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    Intelligenza Artificiale e Covid: l’AI è davvero utile contro il virus?

    Intelligenza Artificiale e Covid: l’AI è davvero utile contro il virus?

    La pandemia ha accelerato l’adozione dell’AI da parte di tutte le industrie, anche quella sanitaria. Ma l’intelligenza artificiale è davvero efficace nel contrastare il Covid 19 e aiutare i pazienti? Vediamo quali sono i dubbi ma anche casi di successo delle nuove tecnologie sviluppate nel corso della pandemia.
    Come l’intelligenza artificiale ha aiutato nella lotta al Covid 19
    Nonostante non abbia da subito ottenuto i risultati sperati, l’Intelligenza Artificiale ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta al Covid 19.
    Secondo Giovanni Vizzini, chief operating officer e direttore medico-scientifico della divisione italiana di Upmc, senza l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei Big Data non sarebbe stato possibile riuscire a sviluppare un vaccino già adesso.
    Ma ci sono altre situazioni in cui l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è stato utile nella lotta alla pandemia.
    Il caso BlueDot
    A fine 2019 la società BlueDot dell’infettivologo canadese Kamran Khan annunciava di aver identificato un nuovo tipo di polmonite a Whuan. Ha predetto inoltre che, in base ai dati raccolti sui viaggi programmati da e per la città, il virus si sarebbe diffuso velocemente in altre parti del mondo.
    Le tecnologie di BlueDot sono state successivamente utilizzate dal Canada per monitorare l’effettivo rispetto del distanziamento sociale da parte dei cittadini, attraverso la localizzazione in forma anonima dei telefoni cellulari.
    L’algoritmo DeepCOVID-XR
    Questo algoritmo è riuscito a individuare la presenza del Covid in 300 radiografie, scansionandole in 18 minuti e con un’accuratezza dell’82%. Al suo confronto cinque radiologi specializzati hanno impiegato dalle due alle tre ore, con un’accuratezza che va dal 76 all’81%.
    Lo studio Curial AI
    Curial AI è uno dei più grandi studi mai svolti fino a oggi e utilizza i dati clinici dei pazienti ricoverati in ospedale per diagnosticare i sintomi del Covid in tempi minori rispetto agli screening classici.
    I dubbi sull’efficacia dell’intelligenza artificiale contro il Covid 19
    Questi sono ovviamente casi di successo, però è doveroso fare alcune riflessioni riguardo l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella lotta al Covid 19. Entriamo nel merito della veridicità dei dati, della loro effettiva utilità e della tutela della privacy dei cittadini.
    Veridicità dei dati
    Per restituire risultati validi gli algoritmi hanno bisogno di elaborare grandi moli di dati, qualitativamente e quantitativamente utili.
    Per questo, dato che non conosciamo ancora a sufficienza il Covid, il timore è che i risultati ottenuti grazie all’AI possano essere falsati e non veritieri. Questo porterebbe ovviamente più danni che benefici.
    Lo studio Curial AI ad esempio non è stato ancora sperimentato in larga scala, ma solo su pazienti britannici.
    Sicurezza e tutela della privacy
    Il problema della tutela della privacy dei cittadini non è ancora stato risolto. I Paesi dove l’intelligenza artificiale ha avuto un ruolo centrale nella lotta alla diffusione del virus infatti sono gli stessi in cui i cittadini sono stati sottoposti a misure di sicurezza fortemente restrittive, come geolocalizzazione e controlli a domicilio.
    Intelligenza artificiale e Covid 19: un successo o un fallimento?
    Al momento non ci sono ancora dati certi per capire se l’Intelligenza artificiale è utile nella lotta al Covid.
    Quello che è certo è che questa tecnologia non potrà arrivare a sostituire figure centrali come gli operatori sanitari, ma potrà sicuramente velocizzare i tempi delle procedure in ambito medico e migliorarne i processi.
    È inoltre fondamentale che i modelli di AI messi in campo in ambito sanitario siano sviluppati insieme agli operatori sanitari. Questo per garantire una reale utilità ma soprattutto efficacia delle tecnologie che abbiamo a disposizione, che altrimenti si rivelerebbero uno spreco di risorse che in piena pandemia...

    • 4 min
    Big Data vs Fast Data, tutto quello che c’è da sapere

    Big Data vs Fast Data, tutto quello che c’è da sapere

    I Fast Data rappresentano un’evoluzione dei Big Data, nella ricerca di una maggiore velocità di elaborazione e di analisi. Scopri perché le aziende hanno deciso di dirottare la loro attenzione sui fast data per incrementare il proprio business.

    Quante volte avrai sentito parlare dei big data, ma quello che forse non sai è che la vera rivoluzione non è più big ma fast. Oggi vogliamo parlarti dei fast data che rappresentano l’evoluzione dei big data fino ad ora conosciuti ed utilizzati nei vari processi produttivi delle aziende e non solo.

    Le necessità delle aziende, infatti, cambiano continuamente e rapidamente. Se pensiamo ai dati, poi, questa affermazione è ancora più evidente: nuovi strumenti e nuove metodologie di raccolta, analisi e utilizzo dei dati si susseguono a un ritmo impressionante. Ma andiamo con ordine e partiamo dal capire bene di cosa stiamo parlando.

    Cosa sono i big e i fast data?

    Il termine Big Data è entrato nel linguaggio comune verso la fine dello scorso decennio, quando le aziende hanno iniziato a investire nella raccolta ed elaborazione di grandi moli di dati per generare insight di valore per il proprio business. L’utilizzo di questi dati si è molto diffuso nelle grandi aziende, soprattutto negli ultimi anni, specialmente allo scopo di realizzare analisi predittive.

    I Fast Data, invece, sono dati raccolti e trasmessi in tempo reale tramite tecnologie IoT e successivamente analizzati in tempi brevissimi per prendere rapide decisioni di business o per attivare operazioni di vario tipo. I fast data non sostituiscono i big data, ma li affiancano, in quanto ad oggi la velocità di analisi dei dati è molto più importante.

    Perché si passa dai big data ai fast data?

    Uno dei limiti dei big data che hanno riscontrato le aziende nello sviluppare il proprio business è la lentezza e a tratti l’incapacità tecnologica di elaborare in tempi utili questa grande mole di dati. Nonostante gli sforzi, infatti, la maggior parte di queste informazioni, costituita da dati non strutturati, spesso rimane ancora inutilizzata per l’incapacità di elaborare, organizzare e analizzare i dati in tale stato.

    La conseguenza? A questo punto i tanti dati raccolti rischiano di diventare un costo più che un valore. Una mole infinita di dati molto costosi da conservare e difficile da analizzare e quindi utilizzare per gli scopi definiti inizialmente.

    È proprio in questo momento e per questo motivo che entrano in gioco i fast data. Le aziende a questo punto hanno iniziato a concentrarsi non tanto sulla quantità di dati, quanto sulla loro qualità e velocità.

    In conclusione possiamo affermare con sicurezza che i fast data non andranno a sostituire i “colleghi” big data, perché ne sono semplicemente una fisiologica quanto importante evoluzione. I Fast Data, infatti, rappresentano un’evoluzione dei Big Data, nella ricerca di una maggiore velocità di elaborazione e di analisi.

    Permettono, infatti, alle aziende di raccogliere subset di dati da diverse sorgenti e di elaborarli contestualmente, ottenendo così informazioni aggregate e sempre disponibili in tempo reale.

    • 3 min

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