una crisi respiratoria -. Tutti noi esprimiamo sentimenti di vicinanza ad Alfie, Kate, Tom e tutta la sua famiglia e i nostri pensieri sono con loro".
    Infine una considerazione su quanto accaduto in questi lunghissimi giorni: "Questo è stato un viaggio devastante per loro e chiediamo che la loro privacy e la privacy del personale di Alder Hey siano rispettate". Quale sia la privacy dell'ospedale da rispettare non è dato sapere.
    IPOCRISIA, FALSITÀ E SFACCIATAGGINE
    Ma il punto è un altro, al di là dell'ipocrisia, della falsità e della sfacciataggine con la quale l'ospedale nel nome del miglior interesse per Alfie causa la morte e poi sembra quasi esorcizzarla con un pietoso commiato.
    E rimanda appunto alla storia. A quando nel 1943 lo psichiatra nazista Ernst Illing indirizzava ai genitori di uno dei bambini assassinati dai reparti speciali infantili istituiti dal Terzo Reich incaricato di eliminare fin dall'infanzia i bambini disabili.
    Ecco il testo: "Devo comunicarvi il mio rammarico nell'informarvi che il bambino è morto il 22 gennaio 1943 per infiammazione delle vie respiratorie. (...) Egli non aveva fatto alcun tipo di progresso durante il suo soggiorno qui. Il bambino non sarebbe certamente mai diventato utile alla società ed avrebbe anzi avuto bisogno di cure per tutta la vita. Siate confortati dal fatto che il vostro bambino ha avuto una dolce morte".
    Anche qui un bambino morto per complicanze respiratorie e anche qui ricorre il tema del fallimento di un progresso clinico. Ma ciò che è inquietante, è il tema dell'utilità alla società di quel bambino. Lo stesso termine che ricorre oggi con la sentenza del giudice sull'inutilità della vita di Alfie Evans e da qui il concetto di best interest che ha attivato il protocollo di morte per Alfie.
    LA CARITÀ PELOSA E FALSA DEL DARWINISMO SOCIALE
    Inoltre, la carità pelosa e falsa di chi dopo aver provocato la morte cerca di consolare i genitori. Davvero non c'è proprio nulla di nuovo sotto il sole. Il comunicato dell'Alder Hey Hospital assomiglia nei toni e nel risultato finale a quel programma di selezione eugenetica della società che aveva caratterizzato la società nazista. Un programma che nel nome della razza nordica e perfetta e del darwinismo sociale portò all'uccisione di 5000 bambini cui erano state diagnosticate patologie di ritardo mentale o sindrome di Down, microcefalia e idrocefalie, malformazioni di arti o lesioni alla colonna vertebrale, paralisi cerebrale infantile. Diagnosi che invece per Alfie non è mai nemmeno stata fatta.
    Infine. Il dottore nazista informa i genitori che il piccolo "ha avuto una dolce morte". Quante analogie con il comfort garantito dal personale medico nel protocollo di morte reso pubblico prima del distacco del ventilatore. "Da quel momento - si leggeva - lo staff medico continuerà ad osservare la situazione di Alfie e il livello di conforto e ad attendere ai suoi bisogni e a quelli della sua famiglia, con discrezione, ma pronto a fornire con sollecitudine supporto e conforto".
    Con la morte del piccolo...

    • 33 min
    Il vero volto dell'eutanasia: ora si uccide anche chi non è d'accordo

    Il vero volto dell'eutanasia: ora si uccide anche chi non è d'accordo

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7539

    IL VERO VOLTO DELL'EUTANASIA: ORA SI UCCIDE ANCHE CHI NON E' D'ACCORDO di Patricia Gooding-Williams
    "ST" è una giovane ragazza di 19 anni che da un anno è in cura nel reparto di terapia intensiva di un ospedale britannico. Vuole vivere ma i suoi medici hanno deciso che la sua malattia non offre prospettive di miglioramento e quindi deve morire immediatamente. A differenza dei casi già noti in cui il paziente è un neonato, un bambino o un adulto incosciente, presumibilmente in punto di morte, ST è una giovane adulta, completamente cosciente, capace di prendere decisioni, che ha espressamente dichiarato la sua volontà di vivere. Tuttavia, il tribunale le ha tolto il diritto di decidere della sua vita. Questo accade oggi nel Regno Unito, un caso che segna un ulteriore passo avanti nella barbarie diventata segno distintivo del Servizio Sanitario Nazionale britannico (NHS).
    La storia di ST (è la sigla di riconoscimento decisa dal tribunale che ha imposto l'anonimato) è quella di una giovane donna che soffre di una rara forma di malattia mitocondriale (RRM2B). La condizione di ST provoca debolezza muscolare cronica, perdita dell'udito e danni ai reni, rendendola dipendente dalla dialisi e da altre terapie intensive, ma - cosa importante - non ha intaccato il funzionamento del suo cervello. In realtà, la malattia non le ha impedito di frequentare la scuola ordinaria o di ottenere buoni voti negli anni di scuola secondaria. Stava studiando per la maturità quando nell'agosto 2022 ha contratto il Covid, che le ha causato gravi difficoltà respiratorie. ST è stata ricoverata in ospedale in un'unità di terapia intensiva (ICU) dove è rimasta da allora (sempre le restrizioni poste dal giudice impediscono di rivelare il luogo).
    DEVE MORIRE
    Lo scorso febbraio, i medici hanno riferito che le sue condizioni erano peggiorate. Successivamente ha avuto due altre crisi che hanno richiesto cure mediche di emergenza a luglio. I medici che la curavano hanno così deciso che la condizione medica di ST stava progressivamente degenerando e l'hanno definita malata terminale (in inglese l'espressione usata suona più sinistra: "actively dying"). Le hanno così presentato un piano di cure palliative che avrebbe interrotto il suo trattamento di dialisi salvavita causandone la morte nel giro di pochi giorni per insufficienza renale. ST ha rifiutato.
    I medici hanno quindi agito immediatamente consegnando la patata bollente ai tribunali. L'NHS Foundation Trust, responsabile dell'ospedale che ha in cura la ragazza, ha portato avanti il caso poiché ritiene che ST non abbia la capacità mentale di decidere il suo trattamento.
    L'adolescente, descritta come «una combattente» da chi la conosce, vorrebbe addirittura partecipare agli studi clinici per una terapia a base di nucleosidi, in Canada o in uno dei due ospedali che la praticano in America. Crede che questa terapia offra un 50% di possibilità di miglioramento, anche se è ben consapevole che nel suo caso potrebbe non avere successo. Allo stesso tempo, ha detto di aver perso la fiducia nei suoi medici. In particolare, non crede che le rimangano «solo giorni o settimane» e che sia inutile tenerla in vita finché non si potranno prendere accordi per il suo trasferimento in uno degli ospedali all'estero disposti a curarla.
    ST sostiene di avere già smentito le previsioni dei medici quando si è ripresa, nonostante le loro aspettative contrarie, dalle due recenti crisi potenzialmente letali. Incalzati in tribunale, i suoi medici hanno affermato che «la sua morte è necessariamente imminente», ma hanno ammesso che potrebbe avere «settimane o addirittura mesi di vita», sebbene «la prognosi esatta sia incerta».
    NESSUNA MALATTIA MENTALE
    Inoltre, due esperti psichiatri, denominati Dottor D e...

    • 8 min
    Ero in coma, ma volevo gridare che ero viva

    Ero in coma, ma volevo gridare che ero viva

    VIDEO: La storia di Sara, che dice no al biotestamento ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ZdeLlVJLUmc&list=PLolpIV2TSebVuHSUQ_TFW_m480iUQZext

    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7084

    ERO IN COMA, MA VOLEVO GRIDARE CHE ERO VIVA di Manuela Antonacci
    Avere vent'anni, essere in coma e voler vivere. Questo è quanto capitato a Sara Virgilio, quando nel 1994 diventò una "vittima della strada", a Salerno, venendo letteralmente falciata sulle strisce pedonali, da un pirata della strada. Un impatto violento, in seguito al quale entrò in coma. Trasportata in eliambulanza da Salerno al Policlinico Gemelli di Roma, il caso clinico fu trattato secondo protocollo. Un'esperienza, la sua, che l'ha portata ad opporsi, con decisione, al testamento biologico e alla cultura dello scarto, rappresentata oggi anche dal ddl Bazoli. Oggi Sara è perfettamente guarita ed è anche una persona realizzata. [...]
    Sara, tu hai detto più volte che la condizione di coma è difficile da spiegare, però questo ti ha spinto a dire no al testamento biologico.
    «Quando una persona è in coma, esternamente non si muove, è ferma, ma in realtà ha la percezione di quello che le accade intorno. Nel mio caso ho dei frammenti di ricordi che potrei definire momenti di lucidità: ricordo quando mia madre mi diceva che erano arrivati i miei amici a farmi visita. Inoltre la mia sensazione era quella di voler dire all'esterno: "Io ci sono", ma non potevo. Il paziente non è nelle condizioni di esprimere le sue volontà, per questo sono assolutamente contraria al testamento biologico».
    Hai raccontato che i medici mentre eri in coma avrebbero detto «E' inutile, per lei non c'è niente da fare». Che effetto ti ha fatto?
    «I medici non avevano dato speranza: io ero una politraumatizzata, oltre all'emorragia cerebrale avevo un'emorragia polmonare, la parte destra era completamente fratturata, poi avevo avuto anche la perforazione dei polmoni. Si sono sicuramente impegnati per salvarmi la vita, ma anche quando fui trasportata da Salerno al Gemelli, anche lì mi diedero scarse speranze. Quando sentii quella frase avrei voluto gridare che io c'ero, che ero viva, che sentivo. Mia madre, ad esempio, notava che io in qualche modo ero presente, mi muovevo impercettibilmente. I medici non le credevano. Capisco la posizione di prudenza dei medici, tuttavia la vita va rispettata e per me era vita anche quella: io c'ero e volevo esserci. Se avessi firmato il testamento biologico per me sarebbe stata la fine, non avrei avuto modo di comunicare un eventuale ripensamento. Una volta uscita dal coma, comunque, per me non è stato facile, ho dovuto lottare per sopravvivere».
    Cosa hai dovuto affrontare?
    «Ho perso un rene, ho avuto diversi interventi per l'endometriosi, diverse ischemie che per fortuna hanno preso un'area muta del cervello, per cui non ho riportato dei danni. La questione è che non si può decidere per un'altra persona, perché la vita va rispettata. Io oggi sono laureata in biologia e lavoro. Se avessero staccato le macchine avrei dovuto rinunciare a tutto questo. Purtroppo oggi non si comprende che il camice bianco è un tramite che serve per aiutare il paziente a guarire. È chiaro che ci sono situazioni che vanno valutate accuratamente, ma non si può decidere al posto di qualcun altro staccandogli la spina. L'idratazione e il mangiare non si possono negare, ad esempio, perché sono atti naturali, ben lontani dall'accanimento terapeutico»
    La risposta che lo Stato sembra voler dare alla sofferenza, oggi, col ddl Bazoli è invece quella di spingere verso la morte, relativizzando il valore della vita...
    «Esatto, ed è assurdo. Non si può concepire la vita solo in maniera utilitaristica: se produco vado bene, ma se diventi un...

    • 6 min

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