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Se volete conoscere il lato oscuro della città meneghina lasciatevi trasportare in questo viaggio attraverso le storie dei delitti avvenuti nei palazzi e per le vie di Milano. Loquis vi trasporta in questo racconto misterioso e inquietante della capitale economica d'Italia.
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Milano Noir Loquis

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Se volete conoscere il lato oscuro della città meneghina lasciatevi trasportare in questo viaggio attraverso le storie dei delitti avvenuti nei palazzi e per le vie di Milano. Loquis vi trasporta in questo racconto misterioso e inquietante della capitale economica d'Italia.
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    Assalto In Via Imbonati

    Assalto In Via Imbonati

    Si chiamava Vincenzo Raiola il poliziotto che morì in quel maggio del 1999. Il decesso avvenne a causa di una ferita alla testa, riportata durante un conflitto a fuoco con un gruppo di rapinatori in via Imbonati.
    Alle 5 del mattino del 14 maggio una banda di criminali, armata di fucili d’assalto ed esplosivi militari, assaltò un furgone portavalori appena uscito dal deposito.
    Proprio mentre i banditi stavano compiendo la rapina, giunse sul posto la polizia che venne subito accolta da raffiche di mitra. I proiettili impazziti colpirono anche i veicoli di alcuni civili di passaggio, ma grazie al lancio di fumogeni i criminali si misero in fuga.
    Arrivati in via Imbonati, i rapinatori si trovarono bloccati da due volanti. I banditi ripresero così a sparare, ferendo alla testa Raiola, gregario della Volante Comasina, per cui quel colpo fu fatale, poi continuarono a scappare.
    Le indagini sull’assalto scattarono immediatamente e portarono non solo all’arresto di tutta la banda, ma anche a quello di due carabinieri corrotti.
    Il gruppo era composto da ex terroristi di sinistra, pregiudicati per reati di mafia e criminali comuni. Tre degli assassini ricevettero la condanna all’ergastolo, mentre il basista della rapina non fu mai trovato.

    La Banda Di Via Padova

    La Banda Di Via Padova

    Tra le pagine più cupe della recente storia di Milano si annovera anche il periodo di attività di quella che passò alla storia come la banda di via Padova: un gruppo di malviventi assai eterogeneo, composto da pluripregiudicati e incensurati, delinquenti e personalità insospettabili. Tra il 1998 e il 1999 la banda seminò il panico attorno alla via da cui prese il nome, colpendo tabaccherie, gioiellerie e negozi a suon di rapine culminate ciascuna con la morte di un commerciante.
    Fu dopo il colpo del 9 gennaio 1999 che gli abitanti del quartiere scesero in strada per reclamare maggiore sicurezza e, da quel giorno, s’infittirono le indagini che portarono all’arresto dei più cruenti componenti del gruppo. In quel pomeriggio di inizio gennaio infatti in via Derna, una parallela di via Padova, fu ucciso Ottavio Capalbo, uno dei proprietari di un bar-tabaccheria. I banditi fecero irruzione nel locale, incuranti dei clienti seduti ai tavoli, e pistola in pugno fecero razzia del bottino. Il proprietario pensò erroneamente che l’arma utilizzata dai rapinatori fosse una scacciacani e, sfidando la sorte, si accanì contro i banditi. Lo investì una pioggia di colpi che colpirono anche lo zio, co-proprietario del negozio. Ad avere la peggio fu solamente il più giovane.
    Questa fu una delle ultime feroci azioni perpetrate dalla banda. Uno degli ultimi delitti senza pietà che mobilitarono tutta Milano nella battaglia contro l’emergenza criminalità.
    La storia che coinvolge la banda di via Padova ha infatti un lieto fine che porta alla sbarra la maggior parte dei banditi, condannati all’ergastolo. Per le loro tremende azioni fu così fatta giustizia.

    Triplice Esecuzione In Piazzale Dateo

    Triplice Esecuzione In Piazzale Dateo

    Piazzale Dateo, è l’alba del 1999. Proprio nella notte di Capodanno, una dopo l’altra, cadono tre vittime, falciate da alcuni colpi sparati da due armi da fuoco impugnate però dallo stesso assassino. Il primo a morire è un brasiliano di ventinove anni, che viene colpito nella stessa strada in cui era solito prostituirsi. A pochi metri di distanza il killer punta poi la pistola verso un operaio e invalido civile che ha assistito alla scena. La pistola però s’inceppa e l’uomo tenta di scappare. L’assassino prende allora la sua seconda pistola e con estrema freddezza gli spara un colpo alla testa. L’ultima vittima è un immigrato cingalese, anche lui scomodo testimone a cui perciò tocca la stessa sorte. Muore sotto cinque pallottole. Il killer sale poi su un Porsche 900 scura e fugge via. Non verrà mai arrestato.
    La caccia alla spider parte già quella notte, si controllano tutti i proprietari di simili vetture non proprio comunissime in città. Si analizzano anche i bossoli usati per uccidere e sono proprio questi che svelano un curioso dettaglio: hanno un difetto rarissimo che secondo gli esperti appartiene solo a un blocco da 50 mila pezzi di calibro 9 particolari, distribuiti alle forze dell’ordine. Che dunque il killer si nasconda tra qualche agente? La verità purtroppo non si saprà mai.
    Tra le altre varie plausibili piste si paventa la possibilità di un’azione maturata nel mondo del racket della prostituzione o ancora si pensa a un’azione di follia per seminare terrore durante la festa di Capodanno. A distanza di così tanti anni, però, la triplice esecuzione avvenuta in piazzale Dateo resta ancora senza colpevoli.

    Antonio Mantovani: Il Mostro Di Milano Colpisce In Via Santa Teresa

    Antonio Mantovani: Il Mostro Di Milano Colpisce In Via Santa Teresa

    Che Cesarina Dedonato si fosse suicidata in quel modo barbaro apparve subito davvero inverosimile: il suo cadavere giaceva sul letto semicarbonizzato; sul suo volto i segni di alcuni sacchetti di plastica; intorno al suo corpo invece alcune bambole della donna e una ventina di boccette di profumo con le quali Cesarina si sarebbe voluta dare fuoco. Una procedura complicata e fin troppo laboriosa per essere stata messa in atto per suicidarsi.
    La donna, da poco divorziata, viveva sola nel suo appartamento in via Santa Teresa e aveva da poco affittato un secondo locale al piano di sopra a un uomo, Antonio Mantovani, vero artefice del delitto. La signora non sapeva di aver dato ospitalità a quello che verrà definito come un killer seriale di donne: Mantovani, dal passato burrascoso, aveva infatti ottenuto la semilibertà dopo aver già violentato e, in un caso ucciso, alcune donne.
    All’uomo inoltre, che negò sempre ogni responsabilità su questi omicidi, ne fu imputato anche un terzo, il cui cadavere però non verrà mai ritrovato.
    All’origine di tutti i suoi delitti vi era sempre la richiesta di una prestazione sessuale ed era il rifiuto delle vittime a scatenare in Mantovani la furia omicida.
    Condannato definitivamente all’ergastolo, l’uomo si tolse la vita nella sua cella nel 2003, impiccandosi.

    Il Killer Purificatore Di Anime Uccide In Via Vanvitelli 4

    Il Killer Purificatore Di Anime Uccide In Via Vanvitelli 4

    Il cadavere di Francesca Coelli venne ritrovato la sera del 21 marzo 1997. A dare l’allarme fu proprio il fratello che, preoccupato di non sentire la donna da qualche giorno, si premurò di andarla a trovare nel suo elegante appartamento in via Vanvitelli 4.
    Francesca giaceva esanime in un lago di sangue: era in ginocchio con la testa distrutta da alcune martellate e poggiata su una sedia. Il suo corpo era nudo e solo un pareo di seta le cingeva i fianchi. In cucina i resti di una cena per due persone: probabilmente la vittima e l’assassino.
    Per trovare il colpevole ci vollero altri due omicidi, questa volta due uomini i cui delitti seguirono la stessa dinamica: uccisi a colpi di martello, dopo aver cenato e avuto rapporti sessuali con l’assassino.
    Il colpevole sarà identificato in Gaspare Zinnanti, anche responsabile di aver seminato il terrore nelle strade di Milano spingendo alcuni passanti sotto il treno alle fermate della metro.
    Zinnanti venne arrestato e confessò di uccidere perché amava le sue vittime. Si presentò infatti come un purificatore, un missionario per volere divino.
    Venne giudicato incapace di intendere e di volere e internato in una struttura psichiatrica. Nel 2001 infine s’impiccò nell’ospedale psichiatrico giudiziario. Perseguitato dalle allucinazioni e dalla sua alienazione mentale, decise così di suicidarsi e salvare anche la propria anima.

    Via Gattamelata: Appuntamento Con Il Killer

    Via Gattamelata: Appuntamento Con Il Killer

    Maurizio Pierri si poteva definire un uomo di successo: titolare di un’azienda che gestiva bilanci e buste paga d’importanti società, a capo di giri d’affari miliardari e di conseguenza anche detentore un ricchissimo conto in banca. L’11 febbraio 1997, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, si accingeva dopo il lavoro a tornare a casa dove lo aspettava la sua famiglia per i festeggiamenti. Un festa che però non si sarebbe mai tenuta.
    Quella sera infatti un passante ritrovò il cadavere dell’uomo ucciso con tre colpi di pistola nella sua auto mentre stava chiamando la moglie per avvisarla del suo rientro a casa. Una mano ancora sul volante e il piede sul freno. I proiettili furono sparati dal lato passeggero e la dinamica sembrò subito avere l’aspetto di un’esecuzione in piena regola.
    L’ipotesi di una rapina finita male venne dunque immediatamente abbandonata: dall’auto della vittima non mancava nulla, il computer del manager non era stato rubato, come neanche il suo portafogli.
    La pista più credibile fu dunque quella legata al suo giro d’affari: il nome di Maurizio Pierri compariva infatti in un crack di 120 miliardi ai danni di tantissimi risparmiatori.
    Il caso rimarrà comunque irrisolto e né il mandante dell’omicidio, né il nome del killer verranno mai alla luce. Ad infittire ancor di più l’aura di mistero sarà il luogo del delitto: via Gattamelata si trovava a meno di un kilometro dall’ufficio dell’imprenditore. Una strada stretta, buia, senza negozi e per nulla di passaggio. Si insinua quindi il sospetto che Pierri ci sia arrivato dopo aver preso appuntamento con il suo killer che scelse un luogo nascosto e lontano da occhi indiscreti per compiere il delitto.

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